C’è un nuovo capitalismo che sta orbitando sopra le nostre teste. Non si tratta di un’ideologia, ma di un modello finanziario concreto, sperimentato e già vincente. Elon Musk lo sta applicando da anni con SpaceX, Neuralink, The Boring Company e ora con xAI: crescita esponenziale, capitali privati ultra-selezionati, nessuna IPO. Nessuna esposizione pubblica.
Questo capitalismo orbitale ha ridefinito non solo i tempi dell’innovazione, ma anche i criteri con cui si finanzia il progresso tecnologico. E mentre l’America — nel bene e nel male — accetta la sua ascesa, in Europa si comincia a comprendere che non è più solo una questione ingegneristica o geopolitica. È, soprattutto, una questione di finanza.
Elon Musk e il club dell’accesso riservato allo spazio
La strategia è semplice quanto impenetrabile: invece di quotare le sue aziende, Musk raccoglie capitali attraverso veicoli di investimento privati, chiamati SPV (Special Purpose Vehicle). Li gestiscono uomini fidatissimi, come Antonio Gracias (Valor Equity) o Luke Nosek (Founders Fund), spesso ex consiglieri o soci storici. Gli investitori che accedono a questi veicoli non acquistano azioni direttamente, ma quote di società appositamente costituite per detenere equity nelle aziende muskiane.
Ticket minimi da un milione di dollari, visibilità limitata sui bilanci, niente governance, ma promesse di ritorni stellari. È un modello che si sottrae al controllo delle autorità di Borsa e che garantisce a Musk una libertà di manovra che nessuna public company può permettersi. Nulla che sia al di fuori del fattibile, che travalichi il confine di ciò che è consentito, ovviamente.
Ma quello spieato è anche uno dei motivi per cui SpaceX è passata da una valutazione di 12 miliardi nel 2015 a oltre 350 miliardi nel 2024, senza mai quotarsi. Una traiettoria da record, costruita lontano dai riflettori del Nasdaq.
Il vuoto europeo e il nodo italiano
In Europa, il quadro è l’opposto. Le PMI del settore Space, in particolare quelle italiane, sono spesso realtà eccellenti, con tecnologie avanzate, proprietà intellettuale solida e legami diretti con agenzie spaziali e grandi contractor. Eppure, faticano ad accedere a capitali strutturati.
Il sistema dei grant pubblici — pur generoso — è lento, burocratico, soggetto a cicli politici. Il venture capital è ancora troppo focalizzato su software, fintech e biotech. E il Private Equity, storicamente, si è tenuto alla larga da settori ad alto rischio tecnologico, soprattutto se si parla di aziende con meno di dieci milioni di EBITDA.
Il risultato? Un enorme potenziale industriale bloccato nel limbo tra startup e scale-up. Aziende che avrebbero le carte in regola per diventare campioni nazionali o integratori di filiera, ma che restano “piccole”, perché mancano di un interlocutore finanziario in grado di accompagnarle.
Qualcosa si muove: in Italia nasce un fondo PE per lo spazio
Tuttavia, qualcosa si sta finalmente muovendo. In Italia, sembra imminente il debutto di un fondo di Private Equity specializzato nella space economy, capace di operare secondo logiche buy-and-build e orientato a creare un cluster di PMI innovative sotto un’unica regia industriale e finanziaria.
Ancora poco è stato svelato pubblicamente, ma i segnali raccolti nel settore indicano che l’unveiling ufficiale potrebbe arrivare nei prossimi mesi. Sarebbe il primo fondo italiano realmente focalizzato sulle PMI dello Space, con una chiara intenzione di agire come ponte tra capitale paziente e ambizione industriale.
Un’operazione di questo tipo rappresenterebbe una svolta: l’inizio di un sistema finanziario in grado di prendere sul serio le sfide (e le opportunità) della new space economy, senza delegarle esclusivamente a bandi pubblici o iniziative estemporanee.
Nazca in Spagna e Space Capital in Lussemburgo: il fronte europeo si apre
L’Italia non è sola in questo risveglio. In Spagna, il fondo Nazca ha iniziato a guardare con attenzione al settore spazio, non solo come comparto tecnologico ma come infrastruttura strategica per l’intera economia. La loro logica è quella del private equity puro: crescita organica, M&A, exit industriali. Non si tratta di startup betting, ma di costruzione di valore, di expansion, in vari casi.
In Lussemburgo, invece, Space Capital ha già posizionato in modo chiaro il proprio brand come soggetto di private equity, non solo di venture. Il Lussemburgo, va ricordato, è stato tra i primi paesi in Europa a dotarsi di una policy spaziale orientata al business, aprendo già dal 2017 a operatori privati di nuova generazione.
In entrambi i casi, si tratta di segnali forti. L’Europa, lentamente ma con crescente convinzione, sembra comprendere che la competitività nello spazio non passa solo dai lanci o dai satelliti, ma anche dalla capacità di costruire strumenti finanziari coerenti con le esigenze del settore.
I rischi del modello Musk: esclusione e opacità
Il capitalismo orbitale di Musk funziona, ma non è privo di rischi. Gli SPV moltiplicano la concentrazione del rischio e riducono la trasparenza. Nessun obbligo di disclosure, governance affidata a pochi, conflitti d’interesse potenziali.
Se SpaceX funziona, il modello regge. Ma in caso di crisi tecnica (un fallimento Starship), geopolitica (una restrizione su Starlink) o finanziaria (una riduzione degli investimenti privati tech), l’assenza di accountability potrebbe scatenare un effetto domino incontrollabile.
Inoltre, il fatto che questo modello escluda i fondi istituzionali (pensioni, assicurazioni, fondi ESG) alimenta una disuguaglianza profonda: solo pochi family office e ultraricchi hanno accesso ai ritorni straordinari dello spazio.
Perché il Private Equity serve alle PMI
Per le PMI italiane ed europee, il problema non è solo trovare capitali. È trovare capitali giusti: strutturati, pazienti, competenti. Il Private Equity, se ben disegnato, può diventare lo strumento perfetto per far crescere aziende oggi marginali nel mercato globale, ma con tecnologie e know-how di valore assoluto.
Servono fondi capaci di aggregare player, costruire filiere, creare economie di scala, attrarre competenze manageriali. Non solo “mettere soldi”, ma agire da architetti industriali, in grado di sostenere una visione.
E soprattutto, serve integrare finanza e politica industriale, creando partnership con ESA, CDP, istituzioni europee e anche grandi system integrator (Leonardo, Airbus, Thales). Solo così la space economy europea potrà ambire a un’autonomia tecnologica e finanziaria duratura.
Conclusione: lo spazio è strategico, la finanza è decisiva
Elon Musk ci ha mostrato che è possibile costruire un impero spaziale senza la Borsa, ma non senza una visione finanziaria precisa. Ora tocca all’Europa rispondere. E l’Italia, con il potenziale delle sue PMI e l’emergere di nuovi fondi specializzati, ha l’occasione di diventare protagonista.
Il tempo degli annunci è finito. È l’ora della costruzione. Anche — e soprattutto — finanziaria.
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