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Meta e Anduril: la nuova fabbrica di armi digitali


Nelle ultime settimane l’amministrazione Trump ha moltiplicato gli attacchi contro la ricerca scientifica. Ne ha decurtato i fondi e censurato i risultati, sforzandosi di screditarne i centri più autorevoli. Allo stesso tempo, ha continuato a celebrare e finanziare l’innovazione tecnologica, evidenziandone il legame sempre più profondo con l’incremento dei profitti e il potenziamento della forza militare.

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L’ultimo esempio di simbiosi tra finanza, armi e tecnologia è la cascata di fondi elargiti dal Pentagono a due aziende digitali, Meta e Anduril, perché sviluppino insieme una nuova classe di super-armi digitali che, in teoria, dovrebbe trasformare i soldati americani in “tecnomanti” capaci di sbaragliare sul campo ogni nemico.

Vere o false che siano le promesse, una divergenza così plateale tra scienza e tecnica non può che sorprendere. Siamo tutti abituati, in fondo, a considerarle due momenti inscindibili della rivoluzione epistemica moderna, inaugurata da Galileo e da Newton e teorizzata da pensatori come Bacon o Cartesio. Eppure, in modo poco appariscente, il divorzio fra scienza e tecnica è in atto in realtà già da decenni.

Il progetto Manhattan è stato forse l’ultimo in cui entrambe abbiano veramente cooperato ai massimi livelli. Dopo di allora, i loro destini non hanno fatto che divaricarsi. Ne è un esempio il progetto Genoma che, all’inizio del millennio, ha permesso di sequenziare il genoma umano, raccogliendo finanziamenti che sembravano, a quel tempo, eccezionali. L’impresa sgombrò il campo alla possibilità di brevettare il materiale biologico e fu perciò un notevole successo finanziario e tecnologico.

Ma la scienza della vita in senso stretto ne ricavò alla fine ben poche acquisizioni veramente significative. L’era dell’Intelligenza Artificiale, con la sua tecnocrazia manageriale cresciuta a ketamina, non ha fatto che accentuare la divaricazione.

Ci sono due spiegazioni possibili per un simile divorzio: una immediata e relativamente semplice, l’altra remota e molto più sfuggente. La prima è che i programmi tecnologici della Big Science esigono un supporto finanziario e politico che oggi solo le grandi potenze o le aziende private di dimensioni globali possono garantire. In un’epoca di frammentazione e di crisi, è improbabile però che simili finanziatori si appassionino al sogno di decifrare il cosmo o si mobilitino per obiettivi ragionevoli ma poco redditizi come combattere il disastro climatico e migliorare la qualità della vita collettiva. Geopolitica e mercato giustificano l’investimento solo se promette un adeguato incremento di denaro e di potere, meglio ancora se a danno della concorrenza.
L’innovazione tecnologica è spinta perciò a concentrarsi su obiettivi molto più prosaici: potenziare la forza distruttiva dei sistemi d’arma e affinare la capacità di controllare le scelte collettive, per estrarne il massimo profitto.

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Passando alla seconda spiegazione, più ampia e problematica, va forse riconosciuto che, per quanto strutturalmente intrecciate fra loro, scienza e tecnica non sono mai state, fin dall’alba della modernità, due semplici facce di un’unica medaglia.

Piuttosto, due poli in perenne tensione, mossi da spinte eterogenee e, in parte, incompatibili. A suo modo, la scienza galileiana rimaneva fedele all’antica esortazione “conosci te stesso”, pur declinandola in modo assolutamente nuovo. Certa che il mondo fosse un libro “scritto a caratteri matematici”, si sforzava di decifrare l’ordine cosmico per leggervi anche il nostro destino, la nostra dignità e i nostri limiti, annullando così la distanza fra il mondo e la ragione umana. Un sogno ancora vivo nelle meditazioni di Darwin sull’origine della vita o in quelle di Einstein sullo spazio-tempo. La tecnica ha tutt’altra genealogia. Nasce dal desiderio primitivo di dominare le forze della natura e lo estende, in epoca recente, ai comportamenti umani, ai flussi comunicativi e alle dinamiche sociali. Per dominare qualcosa però bisogna prenderne le distanze, separarsene e cementare così proprio quella barriera tra noi e il mondo che la scienza sogna invece di dissolvere. Solo se è estraneo il mondo può essere sfruttato e dominato. E l’estraneazione tecnica del mondo è pagata oggi a peso d’oro.

La nuova alleanza tra Meta e Anduril è stata annunciata da una foto che sta dilagando sui social. Vi sono ritratti i Ceo delle due aziende, Mark Zuckerberg e Palmer Luckey, che ci guardano con espressione ebete e compiaciuta. È difficile sottrarsi all’impressione che la foto presenti due esemplari della nostra specie sciolti ormai da ogni rapporto autentico col mondo e refrattari a qualunque conoscenza di sé stessi. Il segreto del loro successo è proprio questa ottusità, che li rende idonei a mettersi al servizio di un’impresa puramente distruttiva.

Può darsi che, nel prossimo futuro, gli aspiranti ricercatori si troveranno a fronteggiare un difficile dilemma. Seguire le loro orme e offrire il proprio contributo, ben pagato, alla desolazione del mondo. O sforzarsi di ricomporre il legame tra il pensiero e la natura delle cose, anche a costo di intrecciare conoscenza e tecnica in forme che l’occidente moderno, finora, non ha saputo né voluto sviluppare. Sapendo che non c’è, al momento, né uno Stato né un privato disposto a pagare qualcosa per un simile sforzo.



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