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«Trenta Paesi hanno firmato la moratoria contro l’estrazione», l’Italia non c’è


«Se i Paesi tengono davvero alla protezione degli oceani, dovrebbero unirsi ad altri nel dire no alla nuova minaccia delle estrazioni minerarie nei mari profondi e sostenere ufficialmente la moratoria. Solo un impegno concreto può aiutare a ripristinare i nostri oceani» commenta Megan Randles, che è capo delegazione di Greenpeace International alla terza Un Ocean Conference in corso a Nizza. Il riferimento è a chi, come l’Italia, non ha ancora ratificato la moratoria contro il deep mining, sostenuta, secondo l’organizzazione, da 37 Paesi.

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A una nave dell’organizzazione non governativa nei giorni scorsi è stato impedito di arrivare nel porto della città francese. Avrebbe dovuto consegnare 3 milioni di firme raccolte con una petizione contro l’estrazione mineraria in acque profonde, uno dei temi caldi dell’agenda in queste giornate di negoziato con al centro l’Accordo nell’ambito della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, sulla conservazione e l’uso sostenibile della diversità biologica marina delle aree oltre la giurisdizione nazionale, in breve Trattato globale per gli Oceani.

Perché il deep mining è centrale nell’agenda della Conferenza Onu sugli Oceani? In che modo l’atteggiamento del governo Usa può influenzare la discussione?

Qui a Nizza la minaccia imminente dell’estrazione mineraria in acque profonde e il comportamento irresponsabile recente dell’industria vengono considerati inaccettabili da molti stati. È significativo vedere, per la prima volta, oltre 20 Paesi dichiarare pubblicamente che la spinta dell’amministrazione statunitense ad aprire i fondali oceanici all’estrazione, bypassando le Nazioni Unite, sarebbe contraria al diritto internazionale. A poche settimane dalla riunione di luglio dell’Autorità internazionale dei fondali marini, il multilateralismo sta rafforzandosi per difendere gli oceani dall’avidità.

Cosa dovrebbe accadere in questi giorni, che cosa auspicate?

La minaccia dell’estrazione mineraria in acque profonde è stata al centro dei discorsi di apertura della Conferenza e tanto Macron quando il presidente brasiliano Lula l’hanno definita «predatoria». Il segretario Onu Antonio Guterres ha invece dichiarato che i fondali oceanici non devono diventare il Far West. Questa terza Conferenza sugli Oceani del resto arriva dopo che l’azienda canadese The Metals Company ha recentemente presentato agli Stati Uniti – anziché all’organismo di regolamentazione dell’Onu – la prima domanda al mondo per l’estrazione mineraria nei fondali marini internazionali, suscitando grande controversia politica. L’Unoc, allora, deve essere il momento in cui più governi fermano la corsa avida all’estrazione mineraria dei fondali e sostengono la cooperazione globale e l’ordine internazionale. E devono annunciare il loro sostegno a una moratoria sull’estrazione mineraria in acque profonde prima della prossima riunione dell’Autorità internazionale.

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Lei è positiva rispetto all’adozione del Trattato?

Macron ha aperto la Conferenza con un discorso entusiasta, annunciando con fiducia ai delegati che potremmo superare le 60 ratifiche del Trattato globale per gli oceani. Se ciò fosse vero – e ci crederemo solo quando lo vedremo – questo sarebbe il momento che stavamo aspettando di celebrare. Quel che è certo, è che si tratta dell’unico strumento a disposizione dei governi per raggiungere l’obiettivo del 30×30, la protezione del 30% delle terre e dei mari entro il 2030. Fino alla scorsa settimana, solo 31 nazioni avevano depositato la propria ratifica presso l’Onu. Per ora sono solo parole – tutti gli occhi sono puntati su ciò che faranno i governi e se riusciranno a raggiungere questo obiettivo entro la settimana.



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