Dodici mesi fa la nascita del nuovo Parlamento europeo ha segnato un punto di rottura col passato: i dubbi alla sinistra del Pd sul piano ReArm, la marcia indietro sulla dottrina Timmermans e la centralità italiana trainata dal governo Meloni sono gli elementi principali del dibattito. Senza dimenticare sfide come difesa e IA
10/06/2025
Un anno dopo le elezioni europee del 2024 l’Italia ha visto dossier, ruoli, alleanze e strategie mutate e non solo nei settori eclatanti, come l’automotive o l’immigrazione. La nomina a commissario di Raffaele Fitto, l’exploit di Ecr/FdI, la centralità di Roma nelle principali tematiche, il dialogo conservatori-popolari, sono elementi su cui interrogarsi per provare a immaginare le nuove traiettorie continentali e i riverberi all’interno del belpaese. La novità per l’Italia si chiama Ecr/Fdi, passata da 7 eurodeputati del 2019 a 24 incassati nel 2024, mentre la pattuglia complessiva di Ecr è passata da 62 a 79 eletti, diventati nel frattempo 81 in virtù di due ingressi. Una moltiplicazione di voti che è seguita alla vittoria di Fratelli d’Italia alle politiche del 2022, con percentuali simili. Sui temi dunque e sulla presenza di quelle istanze nell’euroemiciclo è cambiato il peso italiano in rue Wiertz.
Il risultato dei conservatori di Ecr
“È passato un anno dalle elezioni europee ed è tempo di un primo bilancio. Fratelli d’Italia, grazie allo straordinario risultato del giugno 2024, rappresenta oggi con i suoi 24 membri la più grande delegazione italiana e la terza più grande dell’intero Parlamento europeo”, dice Carlo Fidanza, capodelegazione di Fratelli d’Italia al Parlamento europeo, secondo cui la centralità politica di FdI si è da subito manifestata con la conferma di Nicola Procaccini alla co-presidenza del gruppo Ecr, con l’elezione di Antonella Sberna a vicepresidente del Parlamento e con il risultato più importante, la nomina di Raffaele Fitto a vicepresidente esecutivo della Commissione.
In questi dodici mesi FdI è stata centrale, è il ragionamento dell’eurodeputato lombardo, “di concerto con la presidente Meloni e i nostri ministri, nel cercare di modificare i tanti errori della passata legislatura, lavorando per costruire ogni giorno quella maggioranza alternativa di centrodestra che gli elettori europei hanno chiesto col loro voto”. Il riferimento è ad una serie di ambiti strategici come la transizione ecologica “difendendo la nostra industria e la nostra agricoltura”, la lotta alla burocrazia, l’utilizzo del modello Albania sull’immigrazione (strada guardata con interesse da Regno Unito e Germania), l’attribuzione del premio Sacharov ai leader dell’opposizione venezuelana; passando per iniziative come la prima mostra delle foibe ospitata al Parlamento europeo.
Fitto commissario
Una primizia chiamata Raffaele Fitto: l’esponente pugliese di FdI è passato da ministro a vicepresidente esecutivo della Commissione guidata da Ursula von der Leyen, un risultato non agevole visti i veti dei socialisti, ma che nei fatti ha rispecchiato i reali valori in campo: personali, di partito e del Paese che rappresenta. Da un lato il suo raggio d’azione spazia sino al lavoro su riforme e investimenti per rafforzare la crescita europea e dall’altro verso le politiche di coesione, con gli investimenti in favore degli Stati membri, delle regioni, delle autorità locali e dei cittadini. Il via libera delle commissioni preposte è arrivato il 20 novembre scorso (dopo settimane di trattative), a suggellare un risultato per l’Italia che il presidente del consiglio Giorgia Meloni definì “una vittoria di tutti gli italiani”.
Modello Albania
Sull’immigrazione, in modo particolare, c’è stato un cambio di passo a Bruxelles dal momento che la nuova legislatura è coincisa temporalmente con la realizzazione dei due centri in Albania. “Abbiamo indicato una rotta chiara – osserva Alessandro Ciriani, vice-coordinatore Ecr nella commissione LIBE del Parlamento europeo – fatta di fermezza nei controlli, difesa dei confini, cooperazione internazionale e strumenti concreti per contrastare l’immigrazione illegale. Oggi l’Europa inizia a seguirci: si afferma il principio dei rimpatri rapidi, si lavora su una lista comune dei Paesi sicuri, si riconosce la validità dell’accordo Italia-Albania come strumento innovativo per gestire i flussi, tutelare la sicurezza e rafforzare la dimensione esterna della politica migratoria”.
I dati di Frontex raccontano, in questo senso, che nei primi quattro mesi del 2025 gli attraversamenti irregolari alle frontiere esterne dell’Ue sono diminuiti del 27%, segno che secondo Ciriani “stiamo andando verso la direzione giusta”.
La sinistra e i dubbi sul ReArm
A sinistra il gruppo maggiore è quello dell’Alleanza progressista di Socialisti e Democratici, con 136 seggi. Tra i più suffragati in Italia c’è il piddino Brando Benifei, che pochi giorni fa a proposito dei dazi ha osservato che “se Meloni parla con Trump per conto della Unione europea, fa bene”. Assieme all’irlandese di Renew Michael McNanamara, Benifei è special advisor sull’IA del Parlamento Ue. Ciò che emerge tra i due blocchi è la spaccatura profonda sulla politica estera: dopo aver criticato il piano ReArm Europe presentato da Ursula von der Leyen, Elly Schlein si è trovata in una posizione ibrida, in quanto nomi forti del Partito socialista europeo si sono schierati a favore del piano, come gli ex segretari del Nazareno Enrico Letta e Walter Veltroni e gli ex premier Romano Prodi e Paolo Gentiloni. Alla sinistra del Pd nell’euroemiciclo Movimento 5 Stelle, Verdi e Sinistra Italiana sono contrari al piano di Von der Leyen, mentre nel gruppo S&D altre delegazioni come quella spagnola e tedesca sono ormai convinti della difesa comune.
Il puzzle Green deal
Uno dei dossier maggiormente intricati è quello della transizione ecologica legata all’automotive. La posizione di buona parte della sinistra italiana è a favore della dottrina Timmermans: in occasione di un recente evento organizzato al Parlamento europeo di Bruxelles il leader del Movimento 5 Stelle, Giuseppe Conte, ha dichiarato che “stiamo passando dal Green Deal al Military Deal”, citando come esempio la Germania, dove stabilimenti industriali che un tempo producevano automobili ora sono destinati a fabbricare carri armati. L’intero centrodestra si è espresso in questi 12 mesi a favore di una transizione che non sia assolutista e ideologica, ma faccia presa sulle esigenze delle imprese, armonizzando decisioni e istanze.
In questo senso va raccolta la dichiarazione di intenti di Teresa Ribera, vicepresidente esecutiva della Commissione europea, secondo cui è necessario raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione e rispettare i target per il clima, ma al contempo “garantendo competitività alle imprese”. E il fatto che la considerazione parta da un esponente convintamente green la dice lunga su come in questo anno di lavori tra Parlamento e Commissione Ue si sia raggiunta una nuova consapevolezza sulla materia. Sempre su questo tema, la Commissione dovrebbe in queste settimane avanzare la proposta legislativa sui parametri climatici al 2040 con l’aggiunta di una serie di concessione legate alla flessibilità da proporre ai singoli governi.
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