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Jobs Act, restano le tutele crescenti: cosa significa


L’esito dei referendum sul lavoro dell’8 e 9 giugno 2025 è stato chiaro: non essendo stato raggiunto il quorum, le norme esistenti restano in vigore.

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In particolare, resta in piedi l’impianto del Jobs Act, che continua a regolare assunzioni, licenziamenti e contenziosi sul lavoro. Nonostante le critiche e i tentativi di modifica, la riforma renziana del 2015 resta il punto di riferimento.

Ma cosa implica oggi, per aziende e lavoratori, la permanenza delle tutele crescenti?

Come funziona il contratto a tutele crescenti

Il contratto a tutele crescenti è stato pensato per incentivare le assunzioni a tempo indeterminato, garantendo una maggiore protezione al lavoratore con l’aumentare dell’anzianità aziendale. A differenza del sistema precedente, che prevedeva un reintegro quasi automatico in caso di licenziamento illegittimo, il nuovo regime punta principalmente sull’indennizzo economico, calcolato in base agli anni di servizio.

La tutela reintegratoria resta limitata a casi eccezionali, come quelli di licenziamento discriminatorio o totalmente infondato. In tutti gli altri casi, il lavoratore riceve un’indennità che cresce progressivamente nel tempo. Questo approccio intende offrire un equilibrio tra flessibilità per l’impresa e garanzie minime per il dipendente.

Pro e contro per il mercato del lavoro

Dal punto di vista delle imprese, le tutele crescenti rappresentano uno strumento utile per pianificare con maggiore certezza i costi legati al personale. Il superamento della reintegra automatica consente infatti una maggiore libertà gestionale, soprattutto nei casi di crisi aziendali o riorganizzazioni.

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Per i lavoratori, invece, i vantaggi sono più sfumati. Se da un lato l’indennizzo crescente premia la stabilità del rapporto di lavoro, dall’altro la minore certezza del reintegro ha sollevato perplessità in termini di reale protezione. Il rischio è quello di una precarietà mascherata da stabilità contrattuale.

L’impatto del Jobs Act sulle assunzioni

Il Jobs Act è nato con due finalità principali: rendere più flessibili le regole sui licenziamenti per stimolare le assunzioni stabili, e ridurre il contenzioso del lavoro. L’introduzione del contratto a tutele crescenti, applicabile a tutte le assunzioni a tempo indeterminato dal 7 marzo 2015, ha segnato una svolta normativa.

Nei primi anni, anche grazie a incentivi come l’esonero triennale previsto dalla Legge di Stabilità 2015, si è registrato un boom di assunzioni a tempo indeterminato. Tuttavia, dal 2017 in poi, le imprese hanno progressivamente preferito tornare ai contratti a termine, considerati meno rischiosi.

Una svolta si è verificata nel periodo post-pandemico: dal 2024 in poi si assiste a una riduzione dell’utilizzo del contratto a termine e a un ritorno alla fidelizzazione del personale, con una quota di lavoro a tempo determinato scesa sotto il 14%.

L’impatto sui licenziamenti

Uno dei principali obiettivi del Jobs Act era favorire il turnover, eliminando vincoli considerati eccessivamente rigidi. I dati mostrano che non si è verificata una “valanga” di licenziamenti.

Nel periodo 2014-2024, i licenziamenti economici sono diminuiti sia nelle grandi imprese che nelle PMI. Diversamente, sono cresciuti quelli per motivi disciplinari: da 21mila a 56mila nelle imprese con oltre 15 dipendenti, e da 33mila a 47mila nelle più piccole. Questo suggerisce un uso più selettivo ma deciso degli strumenti disponibili.

I contenziosi sul lavoro

Uno dei risultati più evidenti del Jobs Act è la riduzione complessiva dei contenziosi: da oltre 105mila nuovi procedimenti nel 2014 a 67mila nel 2024. Tuttavia, isolando i soli casi di licenziamento, emerge un’inversione di tendenza: dal 2021 in poi, le cause sono aumentate, fino a raggiungere 105mila nuovi procedimenti nel 2024.

Paradossalmente, mentre i licenziamenti calavano a 680mila (il livello più basso degli ultimi vent’anni), il tasso di litigiosità raggiungeva il massimo del decennio: 1,6 ricorsi ogni 100 licenziamenti.

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Secondo gli esperti, tra i motivi c’è l’evoluzione giurisprudenziale che ha progressivamente indebolito gli automatismi previsti dalla riforma, restituendo al giudice maggiore discrezionalità nella scelta della sanzione (reintegro o indennizzo).



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