PROLOGO
Siamo una Banca dalla parte delle aziende nei momenti che contano. Quando le imprese nascono da un’idea, quando scelgono di crescere, quando hanno la necessità di ripensarsi per affrontare una crisi.
Per questo abbiamo deciso di raccontare la storia di aziende italiane di successo che, a un certo punto della loro vita, hanno dovuto affrontare una crisi “esistenziale”.
A volte, questi momenti difficili sono il riflesso di fenomeni che colpiscono la Società nel suo insieme. Come succede con il cambiamento climatico, una guerra, una pandemia. Oppure con un disastro naturale di grandi proporzioni, o con l’aumento del costo dell’energia e di altre materie prime. Tutti esempi di situazioni contingenti che investono in modo negativo l’impresa.
Altre crisi sono più specifiche dell’azienda in quanto tale: l’interruzione di una catena di approvvigionamento, il cambiamento delle abitudini dei consumatori, l’irruzione di nuovi concorrenti. Oppure una crisi di liquidità momentanea, la fine di un contratto di fornitura esclusivo, l’introduzione di un dazio, la mancata resa di un raccolto, il cambio generazionale nella leadership. La lista potrebbe continuare.
Il punto è che nelle storie che abbiamo raccolto ci sono traiettorie comuni. Ognuno di questi marchi si è trovato in difficoltà, ma è rinato mettendo in atto una combinazione vincente di strategie simili.
Si sono modernizzati e reinventati senza perdere la loro identità. Hanno puntato sull’innovazione, ma senza perdere la loro anima. Si sono lasciati alle spalle la nostalgia, ma non hanno mai abbandonato ciò che li rendeva unici.
Hanno usato lo storytelling come un’arma. Non si sono limitati a vendere un prodotto, ma sono riusciti a raccontare la loro storia, la loro visione del mondo. Qualcuno lo chiama “ “branding emotivo”: hanno cercato e trovato una connessione più profonda con i consumatori, capace di andare al di là dell’atto dell’acquisto.
Oppure hanno dato vita a partnership strategiche (fusioni, acquisizioni, collaborazioni) per alimentare la ripresa del loro percorso di crescita, per esempio sviluppando il loro know-how con l’aiuto di una Università.
La lezione per gli imprenditori, o anche per quelli semplicemente aspiranti tali, è che il business non è solo una questione di sopravvivenza, ma di reinvenzione.
Per lanciare una startup senza un passato o rilanciare un prodotto che ha una storia, la chiave è evolversi rimanendo inconfondibilmente se stessi. Un fallimento non è definitivo.
Un momento di difficoltà è solo questo: un momento. Reinventarsi è possibile.
In queste storie di resilienza, le banche, e un certo tipo di banca in particolare, hanno spesso avuto un ruolo decisivo. Dietro le quinte, sono state gli architetti silenziosi della rinascita.
Alcune volte hanno fornito il capitale per la modernizzazione tecnologica o la transizione verso nuovi modi di raggiungere i clienti, magari abbracciando un approccio “direct-to-consumer” o sfruttando appieno l’e-commerce.
In altri casi, hanno finanziato il riposizionamento del marchio verso la dimensione “premium” oppure facilitato la crescita internazionale, agendo come intermediari finanziari, fornendo finanziamenti commerciali, lettere di credito e strategie di ingresso nel mercato. Per esempio, sfruttando le loro “relazioni di sistema” per facilitare fusioni, acquisizioni o attirare altri investitori.
Durante il Covid, quelle capaci di farlo hanno fornito prestiti di emergenza, ristrutturazione del credito e supporto alla pianificazione finanziaria per garantire che le aziende potessero superare la tempesta, magari ripensando le operazioni, spostando le vendite online, diversificando le catene di approvvigionamento e assicurandosi il capitale circolante per sopravvivere ai lockdown.
Sfide nuove vengono dalle turbolenze che stanno investendo il commercio globale con l’uso (o la minaccia) dei dazi come arma in una guerra economica a tutto campo.
Il punto è che nei momenti più delicati della vita di un’impresa, il tempo stringe, le risposte scarseggiano e la pressione aumenta. Una crisi obbliga un’azienda a tornare alle domande fondamentali, e a trovare risposte nuove. Per chi ha il coraggio di vederla, c’è una crepa in ogni cosa. È così che entra la luce. Nella vulnerabilità c’è spazio per l’innovazione, per la creatività, per il cambiamento.
In questi frangenti, una banca può aiutare a leggere la complessità del mercato, a trasformare l’urgenza in strategia e il bisogno immediato in un’opportunità di rilancio. Come amava dire Winston Churchill, “non bisogna mai sprecare una buona crisi”.
MASI AGRICOLA: GUSTO PER LA TRADIZIONE, SETE DI INNOVAZIONE
Anno domini 1772: il giovane Giobatta Boscaini cammina per due ore prima di raggiungere un vigneto nella valle del “Vaio dei Masi”, nel cuore della Valpolicella, un ventaglio di valli che si irradiano da Verona e su cui sventola lo stendardo della Serenissima. È un vigneto in collina, fuori mano, di proprietà di una famiglia di fornai che non ha il tempo né la voglia di occuparsene. In cambio di un po’ di olio e vino, Giobatta ottiene il permesso di coltivare quel vigneto. Non sa che sta piantando qualcosa di molto più grande di una vite. Sta piantando una dinastia.
Da allora otto generazioni di Boscaini si sono succedute alla guida di Masi Agricola, l’azienda nata e cresciuta a partire da quel vigneto e specializzata nella produzione di vini pregiati nella Valpolicella, e in particolare di un vino leggendario come l’Amarone. Duecentocinquanta vendemmie dopo, Masi Agricola è una società quotata sul mercato Euronext Growth Milan, segmento dedicato alle PMI ad alto potenziale di crescita. Quello che segue è un piccolo assaggio della sua storia e del suo futuro.
L’ascesa
Sullo sfondo di quei “colli cari a Bacco” (copywright Ippolito Pindemonte), in un lembo di terra unico al mondo, con un clima mite e quasi mediterraneo grazie allo scudo dei monti Lessini, a nord, e all’influsso del Lago di Garda, a ovest, la famiglia Boscaini espande il suo piccolo nucleo iniziale tra un matrimonio strategico (nulla di inedito, quando si crea un grande casato) e l’acquisto di nuovi vigneti, messi in vendita in tutta fretta da falsari di monete finiti nel mirino della Giustizia.
Davanti alla schermata di Google Earth, prendetevi un attimo per guardarla dall’alto, la Valpolicella: vedrete un paesaggio-patchwork, dove il terreno argilloso del fondovalle si compatta nell’arenaria calcarea dei pendii delicati di colline che non superano i 600 metri.
In questo mosaico di biodiversità, grazie all’esposizione solare ottimale e al drenaggio naturale dell’acqua, prosperano vitigni autoctoni come Corvina, Corvinone, Rondinella, la materia vivente di vini di fama mondiale come l’Amarone, il Recioto e il Valpolicella Classico.
Una terra costellata di ville venete d’epoca, di borghi medievali e chiese romaniche, con i tradizionali muretti a secco a delimitare i terrazzamenti secolari in cui crescono i vigneti collinari, dove la Natura va a braccetto con la Storia. Che, intanto, fa il suo corso: Napoleone, il Regno Lombardo-Veneto sotto gli Asburgo, il Regno d’Italia.
Nel 1882, Masi Agricola fa un primo salto di qualità e passa dalla vinificazione domestica alla produzione industriale, trasferendo la sede dal “Vaio dei Masi” di Torbe a Valle di Marano. Dalla collina alla pianura. Dove c’è la ferrovia. Dove c’è il mercato.
Sperimenta nuovi terreni, separa la gestione del vigneto dalla gestione commerciale, ma mantiene saldi i legami con la Valpolicella collinare, culla dell’Amarone. E’ già presente il tratto distintivo dell’azienda: fedele alla tradizione quanto pronta a cercare strade nuove.
Per decenni, Masi Agricola pratica il conferimento: le uve vengono portate a grandi cantine o cooperative dove il vino è prodotto e venduto sfuso, in botti o damigiane, senza un’identità di marca riconoscibile.
Nel secondo Dopoguerra, una nuova svolta: Masi Agricola abbandona il conferimento e decide di imbottigliare da sé. Di raccontarsi. Di firmare i suoi vini. Di puntare sulla qualità e sul valore del brand. Dalla vigna alla bottiglia: una mossa da pionieri, che le permette di controllare la filiera e farsi conoscere con il proprio nome.
Negli anni ’60 e ’70, sotto la guida di Sandro Boscaini, “Mister Amarone”, Masi Agricola lavora incessantemente al miglioramento del suo prodotto di punta, codificando e innovando la tecnica dell’appassimento, che è il cuore dell’Amarone di alta gamma.
Tra gli anni ‘80 del Novecento e l’inizio del nuovo millennio, l’azienda diversifica il suo portafoglio attraverso acquisizioni e partnership strategiche, integrando marchi nobili come Serego Alighieri, discendenti del Sommo Poeta, e Bossi Fedrigotti. La sua portata globale si estende oltre la Valpolicella attraverso l’acquisizione di tenute in Toscana e Argentina e nell’anno della quotazione, il 2015, produce 12 milioni di bottiglie. L’anno dopo acquisisce Canevel, un’azienda che produce e commercializza in Italia e all’estero spumanti premium, e in particolare il Valdobbiadene Prosecco Superiore DOCG.
Ma non si tratta solo di diventare più “grandi”. Masi Agricola è tra le prime aziende a sfruttare appieno le potenzialità dell’IGT (Indicazione Geografica Tipica): amplia e diversifica la gamma di prodotti acquisendo altri territori, altre denominazioni, altre imprese per attrezzarsi a rispondere più rapidamente ai cambiamenti del mercato. Però mantiene un’identità territoriale forte, riuscendo nel miracolo di creare un “effetto marca” capace di trasferire valore da un vino all’altro.
Masi Agricola è ormai diventata una multinazionale di media grandezza, presente in 140 Paesi del mondo e che realizza all’estero quasi il 70% dei suoi 65 milioni di euro di ricavi medi annuali.
È più piccola dei grandi gruppi familiari toscani o veneti, come gli Antinori (300 milioni di euro), i Marchesi Frescobaldi (150 milioni), gli Zonin (200 milioni) o il Gruppo Vinicolo Santa Margherita (oltre 200 milioni). A loro volta, microbi rispetto ai giganti mondiali come l’americana Constellation (oltre 8 miliardi di dollari di fatturato, con marchi come Robert Mondavi e Ruffino) o l’australiana Treasury Wine Estates (1,5 miliardi di dollari, Penfolds e Beringer a portafoglio).
Masi Agricola, del resto, vuole giocare in un’altra categoria: più che su volumi giganteschi, come detto, punta su un’identità forte legata a territorio e tradizione tecnica. Su vini iconici come l’Amarone. Sul “soft power” di un marchio altamente riconoscibile. È anche l’unica azienda vinicola italiana ad essere approdata in Borsa, se si esclude Italian Wine Brands, che commercializza vini ma non possiede vigneti propri.
Venti contrari
La crescita stabile di Masi Agricola è maturata all’ombra del calo del consumo pro-capite che da oltre 50 anni si allunga sull’industria enologica italiana: il picco storico di 110 litri all’anno viene raggiunto nel 1965, ma a distanza di 40 anni, nel 2005, il consumo si è più che dimezzato a 45,7 litri, mentre negli ultimi anni è sceso fino a 37-38 litri.
Si tratta di una delle trasformazioni più sorprendenti delle abitudini alimentari degli Italiani, ma non è l’unica. L’Italiano medio negli anni ’50 mangiava 90 kg di pane e beveva 70 litri di latte. Oggi siamo, rispettivamente, a 30 kg. e a 40 litri. È cambiato tutto.
Da un passato in cui il vino era un alimento quotidiano che forniva le calorie necessarie per il lavoro nei campi o in fabbrica, si è arrivati a un consumo più occasionale e selettivo.
E il cambiamento culturale da “abitudine” a “occasione” racconta molto più di una semplice statistica.
Le nuove generazioni non hanno lo stesso rapporto con il vino. La tradizione del “vino a tavola” si è affievolita e i giovani tendono a scegliere bevande diverse o a consumare alcol solo in determinati contesti sociali. Cocktail, birra, distillati, bevande analcoliche e persino alternative a basso contenuto alcolico competono con il vino per l’attenzione del consumatore.
Insomma, il vino resta un simbolo della cultura italiana, ma il suo ruolo è mutato. Si beve meno, ma forse meglio, con maggiore attenzione alla qualità e al momento del consumo.
Il posizionamento di Masi Agricola interpreta al meglio questi trend, ma un cigno nero attraversa l’orizzonte nel 2020. L’arrivo del Covid colpisce in profondità l’industria vinicola globale, interrompendo l’operatività nei vigneti, le catene di approvvigionamento e i canali di vendita.
Il lockdown chiude in casa gli Italiani, ma anche ristoranti, hotel, bar ed enoteche. Il canale HoReCa, il settore della ristorazione e dell’ospitalità, è completamente inaridito. Idem per il canale del Travel Retail, un tradizionale punto di forza per Masi Agricola, con le navi da crociera, le stazioni e i duty-free degli aeroporti deserti per l’azzeramento dei viaggi.
Reggono solo l’Off-trade, che vende attraverso i monopoli di distribuzione e la GDO, i supermercati e i negozi specializzati, e l’Online, ma l’impatto della pandemia sui conti aziendali è drammatico: i 65 milioni di euro di ricavi nel 2019 sono scesi a 52 milioni di euro. Masi Agricola perde in un anno il 20% del fatturato.
Il settore vinicolo italiano “brucia” in pochi mesi circa 2 miliardi di euro di ricavi, la crescita di cinque anni. Una raffica di decreti del governo Conte aiuta il settore a mantenere la liquidità necessaria, fornendo finanziamenti garantiti dallo Stato, moratorie sui mutui, contributi a fondo perduto, agevolazioni fiscali e crediti d’imposta per sanificazione e dispositivi di protezione.
Masi Agricola, nel corso di quell’annus horribilis, si rimbocca le maniche e acquisisce finanziamenti bancari per quasi 20 milioni di euro. Nel 2021, emette un minibond da 12 milioni di euro. L’indebitamento netto passa dai 17 milioni di euro del 2019 ai 24 milioni del 2020, per poi crescere progressivamente sino ai 30 milioni nel 2023.
Sono risorse che l’azienda investe in progetti strategici: espansione internazionale e pratiche sostenibili lungo tutta la filiera produttiva. Senza smettere di prendersi cura anche dei suoi dipendenti, fornendo una copertura assicurativa specifica per il Covid che prevede indennità per ricoveri ospedalieri e assistenza post-ricovero.
Quando il mondo riapre, Masi Agricola esce, con stile, da un biennio complicato e il fatturato torna ai livelli pre-pandemia nel 2021 e addirittura cresce a quasi 75 milioni di euro nel 2022.
I guai, però, non sono finiti. Nel 2023 il raccolto viene compromesso dalla peronospora e dalle condizioni meteorologiche avverse. Le perdite di produzione nei vigneti italiani si aggirano intorno al 20-30%, con punte del 70% in alcune aree del Sud. Il danno economico complessivo per il settore vitivinicolo viene stimato in oltre 1 miliardo di euro.
La formula “a memoria d’uomo, nessuno ricorda una stagione come l’ultima” entra nei bilanci aziendali per sottolineare l’eccezionalità di un evento climatico. La verità è che si tratta di una “coperta statistica” molto corta: negli ultimi dieci anni, 146 eventi meteorologici estremi hanno danneggiato l’agricoltura italiana. Oltre la metà si è verificata nell’ultimo biennio. Inverni miti fanno sì che le piante anticipino la fioritura, mentre il killer si materializza nelle sembianze di una gelata tardiva, come quella che hanno colpito i vigneti in Trentino nel 2024. Le colture diventano più vulnerabili a parassiti e malattie, aggravando il passivo.
E questo è solo l’inizio: senza interventi di adattamento, dice un documento ufficiale del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, il settore agroalimentare italiano rischia perdite economiche di 12,5 miliardi di euro all’anno entro il 2050.
La narrazione dell’evento “mai visto prima”, in altre parole, non può minimizzare la portata di un problema strutturale: quello della sostenibilità economica dell’agricoltura tradizionale nel tempo del cambiamento climatico.
Non bastassero una pandemia e il clima impazzito, tornano i mostri del passato: la guerra in Europa e l’inflazione. Costi operativi più elevati per gli aumenti dei prezzi delle materie prime, dall’energia al vetro, iniziati nel 2022, erodono la redditività di Masi Agricola, così come l’inflazione erode la capacità di spesa dei consumatori.
Il fatturato torna a calare nel 2023: 66,4 milioni di euro, -11,1% rispetto al 2022, pur restando leggermente sopra i livelli pre-Covid. I fratelli Boscaini riconoscono esplicitamente la necessità di un adattamento strategico per affrontare questi forti venti contrari.
Il futuro
Oggi le prospettive di ripresa di Masi Agricola sono trainate da una combinazione di scelte strategiche, innovazione tecnologica e gestione finanziaria.
La strategia di prodotto, Sandro Boscaini, il Presidente, la racconta così: “L’obiettivo non è inseguire volumi o mode passeggere, ma presidiare il segmento premium e super-premium del mercato globale del vino. Vogliamo restare fedeli alle nostre radici, innovando nella continuità”.
E innovazione nella continuità è stata. Come era già accaduto in passato, nel 1964, quando ai vini iconici come l’Amarone e il Costasera, si era affiancato il Campofiorin, un vino appassito originale, ricco di aromi e profumi, a metà tra la cordiale semplicità della Valpolicella e la complessità dell’Amarone. Era nato il primo Supervenetian, diventato in 50 anni un punto di riferimento per il territorio veronese, capace di conquistare più di 300 milioni di persone in oltre 100 paesi e di diventare un simbolo dell’Italian Wine Style.
La crisi ha accelerato il lancio di nuovi prodotti per attrarre un pubblico più giovane e attento al rapporto qualità-prezzo. Fresco di Masi è il condensato di questo “aggiustamento” strategico: un vino biologico a lavorazione minimalista, rivolto ai consumatori più giovani e alle nuove tendenze del mercato. Fatto come un volta, insomma, ma buono. Semplice. Zero sovrastruttura. È una spremuta d’uva che non passa attraverso l’appassimento mediato dagli zuccheri. Anche la bottiglia è alleggerita, attraverso uno spessore ridotto, in vista di un consumo più immediato. La colla dell’etichetta è naturale e il tappo è di sughero riciclato impermeabilizzato con la cera d’api, un polimero naturale.
Innovazione spinta, dunque. Nel prodotto come nei processi. Già negli anni ’80, l’azienda aveva dato vita al Gruppo Tecnico Masi, un team multidisciplinare focalizzato su controllo della qualità, sulla ricerca e sulla sperimentazione.
Lì è nato il sistema NASA (Natural Appassimento Super Assisted): l’essiccazione dell’uva che, dai tempi dei Romani nelle Venezie, consisteva nel far riposare i grappoli, nei mesi invernali, sdraiati su graticci di bambù prima della vinificazione, ora è governata da computer che controlla con precisione la temperatura, l’umidità e la ventilazione, riducendo al minimo il rischio di muffe. La qualità è più costante perché il sistema permette di replicare le condizioni ideali delle migliori annate. E in un’agricoltura di precisione basata sui dati, Masi Agricola può mettere a frutto oltre un secolo di informazioni accuratamente raccolte e archiviate.
Nel corso di 25 anni, il suo team tecnico ha sviluppato ceppi di lievito proprietari, fatti su misura per la fermentazione dei suoi vini. Ha rinnovato la tecnica del “ripasso”: il vino fresco viene rifermentato con una parte di uve semi-appassite, aggiungendo la complessità, il corpo e la profondità aromatica che si ritrova nei vini di punta come il Campofiorin.
Collaborando con l’Università di Torino e la Cattolica di Piacenza, Masi Agricola sta testando nei suoi vigneti sperimentali vitigni autoctoni più resistenti alla siccità, tecniche di potatura mirata per proteggere i grappoli dalle ondate di calore, e coperture vegetali tra i filari per migliorare la ritenzione idrica del suolo. L’obiettivo dichiarato è quello di sviluppare piante e tecniche capaci di adattarsi ai cambiamenti climatici e alle esigenze di qualità.
Anche la distribuzione ha una nuova parola d’ordine: “omnicanalità”. Tutti i punti di contatto e i canali di comunicazione, sia fisici che digitali, tra azienda e clienti, sono gestiti in modo integrato e sinergico per offrire un’esperienza unica, personalizzata e senza interruzioni lungo tutto il percorso di acquisto.
I social media diventano così lo strumento d’elezione per promuovere i ristoranti e l’esperienza del vino, mantenendo il marchio al centro dell’attenzione dei consumatori e dei partner commerciali. La Masi Wine Experience include visite ai vigneti, degustazioni e turismo del vino in luoghi iconici, otto wine bar gestiti direttamente in Italia e all’Estero, l’ultimo in ordine di tempo aperto a Monaco di Baviera.
Il “Masi Investor Club” è riservato agli azionisti che possiedono almeno 1.000 azioni della società, mentre con la, il consumatore riceve i prodotti direttamente al domicilio desiderato, in 24-48 ore e con tariffe agevolate, in oltre 20 paesi.
Un processo di acquisto indimenticabile, ma per creare una connessione ancora più profonda con i consumatori, Masi Agricola ha scelto di raccontare sé stessa e la sua visione del mondo, attingendo a una cultura d’impresa incentrata sulla famiglia e su un certo modo di intendere il lavoro, in un’azienda dove il turnover è limitato e l’anzianità media è di 13 anni.
Dove gli eredi della dinastia passano attraverso un apprendistato fatto di lavoro manuale e di vissuto della terra. Generazione dopo generazione, quel vissuto è diventato memoria condivisa, fascino, marchio. Un Amarcord fatto di bottiglie etichettate a mano, mettendo le capsule deformate dal calore di un incendio che ha devastato una cantina, ma che non bisogna sprecare. Come non va sprecata la memoria del confine invisibile tra l’odore acre della fermentazione del mosto in cantina e il profumo di frutta che emana dal solaio dove avviene l’appassimento. Casa e bottega perché si viveva negli stessi luoghi dove avveniva la produzione. Casa e bottega come quando i consigli di amministrazione si tenevamo, a tavola, la domenica.
Masi Agricola ha anche fatto proprio il tema della sostenibilità ambientale: ha ridotto i consumi, a partire dall’acqua, e la plastica nel packaging. Produce il 15% del suo fabbisogno energetico con impianti fotovoltaici. Costruisce e rinnova le sue sedi nel rispetto di un sapere millenario e di un know-how futuristico: prendete la nuova sede Monteleone21. Cantina e centro esperienziale, è rivestita in pietra locale, con un richiamo ai muretti a secco tipici dei vigneti collinari della Valpolicella di cui si diceva all’inizio. Impatto visivo minimo e legame indissolubile con la tradizione rurale.
Per Masi Agricola non è cosmesi, ma sostanza. Per questo ha aggiornato l’oggetto sociale, allargando ufficialmente le sue finalità alla tutela dell’ambiente, del paesaggio e del patrimonio culturale. È in buona compagnia con Barilla, Ferrero e Lavazza, per limitarci al food, ma nel suo caso c’è una ineluttabilità, una forza del destino che arriva da lontano, da un legame “viscerale” col territorio e che si traduce nel sostegno al recupero del paesaggio veneto, alla promozione della cultura del vino e delle tradizioni locali.
Masi Agricola ha anche dato vita a una nuova governance in un settore dove la governance è spesso poco strutturata e le decisioni rimangono accentrate nelle mani della famiglia. Da dieci anni, c’è un amministratore delegato arrivato dall’esterno, Federico Girotto, un manager con esperienze importanti nell’abbigliamento e nel retail business in generale. Aprendo il capitale a investitori terzi attraverso la quotazione in Borsa, Masi Agricola si è vincolata alla trasparenza e al rigore informativo nei confronti dei mercati. Questo passaggio ha reso possibile l’accesso a nuove risorse finanziarie, stimolando processi di crescita e internazionalizzazione difficilmente raggiungibili per chi rimane chiuso nel perimetro familiare.
Ora c’è un modello monistico che integra amministrazione e controllo in un unico organo, il C.d.A. Il risultato è una struttura più compatta, decisioni più rapide, maggiore efficienza nella gestione.
Il viaggio intorno a Masi Agricola, dalle origini settecentesche ad un assaggio delle prospettive di domani, potrebbe continuare, ma lo facciamo terminare qui perché la morale della storia è sotto i nostri occhi. Cinque anni fa, l’azienda si è trovata, non per la prima volta, di fronte a un bivio: cambiare o rimanere indietro. Ancora una volta è riuscita a cambiare senza perdere la sua identità. La tensione tra strategia finanziaria e sostenibilità operativa non si è ancora dissipata, ma l’aumento dell’indebitamento è stato messo al servizio degli investimenti nel marketing, nella diversificazione di prodotto, nel turismo gastronomico. In altre parole, l’azienda si è attrezzata per emergere con successo nel prossimo ciclo di crescita del mercato del vino. In molti prevedono una ripresa dei consumi nel 2026-2027, grazie alla riduzione dell’inflazione, quasi scomparsa in Europa, con una tendenza lineare verso la ricerca dei prodotti premium: i consumatori acquistano meno vino, ma puntano su prodotti di alta qualità.
Questo fenomeno favorisce i marchi forti, quelli che hanno la capacità di adattarsi ai cambiamenti e una solidità finanziaria sufficiente a sostenere le fluttuazioni del mercato. Sembra l’identikit della multinazionale del vino nata nel vigneto dove andava a lavorare Giobatta Boscaini 250 vendemmie fa.
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