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Cadute negli anziani: 3 segnali prevedono il rischio. Precisi all’86%


Alcuni ricercatori dell’Università di Stanford hanno scoperto i segnali di una possibile caduta nascosti nel nostro modo di camminare

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Eugenio Spagnuolo

Con il passare degli anni, il nostro corpo inizia a mandare segnali che non possiamo ignorare. La vista si fa meno nitida, i muscoli perdono forza, i riflessi rallentano. E così, ogni anno, circa un terzo delle persone oltre i 65 anni finisce per cadere, con conseguenze che possono essere gravi, talvolta fatali. Ma se l’invecchiamento è inevitabile, le cadute non lo sono necessariamente. 

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Un gruppo di ricercatori della Stanford University (USA) ha voluto indagare più a fondo, partendo da una domanda semplice: è possibile prevedere chi cadrà osservando come cammina? La risposta, emersa da uno studio pubblicato sul Journal of Experimental Biology, potrebbe cambiare il modo in cui pensiamo alla prevenzione. 

Prevenire le cadute: lo studio

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Gli scienziati hanno coinvolto dieci volontari sani, tutti giovani adulti tra i 24 e i 31 anni, equipaggiandoli con un’imbracatura attorno alla vita collegata a corde e marcatori. Undici telecamere hanno seguito ogni loro movimento mentre camminavano su un tapis roulant, registrando i minimi dettagli della loro andatura: la prevedibilità della posizione dei piedi, la distanza dal baricentro, il ritmo dei passi. Ma il vero esperimento è iniziato quando i ricercatori hanno deciso di simulare l’invecchiamento. Ai volontari sono stati applicati tutori alle caviglie per limitare la mobilità, maschere per ridurre la visione periferica e dispositivi pneumatici che alteravano l’equilibrio. In pratica, hanno ricreato artificialmente le condizioni che accompagnano l’età che avanza.

La scoperta? Quando i partecipanti erano invecchiati artificialmente, diventava molto più difficile prevedere l’ampiezza di ogni passo o persino quando sarebbe arrivato quello successivo. Era come se il corpo perdesse la sua naturale armonia, quella precisione inconscia che caratterizza una camminata fluida. Confrontando le misurazioni prima e dopo questi handicap, i ricercatori hanno scoperto che non tutti i parametri erano ugualmente utili nel prevedere problemi di equilibrio. Solo tre si sono rivelati efficaci: la differenza nell’ampiezza e nel ritmo di ogni passo e la posizione dei piedi. Ognuno di questi tre indicatori riusciva a prevedere problemi di equilibrio con una precisione superiore all’86 per cento. Ma l’intuizione più interessante è emersa quando hanno confrontato l’andatura di ogni persona con la media dell’intero gruppo. Questo confronto si è rivelato più preciso nel prevedere futuri problemi di equilibrio rispetto al semplice paragone tra il prima e il dopo della stessa persona.

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Problemi di mobilità 

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Attualmente, i medici valutano l’andatura di un paziente solo quando questi inizia ad avvertire problemi di mobilità. Ma i ricercatori suggeriscono un approccio diverso: registrare i dettagli dell’andatura durante tutta la vita adulta di una persona potrebbe fornire un sistema di allerta precoce. Come avere una sorta di impronta digitale del nostro modo di camminare, da confrontare nel tempo per cogliere i primi segnali di rischio. L’idea potrebbe mettere d’accordo anche chi si occupa di economia della salute: misurare l’andatura prima che si raggiunga l’età avanzata permetterebbe ai medici di identificare chi è più a rischio di cadute future, aprendo la strada a interventi preventivi mirati. Non solo questo potrebbe salvare vite umane, ma anche far risparmiare miliardi ai sistemi sanitari, considerando i costi enormi delle fratture e dei ricoveri legati alle cadute negli anziani. In fondo, è un po’ come imparare a leggere i segnali che il nostro corpo ci manda, molto prima che diventi urgente ascoltarli.





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