Sull’ex Ilva la clessidra corre sempre più velocemente, ma forse non è una buona notizia. La soluzione per riattivare il negoziato sulla vendita non è vicina. Il governo, dunque, corre ai ripari con un nuovo decreto che mette sul tavolo 200 milioni di euro in favore di Acciaierie d’Italia in amministrazione straordinaria “per garantire la continuità produttiva e mettere in sicurezza gli impianti”, spiega Adolfo Urso. Non solo, perché il provvedimento proroga anche la possibilità per la Regione Puglia, “di utilizzare i residui di bilancio ai fini del supporto dell’indotto siderurgico”, dice il ministro delle Imprese e del Made in Italy. Inoltre, per gli chi investe oltre 50 milioni di euro in opere all’interno delle aree industriali ex Ilva, o anche in quelle esterne per la funzionalità dello stabilimento, può chiedere l’applicazione delle semplificazioni previste dal decreto Asset del 2023. Urso, però, sottolinea anche l’importanza di trovare una sinergia con le istituzioni locali, ecco perché annuncia che incontrerà il nuovo sindaco di Taranto, Pietro Bitetti, il prossimo 18 giugno, il giorno del suo insediamento, dunque. “Abbiamo una certa urgenza di capire quale sia l’intendimento della nuova amministrazione, nello spirito di piena e leale collaborazione istituzionale”, perché “ dobbiamo fare delle scelte tra pochi giorni, non mesi e incombe la sentenza del Tribunale di Milano”.
Altro capitolo è quello della Cassa integrazione straordinaria. Nel nuovo decreto ci sono 20 milioni aggiuntivi per il 2025 per un programma di integrazione salariale (massimo di 6 mesi e non prorogabili), se in un piano di cessazione di attività vengano riscontrate “concrete prospettive di rapida cessione, anche parziale, dell’azienda con conseguente riassorbimento occupazionale”. Più in generale, per i gruppi di imprese con non meno di mille dipendenti sul territorio italiano, possono chiedere la Cigs fino al 2027, qualora abbiano sottoscritto accordi di programma con sindacati e istituzioni.
Il ministro delle Imprese e del Made in Italy, poi, si toglie un sassolino dalle scarpe con l’Europa. A Urso, infatti, non sono andate giù le parole dell’Ufficio del Portavoce della Commissione Ue, che ha ricordato come la direttiva europea sulle emissioni industriali “garantisce il diritto del pubblico a partecipare al processo decisionale”. In una fase in cui si attende con trepidazione l’autorizzazione integrata ambientale, al responsabile del Mimit le “improvvide affermazioni” sono sembrate “interferenze che, purtroppo, giungono da diversi attori per far fallire il negoziato, evidentemente su commissione di qualcuno”. Perché “in Italia la partecipazione pubblica è garantita dalle procedure di legge, che noi applichiamo con estremo rigore”. Per questo motivo Urso annuncia di aver chiesto alla Rappresentanza italiana a Bruxelles “di stigmatizzare questo comportamento, che non ci pare appropriato, tanto più che avviene nel corso di un negoziato difficile, complesso”.
In questo scenario c’è comunque la questione occupazionale da salvaguardare. Dal tavolo tra sindacati e ministero del Lavoro è emersa la conferma delle “valutazioni in corso su un nuovo piano di incentivazione”, spiega Uilm, che per il futuro chiede un’Ilva decarbonizzata e una legge speciale per lavoratori. Fiom, dal canto suo, ribadisce che la Cigs non basta: “E’ ora di mettere in campo tutti gli investimenti necessari per il rilancio e per dare prospettive alle lavoratrici e ai lavoratori dell’ex Ilva. Il Governo deve intervenire in modo strutturale – chiedono i metalmeccanici della Cgil -, i 200 milioni annunciati sono insufficienti anche per gestire l’amministrazione straordinaria e gli investimenti per la ripartenza degli impianti, figuriamoci per la situazione che riguarda i lavoratori diretti e dell’indotto”. I sindacati, poi, da tempo sostengono la necessità che il pubblico riprenda le redini della più grande azienda siderurgica italiana. Tema sul quale si creano delle imprevedibili simmetrie con Matteo Salvini. Il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, infatti, ribadisce: “Se non c’è una proposta seria di un acquirente privato, lo Stato faccia la sua parte e si assuma la sua responsabilità e gestisca direttamente Ilva”.
Non si tratta di uno stop chiesto ai negoziati con gli azeri di Baku Steel o alle riaperture nei confronti di Jindal e Bedrock Industries, ma della necessità di non perdere un settore fondamentale anche, e soprattutto, per le opere pubbliche. “Oggi abbiamo 2.400 cantieri aperti su strade e ferrovie italiane, ci sarà bisogno di acciaio nei prossimi anni per rimettere a posto il Paese, pensiamo solo al Ponte sullo Stretto – argomenta il vicepremier -. Ecco, avviare tanti cantieri, sistemare tante opere pubbliche per poi, magari, dover andare a comprare l’acciaio all’estero sarebbe abbastanza frustrante”. Ma se gli viene fatto notare che il suo pensiero coincide con quello della Fiom, ad esempio, la risposta è fulminea: “Magari sono loro che la pensano come me”.
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