Dopo attesa, polemiche e molta lotta sindacale, l’accordo di programma per Acciaierie Speciali Terni è stato firmato. Il piano sembra aprire la strada per il rilancio di un’impresa che ha il privilegio di essere una delle sole quattro aziende europee specializzate in laminati piani di acciaio inossidabile. A quanto emerge dal documento, circolato in questi giorni, Arvedi-Ast si è dunque impegnata a investire 1,1 miliardi (di cui la metà dopo il 2029), mentre il ministero delle Imprese individuerà risorse per sostenere l’azienda, fornirà aiuto tramite credito d’imposta e, soprattutto, la Regione Umbria faciliterà l’accesso all’energia idroelettrica prodotta sul territorio.
La storia della siderurgia in Umbria è ultracentenaria. Tutto ebbe inizio nel 1884, quando Vincenzo Stefano Breda fondò la Società Alti Forni, Fonderie e Acciaierie di Terni, e che sarebbe stata destinata a cambiare con il passare del tempo. Una delle trasformazioni che segnarono di più l’acciaieria fu la perdita della possibilità di produrre direttamente energia idroelettrica, con la nazionalizzazione dell’energia elettrica e la nascita dell’Enel nel 1962. Arvedi, in un messaggio apparso lo scorso settembre, non aveva usato mezze parole: “Abbiamo il diritto morale di avere le nostre centrali, o di essere pagati da chi le ha espropriate”.
I forni ternani sono elettrici. Se si esclude l’ex Ilva di Taranto, lo sono quelli di tutta Italia. Senza dubbio, un buon punto di partenza per la decarbonizzazione. Ma, pensando ai costi energetici, è anche un problema che “pesa sulle prospettive del settore a livello nazionale”, come già scriveva l’anno scorso Cassa Depositi e Prestiti in un suo brief sulla siderurgia italiana, “a causa della forte dipendenza del nostro sistema dal gas naturale”. A leggere l’accordo c’è l’intenzione di rispondere favorevolmente alle richieste di Ast. Nel documento si afferma che la Regione Umbria verificherà “la possibilità del ricorso alle forme di gestione mista” in merito alla “gestione delle concessioni”, ed è disponibile a “riservare una quota della capacità produttiva per il 30% della produzione totale alle aziende energivore del territorio umbro, in proporzione alla necessità di approvvigionamento”, con vendita a costo di produzione più una fee commerciale in linea con il mercato. Tutto questo a patto che l’azienda garantisca i livelli occupazionali e ambientali.
Arvedi-Ast si impegna al mantenimento dei suoi attuali 2.229 dipendenti sul fronte occupazionale, anche attraverso la formazione per le nuove tecnologie, nonché a stabilizzare i lavoratori con contratto di lavoro interinale. La Uilm, il sindacato di categoria dei metalmeccanici della Uil, esprime una prima valutazione positiva su questo tema, ricordando con il segretario nazionale Guglielmo Gambardella che nella “storia dell’acciaieria umbra i lavoratori hanno svolto un ruolo a difesa della fabbrica”, e che “la prevista crescita industriale dovrà andare di pari passo con quella dell’occupazione”. Anche la Fim-Cisl è della stessa opinione: “siamo convinti che l’accordo potrà essere volano sia per gli investimenti, ma anche per la valorizzazione dei lavoratori”, dice il segretario nazionale Valerio D’Alò. Per la Fiom-Cgil Loris Scarpa, coordinatore nazionale siderurgia, dice che “finalmente si conclude il percorso e la discussione sull’accordo di programma iniziato nel 2022. Ora non ci sono più alibi”.
Entro il 2028, il piano prevede investimenti per 557 milioni “per l’efficientamento e miglioramento delle prestazioni energetiche e ambientali degli impianti”. In soldoni: 231 milioni andranno alle produzioni di acciaio inox per un nuovo forno di riscaldo a bramme ad alta efficienza, alla riqualificazione di alcune linee, alla riorganizzazione del centro di finitura, agli investimenti nel tubificio e un progetto di trattamento e recupero scorie. Altri 169 saranno usati per la riqualificazione degli impianti; 2 per gli elettrolizzatori; 68 per assicurare sicurezza e sostenibilità ambientale; e 87 per un piano di sviluppo con riqualificazione delle linee a freddo attualmente presenti. Fanno parte della seconda tranche di investimenti – e bisognerà perciò attendere almeno il 2029 perché se ne parli – una nuova linea di trattamento a freddo (costerà 162 milioni) e quelle di lavorazione per l’acciaio elettrico NGO (411 milioni).
Tra le richieste di Arvedi c’era anche quella di un aiuto da parte dello Stato. Il ministero delle Imprese e del Made in Italy contribuirà alla realizzazione del piano industriale per 96,5 milioni con i Contratti di sviluppo per Tutela Ambientale, già richiesti da Arvedi e attualmente all’attenzione di Invitalia. E non si esclude la possibilità per l’impresa “di presentare ulteriori domande di incentivi e agevolazioni”. Tra gli impegni del governo, quello a sottoporre al Parlamento entro il 31 dicembre un provvedimento che preveda un credito d’imposta a favore delle aziende siderurgiche attive con produzione a forno elettrico di acciaio liquido condotta con fusione di rottami di acciaio inossidabile, con un limite di 35 milioni annui dal 2026 al 2030. Tra quelli della Regione Umbria, invece, l’emanazione di avvisi pubblici per contributi Fesr dedicati a programmi di investimento, ricerca e sviluppo, efficientamento e produzione di energia rinnovabile.
Tra le novità più interessanti ci sono anche gli interventi per predisporre l’utilizzo di idrogeno come combustibile alternativo. Molto spazio viene dato al piano ambientale, dalle attività di landfill mining dell’ex discarica comunale al monitoraggio della qualità dell’aria e la gestione dei residui industriali. Tema su cui ha insistito anche il ministro Adolfo Urso: “la siderurgia italiana si rafforza sulla strada della tecnologia green”, ha detto.
Dopo aver prodotto materiale bellico durante le guerre mondiali, essersi reinventata con gli acciai speciali per uso civile e l’ingresso in Ilva nel 1988, dal 1993 l’odierna Ast ha cominciato a produrre tubi in acciaio inossidabile. Nel 1994 fu privatizzata, diventando proprietà del gruppo tedesco Krupp, dal 2001 diventato Thyssenkrupp. Poi lo stabilimento ha iniziato ad avere difficoltà sempre più serie, e nel 2022 è stato rilevato dal gruppo Arvedi di Cremona. “Abbiamo compiuto un altro passo avanti nel percorso di rafforzamento dell’azienda – ha commentato Giovanni Arvedi dopo la sigla dell’accordo – che ora può guardare con maggiore fiducia al proprio futuro industriale”.
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