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Il mondo punta sul fotovoltaico. La politica deve aiutarlo di più


Non è mai esistita una fonte di energia a prezzi così accessibili è con una dimensione modulare e replicabile in ogni angolo della Terra. Quella dei pannelli solari è una rivoluzione. Ma perché il processo prosegua in maniera positiva serve una politica che lo accompagni in modo intelligente

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I numeri e le storie del solare fotovoltaico nel mondo hanno assunto una dimensione tale da meritare un attenzione che va ben oltre il campo dell’energia. Non è infatti mai esistita una fonte di energia a prezzi così accessibili, come mette in evidenza l’International Energy Agency nei suoi report, e con una dimensione modulare e replicabile in ogni angolo della Terra, capace di mettere in moto processi inediti e mandare in frantumi paradigmi che sembravano inscalfibili dopo oltre un secolo e messo di sistemi elettrici organizzati intorno a grandi impianti e un forte controllo centralizzato.

Ad esempio, quanto sta avvenendo in tre paesi così differenti da ogni punto di vista, quali Kenya, Pakistan e Ungheria, mette in evidenza come la riduzione dei costi del solare e la disponibilità di tecnologie affidabili consentono oggi di raggiungere in tempi brevi risultati impressionanti e di creare opportunità di sviluppo locale.

Nelle riviste specializzate è la storia dell’anno. Nel 2024 con 16GW di fotovoltaico il Pakistan ha battuto ogni record portando il contributo del solare rispetto ai consumi elettrici al 14 per cento, mentre era solo al 4 nel 2021. Per avere conferma, basta guardare le immagini dei tetti di Islamabad su Google Maps a confronto con quelli delle altre capitali del mondo, mentre per fare un paragone con l’Italia, noi abbiamo installato meno della metà di solare ma con un Pil pro capite che è quasi 30 volte quello pakistano.

La ragione sta negli aumenti dei costi dell’energia negli scorsi anni, come conseguenza della guerra in Ucraina, e in alcune intelligenti scelte del governo, come quella di azzerare le tasse sull’acquisto di pannelli e di poter cedere l’energia prodotta in eccesso alla rete.

Protagoniste di questo rapido sviluppo sono stati soprattutto famiglie e imprese, con un passaparola dal basso che ha funzionato meglio di qualsiasi campagna di comunicazione.

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Come in tutte le rivoluzioni improvvise non è tutto rose e fiori, bisognerà vedere come questo processo continuerà, perché il governo ha deciso di fissare dazi sull’importazione di pannelli per creare una filiera nazionale, e come cambierà il sistema energetico, con quali spirali di prezzi nel momento in cui una crescente quota di consumi scompare perché passa per l’autoproduzione. Ma sono tutte questioni che si possono aggiustare, mentre si dimostra che è possibile in poco tempo accelerare la diffusione delle fonti rinnovabili in ogni area del mondo.

Il caso del Kenya 

Il Kenya è forse il paese più interessante a cui guardare per capire le potenzialità di sviluppo di modelli energetici non connessi alla rete. Perché ci sono tante parti del mondo dove la rete elettrica semplicemente non esiste e dove portarla avrebbe dei costi spaventosi. Il paese africano è oggi al centro dell’attenzione perché negli ultimi anni ha visto una rapida diffusione di piccole reti isolate, connesse a impianti solari e spesso a sistemi di accumulo.

Si calcola che circa 25 milioni di persone siano connesse a modelli di questo tipo, grazie a intelligenti incentivi messi in campo dal governo. La questione di come portare l’energia in territori immensi come quelli di tutta l’Africa subsahariana è un tema enorme e alla base dei problemi che costringono le persone a emigrare. L’Agenzia internazionale per l’energia stima che circa il 40 per cento della popolazione, oltre 600 milioni di persone, non ha accesso all’energia e di conseguenza difficoltà di accesso all’acqua. La novità è che sistemi integrati “off-grid” oggi si trovano a prezzi sempre più bassi e sono diventati più semplici da gestire.

Altri paesi, come Ghana, Nigeria, Uganda stanno spingendo politiche analoghe per progetti staccati dalla rete nazionale. Si deve inoltre considerare che un problema comune a tanti paesi africani sono i black-out, le lunghe interruzioni di fornitura di energia che mettono in crisi le produzioni industriali, le trasformazioni di prodotti agricoli e dunque questi modelli rappresentano spesso un alternativa più sicura e economica.

Il record ungherese

Chissà se Giorgia Meloni ne ha mai parlato con il suo amico Viktor Orbán. Eppure, varrebbe la pena capire come ha fatto l’Ungheria in pochi anni a raggiungere un record invidiato nel mondo. Perché nel 2024 è riuscito a soddisfare oltre il 25 per cento dei propri consumi elettrici attraverso energia solare, come messo in evidenza dall’Istituto di ricerca Ember.

La velocità dei processi anche in questo caso è impressionante, nel 2018 la produzione da solare valeva solo il 2 per cento dei consumi, ed è interessante notare che a pagarne il prezzo è stato il carbone, che ha ridotto di più della metà il suo contributo alla rete. Una delle politiche più interessanti messe in campo dal governo è quella di supporto agli impianti di piccola scala, con 300mila pannelli installati sui tetti delle case per aiutare le famiglie a ridurre la spesa energetica. In fondo è semplice buonsenso, quando una cosa funziona e crea benefici per tutti non ha colore politico e Orbán per il solare lo ha capito prima di altri.

Queste tre storie raccontano come oggi ci troviamo di fronte a uno scenario davvero inedito e che riguarda ogni parte del mondo, senza più distinzioni tra chi possiede una fonte – pensiamo al petrolio o al gas – e chi la deve importare. Sono le fabbriche cinesi ad aver reso possibile questo salto di scala nella produzione e affidabilità dei pannelli, ma oggi quei componenti sono solo un tassello di sistemi integrati di impianti, reti, modelli di gestione che hanno bisogno di intelligenza e lavoro in loco per valorizzare quanto il sole ci mette gratuitamente a disposizione.

È una buona notizia, in un contesto davvero preoccupante di crescita delle emissioni di gas serra e del surriscaldamento globale, perché dimostra che si possono innescare rapidi cambiamenti. Ma non è scontato che si acceleri in questa direzione, serve infatti una politica che accompagni in modo intelligente questi processi, con poche semplici regole per non far scoraggiare famiglie e imprese, oltre alla forza di resistere ai grandi gruppi che hanno idee molto diverse sul futuro dell’energia.

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