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i 5 pilastri che ne spiegano il successo


In meno di vent’anni il cloud è passato da curiosità a infrastruttura irrinunciabile. Secondo Precedence Research, il mercato globale raggiungerà 912 miliardi di dollari nel 2025 e supererà i 5100 miliardi nel 2034. In Europa la spesa prevista per il 2025 sfiorerà 202 miliardi di dollari​. Alla base di questo successo ci sono cinque caratteristiche, identificate dal NIST (National Institute of Standards and Technology): autoservizio on-demand, accesso in rete, pool di risorse condivise, elasticità e servizio misurato.

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Comprenderle significa capire perché il cloud è il motore della trasformazione digitale.

Autoservizio on-demand: provisioning istantaneo

Il viaggio nei cinque pilastri parte dalla capacità di mettere l’IT nelle mani degli utenti.

Senza provisioning immediato, gli altri vantaggi del cloud restano potenziali. L’utente può accendere e spegnere risorse con un click o via API, senza ticket né attese. Il provisioning di una VM, di un database o di un cluster Kubernetes richiede secondi, non settimane, abbattendo il time-to-market e favorendo la sperimentazione continua. Un team DevOps che rilascia micro-servizi più volte al giorno o una fintech che testa decine di modelli di credit-scoring in parallelo beneficiano di questa immediatezza. Nei laboratori OPIT gli studenti creano ambienti Kubernetes completi in due minuti, eseguono i test di carico e li smantellano appena finito, pagando solo per i minuti effettivi.

Allo stesso modo, un gruppo di ricerca biomedica può allocare temporaneamente centinaia di GPU per addestrare un modello di deep-learning e liberarle subito dopo, senza immobilizzare capitale in hardware destinato a invecchiare rapidamente. Questa flessibilità permette all’utente di adattare le risorse alle proprie necessità in tempo reale. Non ci sono vincoli rigidi: si può attivare una singola macchina e disattivarla quando non serve più, oppure avviare decine di istanze extra per un periodo limitato e poi rilasciarle. Si paga solo per ciò che si utilizza effettivamente, senza sprechi.

Ampio accesso in rete: applicazioni che seguono l’utente ovunque

Una volta reso istantaneo l’accesso alle risorse, occorre garantire che tali risorse siano raggiungibili da qualunque luogo e dispositivo, mantenendo uniforme l’esperienza d’uso. Il cloud vive sulla rete e garantisce ubiquità e indipendenza dal device.

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Una web-app basata su HTTP/S è fruibile da laptop, tablet o smartphone, senza che l’utente sappia dove girino i container. La trasparenza geografica consente strategie multicanale: si inizia un acquisto sul telefono e lo si completa sul desktop senza interruzioni. Per la PA significa erogare identità digitali ovunque, per il privato offrire customer service 24/7.

L’ampio accesso sposta la sicurezza dal perimetro fisico all’identità digitale e introduce la zero-trust architecture, in cui ogni richiesta è autenticata e autorizzata a prescindere dalla posizione dell’utente.

È sufficiente una connessione di rete per fruire delle risorse: dall’ufficio, da casa o in mobilità, da computer e da dispositivi mobili. L’accesso è indipendente dalla piattaforma utilizzata e avviene tramite protocolli e interfacce web standard, garantendo interoperabilità.

Pool di risorse condivise: l’economia di scala della multi-tenancy

L’accesso ubiquo sarebbe proibitivo senza un modello economico sostenibile. Qui entra in gioco la condivisione delle infrastrutture.

L’infrastruttura del provider cloud aggrega e condivide risorse computazionali tra più utenti secondo un modello multi-tenant. Le economie di scala dei data center hyperscale riducono costi ed emissioni, mettendo tecnologie d’avanguardia alla portata di startup e PMI.

Il pooling centralizza patch, sicurezza e capacity planning, liberando i team IT da attività ripetitive e diminuendo l’impronta di carbonio aziendale. I provider reinvestono i risparmi energetici in hardware di nuova generazione e in programmi di ricerca sul raffreddamento a immersione, amplificando il beneficio collettivo.

Elasticità rapida: scalare alla velocità del business

Condividere le risorse è efficace solo se la loro allocazione segue in tempo reale la domanda di business. Con l’elasticità l’infrastruttura espande o riduce le risorse in minuti seguendo il carico. Il sistema si comporta come un elastico: se serve più potenza o più istanze per affrontare un picco di traffico, scala automaticamente in tempo reale; quando la domanda cala, le risorse aggiuntive vengono disattivate altrettanto rapidamente.

Questa flessibilità sembra offrire risorse illimitate. In pratica, un’azienda non deve più acquistare server in eccesso per coprire i picchi di domanda (che resterebbero inutilizzati nei periodi di bassa attività), ma può ottenere capacità aggiuntiva dal cloud solo quando serve. Il vantaggio economico è notevole: si evitano grossi investimenti iniziali e si paga solo la capacità effettivamente usata durante i periodi di punta.

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Nel laboratorio OPIT di cloud automation gli studenti simulano una piattaforma di streaming che, all’aumentare degli spettatori, crea nuovi pod Kubernetes e li elimina quando l’audience cala: un esempio concreto di equilibrio fra esperienza utente e controllo dei costi. L’effetto è duplice: l’utente non subisce rallentamenti e l’azienda evita di immobilizzare capitale in server sottoutilizzati.

Servizio misurato: trasparenza e governance dei costi

La scala dinamica generata dall’elasticità impone visibilità puntuale su consumi e spese: senza misurazione non c’è governance. Il metering rende visibile ogni secondo di CPU, ogni gigabyte e ogni chiamata API. Ogni parametro di consumo è tracciato e reso disponibile in report trasparenti.

Questi dati consentono una tariffazione pay-per-use, cioè addebiti proporzionali all’uso effettivo.Per il cliente ciò si traduce in costi variabili: si paga solo per le risorse effettivamente consumate. La trasparenza aiuta a pianificare il budget: grazie ai dati in tempo reale è più facile ottimizzare le spese, ad esempio spegnendo le risorse inutilizzate. Si eliminano così i costi fissi superflui, incentivando un uso efficiente delle risorse.

Il valore sistemico dei cinque pilastri

Quando i cinque pilastri agiscono insieme, l’effetto è moltiplicatore. Autoservizio ed elasticità permettono di reagire rapidamente ai cambiamenti del carico di lavoro, aumentando o riducendo le risorse in tempo reale, e alimentano la sperimentazione continua; accesso ubiquo e pooling offrono scalabilità globale; la misurazione assicura sostenibilità economica e ambientale.

Non sorprende che il mercato italiano passerà da 12,4 miliardi $ nel 2025 a 31,7 miliardi nel 2030 con un CAGR del 20,6%​. Aziende manifatturiere e retailer stanno migrando carichi mission-critical su piattaforme cloud-native, ottenendo insight dai dati in tempo reale e riducendo il time-to-value.

Dal laboratorio alla strategia d’impresa

Dalla teoria alla pratica: i pilastri NIST diventano bussola per la trasformazione digitale di imprese e Pubblica Amministrazione. In aula si parte da esercitazioni concrete – come lo stress‑test di una piattaforma video – per dimostrare l’impatto reale dei cinque pilastri su prestazioni, costi e KPI ambientali.

Lo stesso approccio può guidare CIO e innovatori: se processi, governance e cultura incarnano autoservizio, ubiquità, pooling, elasticità e misurazione, l’organizzazione è pronta a catturare tutto il valore del cloud. In caso contrario occorre ricalibrare la strategia investendo in formazione, progetti pilota e partnership con i provider. I pilastri NIST si confermano così non solo un modello di classificazione, ma la cassetta degli attrezzi con cui costruire imprese data‑driven e sostenibili.

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