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Il sequestro del Pnrr


In Parlamento il ministro Foti ha dato i numeri, al momento disponibili. Il governo ha elaborato l’ennesima (cioè la quinta) modifica al Pnrr, che dovrebbe essere l’ultima. Infine, lo scorso 4 giugno l’Unione Europea ha inviato ai singoli Paesi le “Raccomandazioni” per concludere il Piano. Di “materiale” per cercare di capire a che punto siamo c’è ne davvero molto. Certo un po’ confuso e soprattutto, per quanto riguarda pagamenti e spesa reale, non di facile lettura visto che la piattaforma ReGis non funziona benissimo. Ma tant’è.

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Partiamo dai soldi

In realtà prima di parlare di numeri occorre partire da una “precisazione”: secondo la Cgil, il Pnrr è di fatto stato “sequestrato” dal governo che non convoca più le parti sociali nella cabina di regia nazionale dal 6 dicembre 2023. Pertanto, mai da allora vi sono state occasioni di analisi delle criticità nell’attuazione degli investimenti e delle riforme. E questo vale tanto più per ciò che riguarda quanto avviene nei cantieri.

I numeri, dicevano, li si possono dedurre dalla piattaforma ReGis ma, sempre a corso d’Italia, fanno notare come la piattaforma non sia accessibile, la pubblicazione dei dati sul sito di “Italiadomani” avviene con una periodicità senza alcuna programmazione, i dati pubblicati sono stati filtrati in base a criteri non sempre chiari e presentano gravi incoerenze che rendono di difficile lettura la comprensione della reale attuazione di importanti investimenti.

I numeri che si conoscono

Una cifra certa, come si sa, è 194,4 miliardi: sono la dotazione di Next Generation Eu destinata all’Italia. Tanti soldi, perché il nostro Paese era, probabilmente ancora è, il più indietro rispetto a infrastrutturazione del territorio e divari territoriali tra generi e tra generazioni.

La spesa dichiarata al 28 febbraio era di 65 miliardi. Il ministro Foti la settimana scorsa, rispondendo a interrogazioni, ha detto in Parlamento che siamo a 71,3 miliardi. Davvero un incremento scarso: in tre mesi si sono spesi solo sei miliardi, come si farà a utilizzare tutta la dotazione in 13 mesi è davvero un mistero.

Ricordiamo, infatti, che proprio a Bruxelles, sempre la scorsa settimana, è stato riconfermato che non vi sarà nessuna proroga, il Piano si deve concludere entro agosto 2026. Al momento sono ben 122 i miliardi arrivati nelle casse italiane e a breve, con la settima rata, ne arriveranno altri 12 o 13.

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Perché tanti soldi?

Com’è possibile, si chiederà, che l’Europa abbia versato e continui a versare così tanti soldi se ne spendiamo così pochi? Presto detto: le risorse vengono versate non a piè di lista per le opere realizzate, ma per lo stato di avanzamento del Piano che riguarda anche riforme legislative e amministrative. Queste le abbiamo fatte, le opere (piccole e grandi) no.

Le revisioni

Entro il 20 giugno l’Europa deve approvare la quinta revisione inviata dall’Italia. Dovrebbe essere anche l’ultima, ma quella rilevante dal punto di vista della “filosofia” del Piano è quella definita nel 2023 dal Governo Meloni e firmata dall’allora ministro Fitto: è quella che sposta le risorse dagli investimenti diretti ai contribuiti alle imprese. Si sono così tagliati – ad esempio – asili nido, case e ospedali di comunità, o si sono ridotte le risorse ai Comuni per i progetti di recupero urbanistico o interventi sulle periferie.

Le raccomandazioni dell’Europa

Tre sono quelle fondamentali e maggiormente condivisibili, secondo la Cgil. Innanzitutto che per rispettare entro agosto 2026 gli impegni assunti nel piano per la ripresa e la resilienza, compreso il capitolo dedicato al piano REPowerEU, è essenziale che l’Italia acceleri l’attuazione delle riforme e degli investimenti affrontando le sfide pertinenti.

In secondo luogo, l’Italia trarrebbe beneficio da un rafforzamento della capacità amministrativa, in particolare a livello locale, e dall’individuazione e dalla gestione tempestiva dei potenziali ritardi.

Infine, dice la Commissione, il coinvolgimento sistematico delle autorità locali e regionali, delle parti sociali, della società civile e di altri portatori di interessi rimane fondamentale per assicurare un’ampia titolarità ai fini dell’efficace attuazione del Piano per la ripresa e la resilienza. Se queste sono le raccomandazioni siamo davvero messi male. Secondo la Cgil, infatti, queste “raccomandazioni attualmente trovano poco o nessun riscontro nella realtà”.

Che succede ora?

Lo scorso 4 giugno la Commissione europea ha emanato le linee guida per l’ultima fase del Piano. La prima cosa rilevante contenuta nel documento è che la data di conclusione degli interventi è fissata al 31 agosto 2026 in maniera inderogabile. E chi non riesce a spendere tutte le risorse come fa?

Le soluzioni sono ipotizzate nello stesso documento. La prima possibilità fornita ai singoli Paesi è che le risorse non spese possono essere utilizzate nel Piano di difesa europea e così non vengono richieste indietro. Seconda soluzione ipotizzata è che i miliardi non spesi possono essere appostati in un fondo dove confluiscono risorse di privati e anche in questo caso rimangono ai singoli Atati.

E la filosofia di Next Generation Eu?

Insomma: se si partecipa al piano di difesa europea, cioè se si comprano armi, o si danno soldi ai privati, che aggiungendo i propri decidono come impiegarli – certo, una qualche coerenza con il Pnrr dovranno pur trovarla – allora quei miliardi potranno rimanere in Italia. Ma, probabilmente, la filosofia originaria del Pnrr, a cominciare dalla riduzione dei divari territoriali, di genere e di generazione, facendo partecipare maggiormente le donne e i giovani al mercato del lavoro, sarà abbastanza tradita.

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