Mutuo 100% per acquisto in asta

assistenza e consulenza per acquisto immobili in asta

 

imprese a rischio, giovani in fuga e stipendi sotto la media Ue


Il presidente dell’Istituto Francesco Maria Chelli lancia un alert: mancato ricambio generazionale, stipendi troppo bassi e saldo negativo di capitale umano rischiano di mettere in crisi l’economia: «Una perdita netta di risorse qualificate»

Vuoi acquistare in asta

Consulenza gratuita

 

Il sistema economico italiano è sempre più esposto alle conseguenze dell’invecchiamento della popolazione. A lanciare l’allarme in un’intervista a La Stampa è Francesco Maria Chelli, presidente dell’Istat, secondo cui il fenomeno interessa direttamente il tessuto imprenditoriale del Paese. «L’invecchiamento e il rischio di mancato ricambio generazionale riguarda il 30% delle imprese, si tratta in larga parte di micro-attività». Realtà che, spesso, non sopravvivono al pensionamento del titolare: «Esce dal mercato non solo un lavoratore ma anche un datore».

Le imprese più vulnerabili sono anche quelle con un più basso livello di scolarità e minore propensione all’innovazione. Succede, ad esempio, nel commercio tradizionale, nella manifattura a bassa tecnologia e nei servizi alla persona, dove «l’età media degli occupati è più alta rispetto alla media generale, che è attorno ai 45 anni».

Uno spiraglio positivo arriva invece dal mondo delle nuove imprese. I giovani risultano maggiormente impiegati in contesti dinamici e tecnologici. «Nel 2022 gli occupati sotto i 35 anni raggiungevano il 36% nelle imprese con meno di 5 anni, a loro volta più frequentemente gestite da imprenditori giovani, e fino a quasi il 40% nelle attività dei servizi ad alta tecnologia. Sono proprio queste le imprese innovatrici e più digitali, dove il capitale umano qualificato sotto i 35 anni si è rivelato un elemento cruciale».

Ma per far fronte all’inverno demografico, serve guardare anche all’esterno. Chelli sottolinea a La Stampa l’importanza dell’immigrazione per bilanciare il calo della natalità: «L’Italia è un Paese attrattivo per gli stranieri. E l’immigrazione compensa in parte il deficit dovuto alla dinamica naturale negativa ormai da lunghi anni». Nel 2024, le immigrazioni dall’estero hanno superato le 435mila unità, più del doppio delle emigrazioni, con un saldo positivo di 244mila persone. Tuttavia, la quota di stranieri residenti in Italia – circa l’11% – resta inferiore rispetto ad altri Paesi europei: «Più del 20% in Germania, il 18% in Spagna o il 13-14% in Francia».

Fuga dall’Italia: via circa 97mila laureati in 10 anni

Nel frattempo, però, l’Italia continua a perdere capitale umano prezioso. «Circa 97mila laureati di cittadinanza italiana, che hanno lasciato il Paese nel corso dell’ultimo decennio, al netto dei rientri, sono un significativo deficit di capitale umano qualificato». Solo nel 2023, si sono registrati 21mila espatri di laureati tra i 25 e i 34 anni (+21,2% rispetto all’anno precedente), a fronte di appena 6mila rientri. «Ne deriva una perdita netta di poco più 15 mila giovani risorse qualificate di cittadinanza italiana».

Carta di credito con fido

Procedura celere

 

Eppure, c’è un dettaglio che merita attenzione: «Se consideriamo infatti i giovani in possesso di un titolo di studio terziario, il saldo tra stranieri in entrata e italiani in uscita è positivo ed a favore dell’Italia». Un segnale che va letto come opportunità, ma che non elimina il problema di fondo: il contesto lavorativo nel nostro Paese resta spesso penalizzante per i giovani.

«Questi giovani svolgono un lavoro a termine più spesso dei coetanei europei: nella media del 2024 circa quattro dipendenti su dieci erano a tempo determinato (il 39,4%); la percentuale più elevata tra i Paesi dell’Ue dopo l’Olanda (52,3%), e maggiore di 6,1 punti al valore della media Ue (33,3%)». La precarietà si accompagna anche a retribuzioni più basse: «Nel 2022, la retribuzione oraria dei giovani italiani fino a 29 anni era inferiore a quella della media Ue (11,7 rispetto a 13,4 euro), anche a parità di potere d’acquisto».

Salari troppo bassi: diminuisce il potere d’acquisto

Cosa rispondere allora alle dichiarazioni del governo, che rivendica un aumento del potere d’acquisto? «La straordinaria crescita dei prezzi al consumo osservata dalla seconda metà del 2021 – dice ancora Chelli nell’intervista al quotidiano torinese – ha determinato un’importante perdita del potere di acquisto delle retribuzioni; solo a partire dal quarto trimestre 2023 si è osservato un progressivo recupero».

Nel 2024, i salari contrattuali sono saliti del 3,1%, con una crescita dei prezzi contenuta all’1,1%, permettendo un lieve recupero. Ma Chelli invita alla cautela: «Le retribuzioni contrattuali reali di aprile 2025 sono comunque ancora inferiori di circa il 9% rispetto a quelle di gennaio 2021».

Eppure, qualche segnale incoraggiante arriva dai dati più recenti: «Nei primi quattro mesi la tendenza positiva prosegue: le retribuzioni contrattuali crescono del 3,8% e la dinamica inflazionistica si ferma all’1,9%. Inoltre, l’indice delle retribuzioni contrattuali orarie per l’intera economia registrerebbe, nella media del 2025, un incremento superiore al 3% che permetterebbe, se si confermasse l’attuale dinamica dei prezzi, un ulteriore recupero di potere di acquisto».



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Dilazioni debiti fiscali

Assistenza fiscale

 

Source link

Dilazione debiti

Saldo e stralcio