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Competitività UE: i CEO sono ottimisti ma chiedono un patto industriale per spingere investimenti nella transizione


I manager in Europa sono sempre più ottimisti sul futuro della competitività europea. L’ottimismo nel continente è salito dal 39% al 71%, con picchi in Germania (76%) e Regno Unito (74%). Anche in l’Italia la quota di executive ottimisti è passato dal 35% al 61%. Al contempo però i leader europei chiedono un nuovo patto industriale europeo fondato su investimenti strategici nella transizione sostenibile, energetica e tecnologica, velocità decisionale e semplificazione amministrativa e quasi la totalità (90% dei manager) ritiene che proteggere gli interessi industriali e commerciali non sia negoziabile. Il rischio per l’80% (85% in Italia) è che senza una base produttiva solida, l’Europa possa perdere la sua rilevanza tanto da poter arrivare a scomparire dalla storia. È quanto emerge dal report New Deal for European Competitiveness: Business leaders are ready to act, pubblicato da BCG che ha coinvolto un campione di 850 executive sparsi in tutta Europa.

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Il rapporto evidenzia una visione articolata da parte delle imprese. Come spiega Davide Di Domenico, Managing Director e Senior Partner di BCG, responsabile per l’area East Mediterranean and Caspian: “Le priorità per i manager europei sono di carattere “offensivo” e “difensivo”. Sul primo fronte le priorità dei top manager sono almeno tre: investire nella trasformazione soprattutto in settori strategici come AI, biotecnologie ed energia; ridurre la burocrazia per favorire processi più snelli e decisioni più veloci; infine, sostenere i campioni europei, cioè grandi aziende in grado di competere nel mondo coi grandi colossi americani e cinesi. Rispetto alle priorità di carattere “difensivo”, è sempre più diffusa l’opinione che bisogna smettere di considerare la protezione degli interessi commerciali europei come un optional”.

Se però da una parte le imprese sono pronte ad agire – con il 91% dei manager è favorevole ad accordi europei per la sicurezza delle supply chain, il 90% che aumenterebbe l’occupazione se venissero rimosse barriere strutturali e e l’83% che rafforzerebbe la produzione sul territorio europeo, con le giuste condizioni – dall’altra parte la forte volontà di investire è frenata dalla poca fiducia che le aziende ripongono nella politica. Il 49% delle imprese infatti è convinto che i politici europei comprendano la portata e l’urgenza della sfida (38% in Italia), mentre il 51% pensa di no (39% in Italia). Lo scollamento è più marcato nei settori manifatturieri e consumer.

Fonte: New Deal for European Competitiveness: Business leaders are ready to act, BCG, 2025

Se dunque non fosse possibile intraprendere azioni concrete il 71% dei rispondenti italiani prevede una riduzione della forza lavoro, il 64% teme un declino dell’innovazione e il 66% ipotizza un aumento delle delocalizzazioni.

Le imprese indicano la rotta per rilanciare la competitività UE

Un punto di svolta simbolico è stato il “Liberation Day”: prima di allora, solo il 39% dei CEO europei era ottimista sul futuro della competitività UE; dopo, la percentuale è balzata al 71%. In Italia l’ottimismo è passato dal 35% al 61%, mentre i picchi più netti sono stati registrati in Germania (76%) e Regno Unito (74%).

Fonte: New Deal for European Competitiveness: Business leaders are ready to act, BCG, 2025

Come sempre però il cambiamento non è stato omogeneo ma si è differenziato a seconda del settore. Nello specifico settori come aerospace, telecomunicazioni e deep tech hanno registrato le variazioni più significative mentre i comparti più tradizionali, come banche e servizi finanziari, restano più diffidenti tanto che la fiducia è calata dal 45% al 40%.

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Fonte: New Deal for European Competitiveness: Business leaders are ready to act, BCG, 2025

I leader aziendali intervistati concordano su tre direttrici fondamentali per rilanciare la competitività UE. Innanzitutto, ritengono cruciale investire nella trasformazione, una priorità indicata come assoluta dal 31% dei CEO europei (e dal 35% in Italia), con particolare enfasi su settori strategici come l’intelligenza artificiale, le biotecnologie e l’energia. In secondo luogo, evidenziano la necessità di agilità, velocità e semplicità. Questa è un’altra priorità condivisa (dal 30% in Europa e dal 24% in Italia) che si traduce nella semplificazione della burocrazia e nella capacità di prendere decisioni economiche rapide. Infine, emerge chiaramente il desiderio di costruire “campioni europei”, ovvero supportare grandi imprese in grado di competere a livello globale contro i colossi statunitensi e cinesi. Questi tre driver costituiscono la base per un “New Deal” industriale europeo, auspicato dalla quasi totalità dei top manager.

Su questa base si innestano dieci priorità sistemiche condivise da oltre l’80% dei manager: sicurezza delle supply chain (88% Italia), emergere di campioni europei (87%), chiusura del gap di competenze (86%), accesso al capitale (86%), standardizzazione infrastrutturale (84%), scommessa sulle nuove tecnologie (83%), riduzione del costo dell’energia (82%), semplificazione normativa (oltre 80%), riduzione della pressione fiscale sul lavoro (81%) e contenimento della spesa pubblica (81%).

In merito a queste priorità il mondo imprenditoriale si dice pronto a intervenire direttamente, a patto che l’UE crei le giuste condizioni. Nello specifico il 90% dei CEO italiani che aumenterebbe l’occupazione; l’83% rafforzerebbe la produzione in Europa; il 91% contribuirebbe alla sicurezza delle catene di fornitura tramite iniziative comuni; e l’86% esplorerebbe fusioni, acquisizioni o alleanze strategiche in presenza di regole più flessibili. Tuttavia, solo il 38% degli executive italiani ritiene che i politici comprendano la portata delle sfide, mentre il 39% è scettico. Leggermente meglio è invece la fiducia dell’UE che registra un 49% di fiduciosi e solo il 27% scettici.

Dunque, per far sì che queste priorità condivise a livello europeo si realizzino, la proposta più condivisa dall’89% dei dirigenti italiani e dall’82% dei CEO UE riguarda la creazione di un CEO advisory group a livello europeo. Questo modello potrebbe rappresentare una svolta operativa, affiancando le istituzioni nella definizione e nell’esecuzione delle policy industriali.



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