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Ferrero miglior datore 2025, stipendi adeguati e equilibrio vita-lavoro: la classifica del Randstad Employer Brand

Ferrero miglior datore 2025, stipendi adeguati e equilibrio vita-lavoro: la classifica del Randstad Employer Brand


di
Irene Consigliere

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L’azienda di Alba vince per l’ottava volta in 15 anni il Randstad Employer Brand per l’alto senso di appartenenza e la capacità di ascolto delle nuove generazioni. Premiate dieci aziende per attrattività nei diversi settori

Ferrero vince il Randstad Employer Brand 2025 come migliore datore di lavoro. Con il 68,5% di preferenze, l’azienda di Alba è al primo posto per i lavoratori. Novità di questa ultima edizione: sono state premiate le dieci realtà che si sono distinte per attrattività all’interno dei rispettivi settori specifici di riferimento: ABB è l’azienda più attrattiva come datore di lavoro nell’elettronica, Automobili Lamborghini nell’automotive, Brembo nella componentistica auto, Chiesi Farmaceutici nel farmaceutico, EssilorLuxottica nell’industria metallurgica, Gruppo Mondadori nei media, IBM nell’ICT, Italo nei trasporti, Leonardo nell’aeronautico e Maugeri nella Sanità. 

«Siamo estremamente orgogliosi di ricevere questo riconoscimento. Da sempre in Ferrero adottiamo una politica che mette le persone al centro, ritenendo che queste siano le vere artefici del successo del Gruppo. In questo contesto, la nostra strategia di employer branding ha un ruolo centrale. Vogliamo raccontare con autenticità chi siamo, cosa ci distingue e perché lavorare in Ferrero significa far parte di un ambiente che valorizza la crescita, la responsabilità e il senso di appartenenza. È un’area strategica perché ci permette di ascoltare le aspettative delle nuove generazioni, valorizzare i tratti distintivi della nostra cultura e costruire un dialogo continuo con chi già lavora con noi e con chi potrebbe entrare a far parte della nostra squadra. Non si tratta solo di attrarre talenti, ma di consolidare ogni giorno una reputazione fondata su coerenza, fiducia e cura delle persone», ha commentato Deborah Zago, head of Hr Italy BU di Ferrero. 




















































Work-life balance, atmosfera piacevole e retribuzione interessante i principali criteri di scelta

«L’equilibrio tra vita e lavoro acquista sempre maggiore importanza nelle priorità delle persone, anche se in un periodo di incertezza e alto costo della vita lo stipendio resta fondamentale nella scelta di cambiare impiego -commenta Marco Ceresa, Group ceo di Randstad -. Le preferenze dei lavoratori variano molto a seconda della specializzazione professionale e soprattutto dell’età: la Gen Z evidenzia priorità, bisogni, fasi di carriera e comportamenti diversi, che evidenziano la necessità di strategie di Employer Branding sempre più mirate e diversificate, per cogliere le esigenze specifiche, allo scopo di attrarre e trattenere il talento in una competizione che si fa sempre più forte anche tra settori diversi». 

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Quali sono i principali criteri di scelta di un’azienda per un lavoratore italiano? I fattori più ricercati in un datore di lavoro sono l’equilibrio vita-lavoro(59%) l’atmosfera piacevole (56%) la retribuzione interessante (54%), la sicurezza del posto(47%) e la diversità e inclusione (45%) che per la prima volta supera la carriera (44%). A seguire formazione, solidità finanziaria, possibilità di lavoro da remoto, reputazione, contenuto del lavoro interessante, attenzione all’ambiente e CSR, management di valore, utilizzo di tecnologie avanzate, qualità dei prodotti e servizi, posizione comoda da raggiungere. Infatti meno della metà dei dipendenti italiani si sente adeguatamente retribuita e proprio uno stipendio insufficiente è la principale ragione per l’abbandono del posto di lavoro. 

La Gen Z cambia lavoro tre volte più dei baby boomers

E quanti hanno cambiato lavoro e prevedono di farlo? Negli ultimi sei mesi il 13%, vale a dire quattro lavoratori su dieci, ha deciso di scegliere un’altra azienda, mentre il 23% prevede di farlo nei prossimi sei. E in cosa si differenzia la Gen Z? Cambia lavoro tre volte più dei baby boomers, dà più importanza alla crescita e meno alla sicurezza del posto, si sente di più parte di minoranze e ostacolata per questo. D’altra parte in tempi di alta inflazione, lo stipendio è tutt’altro che secondario: solo meno di metà dei dipendenti italiani si sente adeguatamente retribuita e una remunerazione insufficiente è la prima ragione che spinge a lasciare il posto attuale. 

Le differenze tra Gen Z e baby boomers

Nel 2025 è sempre maggiore la distanza fra generazioni: con la Generazione Z che esprime preferenze, aspettative e abitudini differenti da tutte le alte: se nella media il 13% degli italiani ha cambiato impiego negli ultimi 6 mesi, i membri della Gen Z lo hanno fatto nel 17% dei casi, un tasso quasi tre volte superiore ai Baby Boomers (6%). Nella scelta del datore di lavoro ideale, la Gen Z dà minore valore alla sicurezza del posto e maggiore alle opportunità di formazione e sviluppo. Nella ricerca di un nuovo impiego si affida di più a LinkedIn – Google e meno alle reti relazionali. Si sente di appartenere in maggior misura a minoranze (il 34%, rispetto al 23% della media) e sottolinea di più l’importanza della diversità e inclusione nelle organizzazioni. Sono alcuni risultati del Randstad Employer Brand Research, l’indagine di Randstad che coinvolge 171mila intervistati e 6400 aziende in 34 Paesi a livello globale, per cui in Italia sono stati intervistate oltre 7500 persone (occupati e non occupati) tra i 18 e 64 anni sull’attrattività percepita di 150 aziende potenziali datori di lavoro, attraverso un sondaggio indipendente in cui nessuna azienda si può iscrivere volontariamente per partecipare.

I media seguiti da aeronautica e ICT sono tra i settori più attrattivi

E quali sono i settori più attrattivi? Per gli italiani sono i media, in cui vorrebbe lavorare il 63% degli intervistati, e l’industria aeronautica (61%), seguiti a breve distanza dall’ICT (59%). Poi vengono l’automotive, la componentistica auto, l’elettronico, la logistica-servizi postali, l’industria metallurgica, il farmaceutico e la consulenza. Però, le differenze sono basse: i datori di lavoro competono non solo all’interno del proprio comparto, ma anche con altri settori nell’attrazione dei migliori talenti. Mentre LinkedIn è di gran lunga la piattaforma più utilizzata per cercare lavoro: la usa il 50% degli italiani. Poi vengono le agenzie per il lavoro (37%), i portali per la ricerca lavoro (32%), i siti aziendali (30%), i social media (27%) e i contatti personali (26%). LinkedIn però è anche la più efficace: l’ha utilizzata il 29% di chi ha cambiato azienda, mentre il 19% i contatti personali, il 18% i social e sempre il 18% le agenzie per il lavoro. La Generazione Z si affida di più a strumenti digitali come LinkedIn e Google for Jobs, quelle più senior a servizi pubblici per l’impiego, agenzie per il lavoro e relazioni personali. I lavoratori digital utilizzanopiù di tutti gli head hunters (35%). Dati che evidenziano la necessità di strategie di reclutamento mirate, in cui le opportunità di lavoro siano visibili e accessibili attraverso i canali più utilizzati da ciascuna categoria. 

Diversità e inclusione

A proposito di diversità e inclusione nel 2025 i lavoratori evidenziano miglioramenti nell’equità nelle loro aziende, in particolare nella promozione della parità retributiva e nella valorizzazione delle unicità delle persone. Tuttavia, solo 4 dipendenti su 10 ritengono che l’assunzione e l’avanzamento di carriera siano realmente equi, che le migliori opportunità vadano ai più meritevoli o la riqualificazione sia offerta in modo uguale a tutti. In Italia, il 23% della forza lavoro si identifica come appartenente a una minoranza. E quelli che lo sono per una disabilità segnalano maggiori ostacoli lavoro basati sull’identità (61%). Nella Gen Z la percentuale di chi si sente 

Equilibrio vita-lavoro, senso di riconoscimento e un carico di lavoro gestibile aumentano la motivazione

Il 59% dei lavoratori italiani si sente motivato e coinvolto nel ruolo attuale. E c’è un evidente legame tra coinvolgimento e retention: il 39% dei dipendenti “disimpegnati” prevede di andarsene dal posto attuale, il doppio rispetto a quelli altamente coinvolti. Non solo, un alto engagement promuove l’ambizione: i dipendenti più coinvolti hanno più probabilità di ricercare ruoli interni. I fattori che aumentano la motivazione e il coinvolgimento sono l’equilibrio tra lavoro e vita privata (per il 29%) e poi il senso di riconoscimento (26%) e un carico di lavoro gestibile (25%). Quello che stimola il “disingaggio” invece è soprattutto il desiderio di uno stipendio più alto o di benefici migliori (41%). Anche in questo caso, sono forti le differenze con la Gen Z: a spingere la motivazione dei più giovani, dopo l’equilibrio tra lavoro e vita privata, sono le opportunità di carriera e il sentirsi apprezzati e supportati dal manager o dal team. La riqualificazione è importante per il 78% dei lavoratori, evidenziando il ruolo cruciale dell’apprendimento nella soddisfazione e nella fidelizzazione dei dipendenti. 

Meno di un terzo dei lavoratori fa smart working

In Italia meno di un terzo dei lavoratori (29%) lavora almeno in parte da remoto (il 5% solo da remoto, il 24% in parte), contro il 41% della media globale. La maggioranza (50%) lavora solo in ufficio, mentre per il 18% sarebbe impossibile il lavoro da remoto e per 3% sarebbe possibile, ma il datore di lavoro non lo consente. 

L’Intelligenza Artificiale

L’intelligenza Artificiale non è ancora completamente integrata nelle attività quotidiane, ma la sua presenza sul lavoro è in espansione. Il 10% dei lavoratori la usa regolarmente, il 4% ogni giorno. L’11 la usa occasionalmente, il 27% l’ha usata solo una volta. L’utilizzo regolare rimane stabile rispetto all’anno scorso, ma il numero di lavoratori che la utilizza occasionalmente è aumentato del 7% e cala la quota chi non l’ha mai utilizzata. Insieme, cresce la percezione della sua influenza sul lavoro: il 35% dei dipendenti segnala un impatto considerevole dell’IA (+32 punti), per il 6% sta già avendo un impatto. Solo il 6% si aspetta di perdere il lavoro per l’AI, in un atteggiamento

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