L’incubo della precarietà affligge milioni di lavoratori e specialmente tra i più giovani spinge a lasciare il Paese, incrementando il già alto numero di expat, coloro che cercano e trovano all’estero migliori opportunità di lavoro. Tuttavia, una vicenda a lieto fine potrebbe far cambiare idea a chi era già pronto a fare le valigie. Lo scorso 20 maggio il tribunale di Rimini ha dato ragione a una insegnante della scuola pubblica che, incredibile ma vero, si è trovata nella scomoda condizione di lavoratrice precaria per più di trent’anni. Ne è seguita una disputa legale con cui il giudice ha deciso di condannare il Ministero dell’Istruzione e del Merito a versare un congruo risarcimento.
I sindacati cantano vittoria perché la decisione è anche un precedente giurisprudenziale degno di nota e che potrebbe aprire la strada ad altri risarcimenti per i lavoratori della scuola in condizioni analoghe. Vediamo allora più da vicino caso e decisione della magistratura.
Successione di contratti a termine per 30 anni
Una maestra elementare emiliana di 53 anni, ormai esausta per la mancanza di un’occupazione stabile pur dopo ben 32 anni di onorato impegno nell’istruzione pubblica, ha scelto di prendere coraggio e chiamare in causa il Ministero.
Faceva i conti contro un precariato continuo, logorante e ingiustificato proprio per la sua estrema lunghezza, tanto da suonare come una vera e propria beffa per chi lavora quotidianamente alla cattedra insegnando, con passione e dedizione, a generazioni di giovanissimi studenti.
Come emerso dalle carte di causa, l’insegnante ha infatti lavorato per più di tre decenni con contratti annuali, rinnovati via via nel corso del tempo, svolgendo le stesse mansioni dei colleghi di ruolo ma senza le stesse tutele e gli stessi diritti.
Decenni di contratti a tempo determinato e una situazione di sostanziale ingiustizia l’hanno spinta a recarsi in un’aula di tribunale. Proprio innanzi al giudice del lavoro la donna ha ottenuto la sua rivincita, non soltanto economica ma anche e soprattutto morale.
D’altronde chi annualmente attende, in un misto di incertezza e ansia, la riassunzione il 1° settembre, non può che maturare nel tempo la volontà di ottenere giustizia fuori dalle mura della scuola, grazie agli strumenti offerti dalla legge.
L’accertamento dell’abuso ministeriale e il risarcimento
Se è vero che il lavoro nobilita l’uomo, è altrettanto vero che se il lavoro non è stabile non è possibile pensare con serenità al proprio futuro economico e affettivo.
Facendo perno su prove documentali inconfutabili e con il decisivo supporto del proprio legale e del sindacato di iscrizione Cisl Scuola Emilia-Romagna, l’esito giudiziario le è stato favorevole, con un ampio ristoro grazie al versamento dell’indennità massima prevista dalla legge per queste situazioni.
Come stabilito dal giudice, il risarcimento è pari a 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
Giuridicamente parlando, il magistrato nella sentenza ha accertato e dichiarato l’esistenza di un danno derivante dall’abuso nell’illegittima ripetizione di contratti a tempo determinato, imponendo così il risarcimento a carico del Ministero.
Quest’ultimo infatti aveva sistematicamente rinnovato i contratti a termine senza bandire concorsi triennali, come previsto dalla legge in materia. Da qui la constatazione della violazione delle regole e la sentenza a favore della donna.
Tuttavia nella vittoria c’è anche spazio per una piccola beffa: nessuna trasformazione del contratto a tempo indeterminato. Anzi, per poter essere assunta in modo definitivo, la donna dovrà partecipare a un concorso.
Che cosa cambia per il mondo della scuola
Il caso che abbiamo appena visto non è affatto infrequente ed è anzi spia di un malfunzionamento del sistema scolastico italiano e dei meccanismi di selezione del personale, come notammo già lo scorso anno in riferimento all’altissimo numero di supplenti.
L’illegale prassi emersa in questa vicenda indica l’inerzia della Pubblica Amministrazione innanzi alla questione dell’assegnazione delle cattedre scolastiche. E soprattutto pone attenzione al disagio di chi lavora costretto a una sequenza di contratti a termine protratta per decenni.
Vero è che negli ultimi anni questi ultimi sono stati ulteriormente elasticizzati. Si pensi alla mancanza di causale per il primo anno di impiego a tempo determinato (oggetto peraltro di un recente referendum che, come è noto, non ha raggiunto il quorum).
Ma è anche vero che la misura, in questo caso, era stata ampiamente superata. Come detto poco sopra, i sindacati hanno esultato e in particolare a farsi sentire è stata Cisl Emilia-Romagna che ha sottolineato che la sentenza del tribunale di Rimini è un precedente giurisprudenziale di cui non si potrà non tener conto e un segnale forte contro una prassi tanto frequente quanto illegale nel mondo dell’istruzione.
Il maggior beneficio di sentenze come queste non è tanto il risarcimento in sé quanto la presa di posizione delle istituzioni pubbliche, auspicata e desiderata da tutti coloro che lavorano nel mondo dell’insegnamento.
È un dato di fatto: il problema del precariato scolastico si sta trascinando per troppo tempo e la pronuncia in oggetto potrebbe sollecitare le istituzioni a intervenire in modo più tempestivo per assicurare tutti i diritti dei dipendenti scolastici, compresi quelli ad un posto stabile ottenuto per concorso.
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