È vicepresidente della fondazione Only the brave, un inno al coraggio. Arianna Alessi, 49 anni, è anche amministratore delegato di Red Circle Investments e di Brave Wine. Per tutto questo il 27 giugno riceverà il Premio Bellisario, alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella: «Sono felicissima e curiosa di conoscere la motivazione, so che Marisa Bellisario è stata un faro per le donne imprenditrici».
Si è sempre sentita imprenditrice?
Ce l’ho nel Dna, chi ha conosciuto mio nonno dice che gli somiglio moltissimo per spirito di iniziativa, intuito, nessun timore di prendere decisioni. All’università ho voluto mantenermi facendo lavoretti, condividevo un appartamento con altre 5 persone. Mio padre mi ha pagato la retta alla Bocconi, certo, ma ho sempre desiderato farcela da sola. Ho scelto Economia e Legislazione d’impresa, il corso più lungo 36 esami, perchè poi avrei voluto laurearmi anche in Giurisprudenza. Ma ho cominciato a lavorare subito, in una banca d’affari. Con Renzo (Rosso) abbiamo parlato del desiderio di finire altri studi: lui stesso dopo le superiori si era iscritto a Ca’ Foscari, qualche esame lo ha dato. Alla fine è meglio così, lui è una mente creativa, lo studio lo avrebbe ingabbiato.
Perchè lei non è entrata nell’azienda della sua famiglia?
Mi hanno detto “niente donne”, non mio padre, ma gli zii. Uno schiaffone. Quando facevo ragioneria, volevo stare vicino a mio padre e imparare. Lasciare Bassano è stata la mia fortuna. Sliding doors, sono tornata a Milano e sono cresciuta come mai avrei potuto se fossi rimasta qui. Ad Interbanca ho trascorso tre anni: i primi 6 mesi a occuparmi di finanziamenti alle imprese con la legge 488 del ’92, una palestra pazzesca sui bilanci. Poi in ascensore ho incontrato il capo del settore fusioni-acquisizioni e con faccia tosta gli ho chiesto di salire al quinto piano: mi hanno assunto, unica donna. Sono diventata interista perchè nelle pause caffè non parlavano d’altro.Con Renzo che è milanista non è esattamente in linea… Ho portato tanto lavoro, perché molti coetanei erano in azienda alle prese con i passaggi generazionali.
Non si è fermata, però.
Mi sono spostata allo studio Carnelutti Law Firm perchè volevo capire meglio gli aspetti legali dei contratti. Ad un certo punto ho dato l’esame da commercialista e mi sono messa in proprio come advisor.
Come ha trasferito questo background in Otb Fondation?
Nel 2017 avevo il mio lavoro e non volevo mollarlo, ma Renzo mi chiese se potevo temporaneamente occuparmi di Otb. Io dico: non conosco il prodotto no profit, del bene ne ho sempre fatto, ma mi metto a studiare. Ho provato ad applicare regole economiche: piccoli investimenti, progetto sicuri, in cui valutare bene i partner, controllare i conti e la rendicontazione, pagare per tranche, comunicare a chi dona come vengono spesi i loro soldi.
È stata travolta dalle emergenze di Otb?
Mi ha preso la mano, ma del resto non puoi comportarti diversamente quando vedi e tocchi con mano la sofferenza e il dolore. Non ci dormi la notte, non puoi girarti dall’altra parte finché non fai qualcosa per migliorare la vita delle persone.
Con quale criterio sceglie i progetti da finanziare?
Ci guidano l’emergenza, i luoghi dimenticati come è oggi l’Afghanistan, dove le donne hanno meno diritti al mondo. Ci ha guidato lo scoppio della guerra in Ucraina, creando il money pocket per chi voleva fuggire da Kiev. Non ci siamo mai posti limiti se non rispondere ad emergenze del territorio ma anche internazionali. Da annni lavoriamo sulla prevenzione del disagio tra i giovani, anche prima del Covid: portiamo testimonial nelle scuole, i ragazzi di Sampa contro la droga, Valentina Pizzalis e la criminologa Bruzzone contro la violenza, indirizziamo i ragazzi al supporto psicologico con 10 ore gratuite per ciascuno. Un terzo dei progetti è internazionale, il resto in Italia.
Che vi ritorna, sotto il profilo umano?
Una felicità che non si può spiegare. Ora che abbiano ottenuto di poter sostenere anche un orfanatrofio femminile in Afghanistan, pensiamo alle bambine che potranno salvarsi, affidateci dai genitori. Le faremo studiare. Abbiamo attivato un bus che gira a Kabul insegnando alle donne varie attività e dall’agosto del 2024 sono nate 2 mila microimprese.
Volete salvare il mondo?
Renzo e io vogliamo solo dare sollievo, prestare attenzione alle persone. Lo sentiamo come un dovere morale. Anche verso i nostri 6 mila dipendenti, dove i casi di difficoltà non mancano. Molti fanno volontariato con noi. L’emporio solidale ad esempio funziona molto bene, è diventato un centro di servizi anche grazie ai volontari. “Bisogna far vedere le cose, parlatene continuamente, siate credibili” ci ha detto il Dalai Lama.
Siete buddisti?
No, ma lui è per noi fonte di ispirazione.
Chi ancora l’ha ispirata?
Madre Teresa di Calcutta, in India ho visitato un loro centro, non riesco a dire cosa ha visto lì. E poi il mantra di mia nonna: aiutati che il ciel ti aiuta. Se non lo fai tu, nessuno lo farà per te.
Cosa l’ha fatta crescere davvero?
Le porte in faccia. Le disgrazie che ho vissuto, un fidanzato morto, altre cose forti che mi sono capitate. Tutto mi ha centrato e fatto capire cosa è davvero importante. Oggi posso dire di vivere alla giornata, pur avendo l’agenda sempre piena, ogni giorno è un regalo e domani potremmo non esserci: ogni giorno Renzo io e Sydne ci diciamo che ci amiamo, rinnoviamo il nostro patto.
È cambiata la sua prospettiva quando è nata sua figlia?
Ho sempre voluto un figlio, Sydne mi insegna a sorridere di più. Ero sempre seria, lei è viva, burlona, ci fa entrare in un’altra dimensione. Ci svegliamo nel lettone col suo sorriso, ha 9 anni ed è identica a suo papà, bionda con riccioli come lui, alta come me. Una gioia pura.
Cosa l’ha fatta innamorare di Renzo Rosso?
Lo sguardo. E’ catalizzante. Quando parla è pieno di passione. Non ha fatto corsi particolari ma incanta, non mi perdo mai i suoi speach anche se siamo lontani. Ed ha un fuoco dentro che io, con venti anni di meno, non ho.
Come vi siete incontrati?
In Sardegna. Conoscevo due dei suoi figli, ma lui no. È scattata la scintilla, ma all’inizio sono scappata via, a New York, ero preoccupata per la differenza d’età, lui aveva sei figli, una vita complicata. Le paure sono passate, il sentimento è stato più forte e non ci siamo lasciati. Ci piacciono le stesse cose: vita sana, andiamo in bike lungo il Brenta, chiudiamo i problemi di lavoro fuori casa, ci piace viaggiare. Ogni anno lo trascino dieci giorni solo io e lui a conoscere culture e popoli, Congo, Corea del Nord, Namibia, Etiopia. Sono luoghi dove ispirarci e vivere avventure. Anche l’attacco di un gorilla perchè Renzo non ha spento il flash del telefono.
Si rinuncia a qualcosa per stare accanto ad un uomo così?
Nel tempo ci siamo conosciuti e smussati, ma non ho rinunciato a nulla, specie alla mia determinazione. Faccio scelte, e assumo le conseguenze. Ci siamo fatti del bene a vicenda, siamo tornati a credere nell’amore. Non sono mai stata la moglie di Rosso, ma sono Arianna Alessi, uso il suo cognome solo per prenotare ristoranti dove mi direbbero no.
Il matrimonio nel 2022 è stato improvviso?
(Ride) Volevamo un momento nostro. Era tutto organizzato, ci siamo fatti fare i vestiti nella sartoria interna dell’azienda dicendo che li avremmo indossati a Carnevale. Poi siamo andati a Miami con Sydne, ci siamo sposati e la foto l’abbiamo postata un anno dopo. Nell’anello, che porta anche Sydne, sono incisi i tre nomi.
La scelta di vivere a Bassano?
Ho vissuto la grande città e apprezzo la vita di provincia. Per mia figlia è fondamentale crescere a Bassano, alla scuola statale, con i suoi amici, mangiando bene, vivendo senza correre.
Come veste Arianna? È ambassador del brand?
A mia figlia compro cose di Zara perché deve essere pari agli altri bambini, dovunque va. Poi a lei piace Diesel perchè suo papà è “Renzo Diesel”. Io confesso che non ho mai amato lo shopping. Qualche volta nei nostri negozi scelgo un capo, poi passa Renzo e me ne porta 4-5 e devo dire che ha occhio, è il mio stylist. Lo sa che mi prendeva in giro?
Cioè?
Mi chiamava “camiseta ceeste” perchè vestivo sempre in tailleur con camicia quando ero in ufficio.
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