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Industria italiana, perché è tornato il segno più


Il ritorno della produzione industriale italiana al segno più nella variazione annua in aprile è stata una sorpresa positiva. Era dal gennaio 2023 che non accadeva. Un dato che, a prima vista, potrebbe far pensare a una svolta. Ma è davvero così? O si tratta solo di un rimbalzo figlio del calendario con la concentrazione di festività che innalza il dato medio delle rimanenti giornate lavorative?

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Un segnale da leggere con attenzione

Il dato positivo sulla produzione industriale è certamente incoraggiante. Ma per comprenderne la portata, occorre inserirlo in un contesto più ampio. L’Italia, negli ultimi anni, ha mostrato una sorprendente resilienza: dal 2019 al primo trimestre 2025, il PIL è cresciuto del +6,3%, più della Francia (+4,8%) e molto più della Germania (+0,3%). Solo la Spagna ha fatto meglio (+8%).

Nel periodo 2007-2014, l’Italia aveva perso l’8,9% di PIL, mentre la Germania guadagnava il 6,1%. Oggi, il quadro si è ribaltato. Questo cambiamento è frutto di due forze convergenti: primo, la ristrutturazione microeconomica: le imprese italiane hanno innovato, aumentato la qualità, si sono internazionalizzate e digitalizzate. La maggiore penetrazione dei mercati esteri è stata molto importante a rendere il saldo delle partite correnti è strutturalmente in attivo, cosicché la posizione finanziaria netta sull’estero è positiva per il 15% del PIL. Secondo, la politica economica espansiva: tra il 2020 e il 2022, il sostegno pubblico (superbonus, incentivi 4.0, ristori) ha spinto gli investimenti fissi lordi e sostenuto la fiducia.

Ma la ripresa industriale è fragile

Il ritorno al segno più nella produzione industriale non deve far dimenticare che il settore manifatturiero resta sotto pressione. Il PMI manifatturiero è rimasto sotto quota 50 per gran parte del biennio 2023-2024, segnalando contrazione. Solo a maggio 2025 si è registrata una timida risalita. L’aspetto positivo di questa risalita è che riguarda tutti i principali Paesi europei, e quindi ha a che fare con fenomeni non solo italici. Inoltre, dato lo stretto collegamento produttivo dentro l’Europa, l’aumento in un sistema trascina l’aumento in altri.

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Il punto importante da sottolineare è che la domanda interna italiana rimane debole perché i salari salgono poco. Tanto è vero che i salari reali sono ancora inferiori del 5% rispetto al 2000, mentre in Germania sono saliti del +14%, in Francia del +20% e in Spagna del +4%. Questo frena i consumi interni e limita la capacità del mercato domestico di trainare la crescita.

Nel 2024, le retribuzioni lorde per dipendente, al netto dell’inflazione, sono scese in Italia, mentre sono rimaste stabili in Germania e salite in Spagna. Anche nel settore manifatturiero, il potere d’acquisto è calato.

Un sistema che ha imparato a galleggiare

Eppure, qualcosa è cambiato. L’Italia non è più il fanalino di coda d’Europa. La selezione darwiniana imposta dalle crisi del 2008 e del 2011 ha lasciato in piedi un tessuto produttivo più solido. Il saldo primario strutturale è passato dal -4,8% del PIL nel 2023 al +0,2% nel 2025, segno di una stretta fiscale che ha però rallentato la crescita.

Il PMI composito (servizi+manifattura) ha superato quota 50 da dicembre 2024, segnalando espansione. Come spiegato nell’Osservatorio di Ceresio Investors di giugno, in maggio l’Italia ha superato la Spagna in termini di dinamica congiunturale, mentre Germania e Francia restano in difficoltà.

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Conclusione: il segno più è un’opportunità, non una garanzia

Il ritorno alla crescita della produzione industriale è un segnale da cogliere, ma non da celebrare rilassandosi. È il momento di rilanciare una politica industriale che premi l’innovazione, la crescita dimensionale delle imprese e la qualità del lavoro. Senza un aumento dei salari reali, senza una spinta alla produttività e senza una strategia industriale coerente, il segno più rischia di non portare a una solida ripresa. Ma se sapremo cogliere questa occasione, l’Italia potrà finalmente tornare a essere non solo un campione dell’export, ma anche della crescita durevole.



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