IL 2025 si sta delineando come un anno di transizione profonda: un cambiamento di paradigma che investe la geofinanza globale, il sistema degli scambi commerciali e il ruolo delle banche nei processi di sviluppo industriale. A fronte di una crescente instabilità negli equilibri internazionali, si aprono – per un Paese come l’Italia – spazi di manovra che richiedono visione strategica, capitale paziente e un rinnovato protagonismo del tessuto produttivo di qualità. L’inasprirsi delle tensioni commerciali tra Stati Uniti, Cina ed Europa – ulteriormente alimentate dall’agenda protezionista del nuovo mandato presidenziale statunitense – sta progressivamente ridisegnando la geografia delle catene del valore. Secondo le previsioni del Peterson Institute, entro il 2026 oltre il 40% dei flussi di beni tecnologici ad alto valore aggiunto potrebbe essere soggetto a nuove forme di dazi o restrizioni, con effetti rilevanti sull’inflazione strutturale e sulla competitività. In questo contesto, l’Europa e l’Italia sono chiamate a una risposta proattiva: la reindustrializzazione selettiva, con investimenti in filiere strategiche e il reshoring di asset produttivi, non è più solo un’opportunità, ma una necessità.
In un’Europa dove Germania e Francia stanno rafforzando le loro politiche industriali attraverso fondi sovrani, sgravi fiscali mirati e piani strutturali per la competitività, l’Italia è chiamata a non restare spettatrice. Il rischio non è solo di perdere investimenti esteri, ma anche di assistere a una fuga di capitali e talenti verso ecosistemi più attrattivi. Serve una strategia nazionale fondata sulla qualità industriale e sulla valorizzazione delle piccole e medie imprese, dove il Paese esprime un vantaggio competitivo ancora sottovalutato.
La normalizzazione della politica monetaria da parte della BCE, che prevede un graduale abbassamento del tasso di deposito al 2% entro fine anno, rappresenta un cambio di passo significativo per il sistema bancario europeo. In Italia, questo si traduce nella possibilità di rilanciare il credito all’economia reale, soprattutto per le PMI industriali ad alta intensità di capitale. Ma il vero fattore critico sarà la capacità di coniugare velocità decisionale e valutazione prospettica. Le banche dovranno evolvere verso un ruolo più consulenziale e orientato alla filiera, sostenendo i progetti industriali con logiche di partnership più che di mera intermediazione.
Come evidenziato dai report di gennaio e febbraio 2025 di Intermonte, le valutazioni relative delle mid e small cap italiane sono tornate ai livelli più bassi degli ultimi quattro anni. A febbraio, il P/E medio del segmento era al 19% rispetto alle large cap, in linea con la media storica ma ben sotto i picchi del recente passato. Questo repricing offre agli investitori un’opportunità rara di ingresso su aziende con fondamentali solidi e posizionamenti di nicchia difficilmente replicabili. In particolare, settori come la manifattura avanzata, le infrastrutture per la transizione ecologica e la tecnologia industriale mostrano segnali positivi. Il caso Fincantieri – +24% di performance azionaria e revisione al rialzo degli utili del 37% nei primi due mesi del 2025 – è emblematico. Ma anche Maire Tecnimont, protagonista della transizione energetica, e SESA, leader nell’ICT per il B2B, rappresentano modelli virtuosi di crescita integrata tra innovazione, capitale umano e internazionalizzazione.
Il Fondo Nazionale Strategico – con una dotazione iniziale fino a 1,5 miliardi di euro – rappresenta un volano fondamentale per invertire il trend di disinvestimento dalle mid cap italiane registrato negli ultimi tre anni. L’obiettivo dichiarato di affiancare capitale pubblico e privato in una logica di lungo termine può restituire fiducia agli investitori istituzionali, soprattutto esteri, attratti dalla stabilità politica italiana e da valutazioni competitive rispetto ai principali mercati europei. L’Italia dispone di asset unici per intercettare il nuovo ciclo geo-industriale: una rete diffusa di PMI manifatturiere, leadership tecnologiche verticali e un capitale umano altamente specializzato. Ma serve un’alleanza tra capitale finanziario e capitale industriale per colmare il gap dimensionale che ancora penalizza molte eccellenze italiane nei processi di internazionalizzazione. In questo scenario, gli investimenti in transizione energetica, digitalizzazione industriale e cybersecurity si configurano come driver imprescindibili per sostenere la competitività delle imprese nei prossimi anni.
Il ritorno del valore passa oggi per la capacità di discernere. In un contesto dominato dalla polarizzazione tra hype e rendimenti reali, la costruzione di portafogli resilienti richiede una logica selettiva basata su fondamentali, visione strategica e governance solida. Le mid e small cap italiane, se lette con occhi attenti e investite con orizzonti di lungo periodo, rappresentano una delle migliori proxy per la rinascita industriale del Paese. Chi aspetta segnali definitivi rischia di perdere l’occasione di posizionarsi quando il ciclo è ancora favorevole. Il tempo dell’attesa è finito: è il momento delle decisioni strategiche. La differenza non la farà chi rincorre i trend, ma chi sa costruirli. Con metodo. Con pazienza. E con capitale che crede nel futuro industriale dell’Italia.
* Presidente e CEO di SRI Group
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