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Superbonus: cosa dice realmente il Rapporto UPB 2025?


L’aumento incontrollato della domanda ha provocato colli di bottiglia, scarsità di materiali, speculazione nei listini e aumento degli ordini anche per imprese prive di capacità produttiva adeguata. Come documentato dalla Banca d’Italia e dall’UPB, circa metà dell’aumento dei costi edilizi nel triennio è attribuibile direttamente alla misura.

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Questo surriscaldamento ha avuto anche un costo umano. I dati INAIL mostrano un’impennata degli infortuni sul lavoro nel settore costruzioni, che ha superato i livelli pre-pandemia già nel 2022. Pur tenendo conto dell’effetto base del 2020-2021 legato al Covid, l’aumento degli incidenti nel 2022 e 2023 appare strutturale e correlato all’espansione disordinata del comparto. L’urgenza di completare i cantieri entro le scadenze fiscali, unita alla pressione sul personale e alla frammentazione dei subappalti, ha aumentato i rischi e ridotto la qualità della supervisione.

Questi effetti collaterali – inflazione settoriale, carenza di manodopera qualificata, incremento degli infortuni – si sono sommati a una dinamica distorsiva che ha reso più onerosi anche gli interventi edilizi ordinari, non incentivati. L’effetto netto è stato un peggioramento dell’efficienza allocativa e un peggioramento della sicurezza complessiva nei cantieri.

Effetti redistributivi e distributivi

La distribuzione dei benefici del Superbonus è stata iniqua e marcatamente regressiva. Secondo i dati del rapporto Gli immobili in Italia 2023, oltre il 50% della spesa totale per il Superbonus è stata assorbita da immobili situati in aree a più alto valore catastale, prevalentemente di proprietà di famiglie con redditi medio-alti o alti. In molte città, gli immobili di categoria A1 (abitazioni signorili) e A8-A9 (ville e castelli) hanno beneficiato di detrazioni tra le più alte pro capite.

L’effetto regressivo è duplice e sistemico. Da un lato, i proprietari di immobili di pregio hanno ricevuto i maggiori vantaggi fiscali, potendo attivare interventi più costosi e capienti. Dall’altro, i cittadini che non hanno potuto accedere alla misura – inquilini, giovani senza patrimonio immobiliare, proprietari con redditi troppo bassi per sostenere le spese iniziali o abitanti in condomìni disfunzionali – sono stati esclusi dai benefici diretti, ma hanno comunque finanziato la misura attraverso la fiscalità generale.

Si è dunque prodotta una redistribuzione inversa: dalle fasce meno abbienti verso quelle più agiate. L’assenza di criteri selettivi (come tetti ISEE o limiti di valore dell’immobile) ha reso la misura strutturalmente iniqua. Come evidenziato anche dall’OCPI e da diverse analisi di microdati fiscali, il Superbonus ha rafforzato le disuguaglianze patrimoniali preesistenti, generando un effetto di trasferimento netto di risorse pubbliche verso l’alto della scala sociale.

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Questa dinamica è aggravata dal fatto che il bonus ha riguardato in modo prevalente immobili unifamiliari o villette, soprattutto nei primi anni di attuazione, mentre gli interventi condominiali – più rilevanti per l’edilizia popolare e la coesione urbana – hanno scontato ritardi e ostacoli amministrativi maggiori. Il risultato finale è stato un aumento della polarizzazione tra chi ha potuto ristrutturare interamente la propria abitazione a spese dello Stato e chi non ha ricevuto nulla, ma ne sopporta comunque i costi.

Impatti di lungo termine e rallentamento economico

La fine della misura ha prodotto un effetto recessivo netto. Secondo l’UPB, il valore aggiunto del settore costruzioni calerà del -1,0% nel 2024. Ma l’impatto reale sarà più ampio, considerando i crediti incagliati, i licenziamenti e le conseguenze su tutta la filiera. Il blocco della cessione dei crediti ha paralizzato la liquidità di migliaia di imprese, innescando una crisi finanziaria che in molti casi ha portato alla sospensione dei cantieri o al fallimento.

Il Superbonus ha creato un’espansione artificiale e instabile del settore edilizio. Molte imprese hanno assunto e investito sulla base di una domanda drogata dall’incentivo fiscale, espandendosi rapidamente senza una base sostenibile. Con la sua fine, si è verificata una contrazione speculare: mancati pagamenti, crollo degli ordinativi, contenziosi giudiziari e incertezza normativa.

Secondo i dati di CNA Costruzioni e Ance, numerose micro e piccole imprese edili hanno accumulato crediti non liquidabili, rimanendo esposte a rischio default. Le conseguenze sono evidenti anche sul piano occupazionale, con la perdita di posti di lavoro e un aumento della precarietà nel comparto. Le difficoltà si estendono lungo tutta la catena: progettisti, fornitori, tecnici, consulenti.

Il ciclo economico attivato si è risolto in uno shock transitorio mal progettato, con una breve espansione seguita da una recessione simmetrica e un elevato costo finanziario. La lezione più evidente è che politiche espansive non strutturate, prive di selettività e prospettiva industriale, generano instabilità più che crescita duratura. In questo senso, il Superbonus si configura come un esempio paradigmatico di stimolo pro-ciclico sbilanciato, con impatti gravi nel medio periodo sulla sostenibilità dell’intero settore.

Conclusioni

Contrariamente alla rappresentazione del Fatto Quotidiano, il Rapporto sulla politica di bilancio 2025 dell’UPB e numerose fonti indipendenti (QEF n. 903 della Banca d’Italia, Gli immobili in Italia 2023, OCPI, lavoce.info) mostrano che il Superbonus è stato caratterizzato da inefficienza economica, effetti regressivi, inflazione settoriale e un’eredità fiscale pesantissima.

Questa misura non è un modello da imitare, ma un caso scuola di come l’emergenza può essere usata per giustificare interventi populisti, con benefici di breve periodo e costi che ci accompagneranno per decenni.



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