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Agrifood, motore dell’economia italiana – Economia e politica


Grazie alle buone performance dell’agricoltura, dell’industria alimentare e delle bevande (41% del totale), con Lombardia, Emilia Romagna e Veneto che producono oltre il 42% del totale, il sistema agroalimentare si conferma un settore cardine della nostra economia. Con un fatturato di 676 miliardi di euro, circa il 15% del fatturato globale dell’economia nazionale, l’agroalimentare, sulla base dei dati dell’Annuario del Crea 2023, è infatti tra i comparti più rilevanti del made in Italy.

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Un comparto che però oggi deve affrontare i numerosi cambiamenti in atto causati dalla discontinuità dello scenario macroeconomico, tecnologico, geopolitico e ambientale. Cambiamenti come il tema scelto per l’edizione 2025 del Food&Science Festival, dove è stato fatto il punto sul sistema agroalimentare in un mondo che cambia, per cercare di capire qual è lo scenario attuale e quali sono le prospettive per il futuro. Il tutto grazie al Forum delle Economie, Agrifood Experience a cura di UniCreditConfagricoltura Mantova lo scorso 16 maggio, alla presenza di numerosi esponenti del mondo della finanza, della ricerca e della formazione.

 

“La filiera italiana dell’agrifood: l’Italia ed il nuovo contesto internazionale, con proiezione su Mantova e provincia” è stato il tema su cui si è focalizzato Andrea Dossena, associate partner di Prometeia, nel suo intervento. I dazi sono stati il primo tema toccato, ma Dossena ha fin da subito affermato che “i dazi probabilmente non sono il problema principale dei dazi. E non è un gioco di parole, perché il rischio vero è quello dell’incertezza sui mercati finanziari che porta a una totale perdita di fiducia tra operatori finanziari, con l’ulteriore conseguenza di un abbassamento delle previsioni di crescita dell’economia mondiale nei prossimi due anni a livello globale”.

 

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L’agrifood dà i numeri

Oggi la filiera italiana dell’agrifood ha più di 1 milioni di imprese, un valore della produzione di 259 miliardi e un numero di addetti di 1,5 milioni. Concentrandosi sulla Lombardia, Andrea Dossena ha specificato che è la prima regione italiana della filiera, “di cui rappresenta il quinto del fatturato complessivo”; sul fatturato nazionale la Lombardia pesa infatti per un 20%. All’interno della regione, Mantova è una provincia molto importante: le imprese sono circa 7mila e il valore della produzione rappresenta il 10,7% della quota sull’agrifood della Lombardia.

 

I numeri della filiera agrifood

(Fonte foto: Giulia Romualdi – AgroNotizie®)

 

Guardando più in generale all’intero settore agricolo, la fotografia scattata dallo studio di Prometeia su dati Istat mostra che negli ultimi anni l’agricoltura italiana è cambiata moltissimo. “Negli ultimi due censimenti – spiega Dossena – si è più che dimezzato il numero di aziende agricole, ma è più che raddoppiata la dimensione media delle imprese. Quindi non c’è stata una perdita di superficie, di capacità, di potenziale produttivo”.

 

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Ciò garantisce all’Italia il primo posto nell’Unione Europea per valore aggiunto e il terzo posto per valore della produzione agricola. Valore aggiunto che è sinonimo di qualità dei prodotti e quando si parla di qualità dei prodotti non si può non parlare delle produzioni Dop, Igp, Stg e del biologico. In Italia le Indicazioni Geografiche sono oltre ottocento, di cui oltre cinquecento nel vino e oltre trecento nel cibo; in più, nell’Ue un’azienda bio su cinque è italiana.

 

“C’è inoltre un processo di internazionalizzazione molto forte e la crescita delle esportazioni non ha paragoni”, continua Andrea Dossena. “Il 70% delle esportazioni di prodotti trasformati va in Europa e l’80% dei prodotti agricoli è venduto in Europa, ma ci sono altre aree del mondo in cui l’offerta italiana sta crescendo, soprattutto nei mercati a medio-alto reddito, che possono essere nel breve periodo anche un’alternativa a una eventuale maggior chiusura del mercato statunitense”, ha concluso.

 

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La geografia dell’export dell’agrifood italiano

(Fonte foto: Giulia Romualdi – AgroNotizie®)

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L’approccio finanziario alle filiere agroalimentari

“I cambiamenti sono davvero veloci, talvolta anche imprevedibili e le sfide che il settore ha davanti sono numerose, in primis quella tecnologica e quella generazionale. Ha esordito così Luisella Altare, head of corporate di UniCredit nel corso del convegno.

 

A tal proposito un ruolo fondamentale è svolto dagli istituti di credito, in grado di dare un supporto finanziario alle aziende agricole. Dialogo è la parola chiave, un dialogo con le associazioni, con le istituzioni e con il mondo accademico, ma soprattutto un dialogo con le aziende agricole per capire quelli che sono i loro bisogni e le loro necessità nel breve e nel lungo periodo.

 

Cosa mette in campo dunque UniCredit per le imprese agricole?

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Innanzitutto la competenza dei propri operatori grazie a un grande investimento in formazione. La banca oggi può infatti contare su quindici specialisti agribusiness, sette coordinatori agribusiness e centottanta consulenti business per l’agricoltura. “Sono oltre cento le filiere in Italia che oggi hanno rapporti con UniCredit”, spiega Alessandro Tosi, small corporate sales Italy di UniCredit. “I nostri prodotti di qualità vanno in tutto il mondo e per fare qualità bisogna supportare le imprese che la fanno. Ecco quindi – continua – il concetto di filiera e, per quanto ci riguarda, abbiamo creato un modello su quella che è la filiera di conferimento.

 

La filiera di conferimento consiste nell’articolato insieme di tutte le imprese che concorrono a qualsiasi titolo nella produzione di un determinato bene finale. Si basa su un modello “Hub & Spoke”, dove l’hub rappresenta il punto di sintesi (per esempio i trasformatori, i consorzi o le Op) che si avvale di una pluralità di conferenti per massimizzare il potenziale economico e qualitativo.

 

Nello specifico, il modello dedicato alle filiere agroalimentari si basa su tre punti:

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  • analisi, ovvero identificazione dei driver e individuazione dei bisogni;
  • attuazione del modello, cioè selezione e visita presso l’hub;
  • accordo tra hub e banca e monitoraggio, ovvero andare a monitorare l’andamento della convenzione e tenere conto dei feedback degli hub e dei conferenti.

 

Per quanto riguarda i driver, quelli individuati sono i seguenti:

  • durata del ciclo produttivo/economico, in quanto non tutti i cicli produttivi sono uguali;
  • proprietà del bestiame da allevamento;
  • Sconto crediti fiscali

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  • stabilità della filiera, che è rappresentata dalla fidelizzazione tra conferente e hub, dalla qualità del prodotto finale ed è caratterizzata dalla certezza di collocare il prodotto verso la Grande Distribuzione Organizzata, all’estero o in una nicchia di mercato;
  • presenza di forme associative;
  • ciclo di commercializzazione lungo (invecchiamento, stagionatura, affinamento), ci sono per esempio prodotti che necessitano di un periodo di invecchiamento o di affinamento superiore a ventiquattro mesi.

 

Questi driver sono stati combinati nel modello dedicato e incrociati poi con il catalogo dei prodotti della banca.

 

Oggi un aiuto in più arriva dall’intelligenza artificiale, “il motore di supporto alla decisione del credito”, come spiega Luisella Altare. Con l’intelligenza artificiale “riusciamo ad utilizzare tutta una serie di informazioni che abbiamo già sui nostri clienti e quindi a pre valutarli, ad avere già delle linee di credito pre valutate a disposizione del nostro cliente e questo agevola, facilita e accelera il dialogo delle nostre persone sul territorio con l’imprenditore agricolo. Vuol dire avere credito per le imprese”, conclude.

 

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Nuovo approccio finanziario alle filiere agroalimentari

 

Startup, dove l’innovazione è di casa

Oltre al mondo delle imprese c’è tutto un altro mondo rappresentato dalle startup. Se quando si pensa a queste ultime “la mente va subito a dei giovani in un garage che fanno cose che molto probabilmente non funzioneranno mai, la realtà non è esattamente così”, afferma Alberto Barbari, investment committee member FoodSeed e regional vp Italy Eatable Adventures, in conclusione dell’incontro. “E non c’è bisogno di essere in California, a New York o a Berlino per fare innovazione – continua – perché anche in Italia si può fare innovazione a partire dalle province”.

 

Nel nostro Paese il modello Silicon Valley non funziona, ma funzionano molto bene i distretti, l’innovazione in periferia e il concetto di avere un acceleratore economico diffuso. Oggi sono più di quattrocento le startup agrifood attive e nel 2024 sono stati investiti 103 milioni di euro, ma in Italia c’è una profonda spaccatura tra Nord e Sud: se il Nord è un centro nevralgico, un ecosistema già maturo ma ancora frammentato, il Sud ha un grande potenziale dal punto di vista della biodiversità e del knowhow agricolo, ma è ancora poco valorizzato.

 

Eatable Adventures è un acceleratore di startup, o microimprese, come ama definirle Barbari, con l’obiettivo di creare un ecosistema nazionale “che veramente possa fare innovazione per quanto riguarda il mondo agrifood e che aiuti a portare le tecnologie sul mercato”.

 

Ma cosa vuol dire fare innovazione? Vuol dire portare valore all’interno della filiera, non fare qualcosa in modo diverso e eliminare tutto ciò che è stato fatto prima, vuol dire ripensare alla filiera con due pilastri principali: l’efficienza e la sostenibilità. Si deve pensare all’ecosistema come qualcosa composto da più step, dove partire dai centri di ricerca e arrivare al mercato.

 

Alberto Barbari, investment committee member FoodSeed e regional vp Italy Eatable Adventures nel suo intervento nel corso del convegno

Alberto Barbari, investment committee member FoodSeed e regional vp Italy Eatable Adventures nel suo intervento nel corso del convegno

(Fonte foto: Giulia Romualdi – AgroNotizie®)

 

Esempi concreti di tutto ciò sono due progetti: il Verona Agrifood Innovation Hub e l’acceleratore FoodTech FoodSeed.

 

Il primo vuole diventare un polo di riferimento in cui studenti, dottorandi, aziende e startup si possano incontrare e possano discutere dei temi strategici all’interno della filiera grazie a eventi verticali e corsi di formazione gratuiti. “Vogliamo creare – spiega Alberto Barbari – un momento di integrazione in cui non solo studenti, ma anche aziende e startup possano imparare a mettersi al tavolo e discutere su temi strategici per quanto riguarda la filiera alimentare”.

 

Ad oggi sono più di 2.500 le persone formate con i corsi, le aziende, le startup, gli investitori e le università con cui sono state sviluppate collaborazioni sono più di trecento e sono più di 5mila le persone che fanno parte della community.

 

FoodSeed è invece un acceleratore che investe nelle startup più innovative italiane in grado di dare soluzioni dal campo alla tavola. Nato nel 2023 con una dotazione di 15 milioni di euro, oggi ha accelerato quattordici startup, investito 3,7 milioni di euro e generato più di quaranta posti di lavoro.

 

Tra i casi di successo ci sono Foreverland, che ha sviluppato un’alternativa sostenibile al cacao a base di carruba; Hypesound, con la sua tecnologia sonora innovativa a bassa frequenza che ottimizza i processi di bioproduzione; Aflabox, in grado di rilevare in tempo reale in noci, cereali e semi oleosi, tramite immagini ultraviolette e intelligenza artificiale, la presenza di aflatossine e altre micotossine; e BeadRoots, con i suoi idrogel innovativi e sostenibili per ottimizzare le risorse idriche e combattere la siccità.



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