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Retribuzioni differite e mobilità internazionale: verso una svolta nella tassazione dei bonus cross-border?


Introduzione

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Nel contesto della crescente mobilità internazionale dei lavoratori, la fiscalità applicabile alle retribuzioni differite – quali bonus, stock option e TFR – si conferma una delle questioni più complesse e dibattute sotto il profilo impositivo.

Quando tali emolumenti maturano in un Paese estero ma vengono percepiti successivamente al trasferimento della residenza fiscale in Italia, si pone infatti il problema di individuare correttamente la potestà impositiva tra gli Stati interessati.

La recente risposta a interpello n. 81/2025 interviene in questo scenario con un’interpretazione che potrebbe segnare un importante cambio di rotta.

Pur nel quadro del principio di cassa sancito dall’articolo 51 del TUIR, l’Agenzia delle Entrate apre infatti alla possibilità di escludere da imposizione in Italia quei redditi che, pur percepiti in costanza di residenza fiscale italiana, risultano maturati all’estero da soggetti che, all’epoca, erano ivi residenti.

Si tratta di un’impostazione che valorizza la sostanza economica del reddito rispetto al mero momento della sua percezione.

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Il caso concreto

Il caso esaminato nella risposta riguarda un dipendente che ha svolto l’attività lavorativa nel Regno Unito fino al 31 dicembre 2023, mantenendo in tale periodo la residenza fiscale britannica.
A partire da gennaio 2024, il contribuente ha trasferito la propria residenza in Italia, proseguendo l’attività lavorativa in un’altra società appartenente allo stesso gruppo multinazionale.
In base agli accordi con il datore di lavoro estero, il lavoratore ha ricevuto o riceverà diversi bonus, così articolati:

  • uno riferito al triennio 2021–2023, maturato interamente in UK ed erogato nel 2024 dopo il trasferimento della residenza fiscale;
  • due incentivi relativi ai trienni 2022–2024 e 2023–2025, percepiti rispettivamente nel 2025 e 2026, con maturazione parzialmente riferibile al Regno Unito e parzialmente all’Italia;
  • ulteriori bonus riferibili esclusivamente all’attività svolta in Italia dopo il trasferimento.

 

La posizione dell’Agenzia: prevale il criterio sostanziale

Nella risposta, l’Agenzia delle Entrate ribadisce innanzitutto che, secondo l’ordinamento interno (articolo 51 del TUIR), i redditi da lavoro dipendente sono tassabili al momento della percezione, in base al principio di cassa.

Tuttavia, tale regola deve essere coordinata con l’articolo 15, paragrafo 1, della Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Regno Unito, che in base al diritto internazionale prevale sull’ordinamento interno. Secondo la norma pattizia – come interpretata dal Commentario OCSE – la potestà impositiva spetta allo Stato in cui l’attività è effettivamente svolta, a condizione che il lavoratore sia residente in detto Stato nel periodo di maturazione del reddito, a prescindere dal luogo di residenza al momento della percezione delle somme.

Pertanto, ai fini dell’attribuzione del diritto impositivo, è decisiva l’origine economica del reddito, intesa come luogo e periodo in cui il lavoro è stato prestato.

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Sulla base di questo principio, l’Agenzia ha concluso che i bonus riferibili a periodi di attività svolta all’estero e maturati quando il lavoratore era fiscalmente residente nel Regno Unito sono imponibili esclusivamente nello Stato estero, anche se percepiti successivamente al trasferimento in Italia, mentre l’imposizione in Italia resta limitata alle sole quote maturate dopo il trasferimento della residenza fiscale.

 

La coerenza con la prassi sul TFR

A sostegno di questa impostazione, l’Agenzia richiama i chiarimenti contenuti nella risoluzione n. 341/2008, relativa al trattamento di fine rapporto, nella quale è stato chiarito che:

  • la quota di TFR riferibile all’attività lavorativa svolta in Italia da un soggetto residente in Italia è imponibile esclusivamente in Italia;
  • la quota riferita all’attività svolta all’estero, quando il soggetto era ivi residente, è imponibile unicamente nello Stato estero.

Questo approccio, incentrato sulla residenza e sul luogo di esercizio dell’attività nel periodo di maturazione, è stato poi ribadito nella risoluzione n. 61/2013 (sull’indennità di mancato preavviso), nella risposta n. 343/2020 (sempre in merito al TFR) e più di recente nella risposta ad interpello n. 126/2023 (sull’erogazione di incentivi monetari).

In tutti questi casi, l’Agenzia ha valorizzato una lettura sostanziale dell’articolo 15 del Modello OCSE, ancorata all’effettiva origine economica del reddito e non al momento di percezione.

 

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Discontinuità rispetto alla prassi precedente

La posizione espressa nella risposta n. 81/2025 sembra segnare, invece, una discontinuità rispetto ad altri precedenti di prassi.

La circolare n. 33/2020, ad esempio, in riferimento al regime dei lavoratori impatriati, aveva sostenuto la tassazione in Italia di emolumenti riferibili a periodi precedenti al trasferimento della residenza fiscale, pur escludendoli dal perimetro dell’agevolazione per mancanza del requisito territoriale di produzione del reddito.

Ancora più marcata è la distanza rispetto alla risposta n. 783/2021 e alla risoluzione n. 92/2009, che avevano affermato l’imponibilità di stock option maturate durante un periodo di attività all’estero, ma esercitate dopo il trasferimento in Italia.

Quest’ultima fattispecie, in particolare, appare analoga a quella oggetto della risposta n. 81/2025 (attività lavorativa svolta nel Regno Unito, residenza estera del dipendente durante il vesting period e assegnazione delle azioni successiva al trasferimento della residenza in Italia), ma la soluzione adottata dall’Agenzia è stata differente: tassazione in Italia dell’intero valore delle azioni “a prescindere dal fatto che i titoli retribuiscano eventualmente anche le prestazioni lavorative che, nel periodo di vesting, il dipendente ha reso nel Regno Unito mentre era ivi residente”.

 

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Implicazioni operative per imprese e lavoratori

Le diverse casistiche richiamate confermano quanto il diritto tributario internazionale rimanga un terreno in costante evoluzione, dove anche una singola risposta a interpello può innescare rilevanti effetti di sistema.

Resta tuttavia evidente come, in ambiti così delicati, i cambi di orientamento dell’Amministrazione finanziaria risultino spesso di difficile lettura, soprattutto quando riguardano casi apparentemente analoghi ma trattati con soluzioni differenti.

Tale incertezza appare riconducibile anche alla sinteticità delle risposte pubblicate, che spesso non consente di cogliere appieno le specificità delle fattispecie esaminate né di considerare l’intera documentazione trasmessa dal contribuente all’Amministrazione finanziaria (in questi casi, sono infatti determinanti le condizioni contrattuali del piano di incentivazione, per stabilire se, e in che misura, la retribuzione sia ricollegabile ad attività di lavoro dipendente svolta in un Paese piuttosto che in un altro). Una limitazione che complica ulteriormente l’interpretazione e l’applicazione coerente della prassi nei diversi contesti operativi.

Ad ogni modo, una possibile chiave interpretativa della discontinuità tra le diverse posizioni assunte dall’Agenzia delle Entrate può essere rintracciata nel diverso grado di maturazione del compenso al momento del trasferimento della residenza fiscale in Italia.

Nel caso dei bonus puramente differiti, l’attività lavorativa è interamente riferibile al periodo estero e il differimento riguarda esclusivamente il momento dell’erogazione, non la maturazione del diritto. In tale contesto, appare coerente l’esclusione da imposizione in Italia, in linea con il principio dell’“origine economica” del reddito, valorizzato nella risposta n. 81/2025.

Diversamente, quando l’erogazione del compenso è subordinata al verificarsi di una condizione, il diritto non si consolida automaticamente alla fine del vesting period, ma richiede l’avverarsi di un presupposto (ad esempio, la permanenza nel gruppo per un determinato numero di anni), che può realizzarsi solo dopo il trasferimento della residenza in Italia. In tal caso, risulta giustificabile ritenere che il reddito si perfezioni — e divenga quindi imponibile — anche nel nuovo Stato di residenza.

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Questa distinzione di natura sostanziale potrebbe dunque costituire il vero discrimine tra le due prassi, offrendo una possibile spiegazione dell’apparente incoerenza nell’orientamento dell’Amministrazione finanziaria. Resta tuttavia auspicabile un chiarimento ufficiale che assicuri maggiore certezza a beneficio dei lavoratori e delle imprese.

 

Prossimo approfondimento in Assolombarda

Si segnala che questi temi saranno oggetto di approfondimento nel corso del prossimo incontro informativo organizzato da Assolombarda, in collaborazione con la Direzione Regionale della Lombardia dell’Agenzia delle Entrate, in programma il prossimo 10 luglio (link al sito).

L’evento, dedicato al tema “Lavoro dipendente: distacco da e verso l’estero e remote working”, offrirà l’occasione per confrontarsi direttamente con l’Amministrazione finanziaria su casi pratici e problematiche ricorrenti legate alla fiscalità del lavoro in ambito internazionale.



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