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Dazi al 10% dopo il vertice Nato, la strategia di Meloni


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Durante il vertice Nato, dove si è deciso di rafforzare l’impegno finanziario sulla difesa, la questione dei dazi tra Stati Uniti ed Europa ha mantenuto un ruolo centrale nell’agenda parallela dei colloqui.

L’ipotesi di un’intesa sulle tariffe al 10% viene vista da Giorgia Meloni come un’opzione “non particolarmente impattante” per il tessuto produttivo italiano, mentre sul fronte atlantico si guarda al potenziale collegamento tra maggiore coesione militare e convergenza economica.

Da qui prende le mosse la linea politica della premier, che ha partecipato al summit con i 32 leader dell’Alleanza, dove è stato concordato che entro il 2035 ogni Stato membro dovrà destinare fino al 5% del proprio Pil per le spese legate alla sicurezza.

Il tema dazi con gli Stati Uniti e l’integrazione economica transatlantica

Nel bilaterale con Donald Trump, Meloni ha affrontato il tema della politica commerciale e dei dazi tra Unione Europea e Stati Uniti. L’ipotesi di un’intesa sul 10% sembra non preoccupare il governo italiano.

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La prospettiva, come sempre, è quella di una maggiore convergenza economica tra le due sponde dell’Atlantico:

Potenziamento della Nato e integrazione economica devono andare di pari passo.

Le prossime mosse tra Bruxelles e Washington sulla partita commerciale

Il confronto sul fronte commerciale tra Bruxelles e Washington si gioca su un equilibrio delicato:

  • la necessità di evitare l’escalation tariffaria ventilata dagli Stati Uniti;
  • la volontà europea di difendere le proprie industrie senza scatenare ritorsioni.

Entro il 9 luglio si punta a definire una cornice che possa soddisfare anche Trump, con l’opzione di una soglia del 10% ritenuta accettabile dai governi più esposti all’export, come per l’appunto quello italiano.

Per rendere digeribile l’intesa, si discute poi la possibilità di allentare alcune norme europee sull’importazione di veicoli americani, anche a costo di smussare pezzi del Green Deal. Una mossa, questa, che incontra il favore di Giorgia Meloni, storicamente critica nei confronti delle rigidità ambientali imposte da Bruxelles.

Dalla difesa al commercio: una partita politica intrecciata

Meloni e il ministro Tajani vedono nel possibile accordo commerciale con gli Usa un’occasione per rafforzare la posizione dell’Italia su altri fronti negoziali. In questo senso, la scelta di rafforzare l’impegno sulla difesa viene letta anche come un’opportunità tattica per ottenere maggiore ascolto nella trattativa commerciale con Washington.

Il governo italiano valuta che la disponibilità dimostrata all’Aia possa funzionare da leva per ammorbidire la posizione americana sui dazi. Non a caso, Meloni insiste sull’urgenza di chiudere ora.

Sul tavolo del Consiglio europeo, intanto, si sovrappongono dossier complessi: dalle sanzioni alla Russia, al tetto al prezzo del petrolio, fino ai fondi per sostenere il riarmo europeo. Tutti elementi che si intrecciano con la traiettoria strategica dell’intero continente.

Spese militari: il nodo dei 100 miliardi e la posizione del governo italiano

Nel vertice dell’Aja gli stati membri hanno raggiunto un accordo storico.

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Secondo le stime, per raggiungere l’obiettivo del 5% del Pil nella difesa, l’Italia dovrebbe aumentare le risorse per difesa e sicurezza dagli attuali 45 miliardi complessivi fino a circa 145 miliardi annui.

La premier, rispondendo a una domanda de Il Sole 24 Ore, ha definito “gonfiati” i numeri discussi pubblicamente e ha ribadito che per il 2026 non sarà necessario ricorrere a clausole straordinarie di bilancio:

Abbiamo fatto le nostre valutazioni e al momento non riteniamo di attivare la escape clause. In futuro si deciderà in base allo stato dei conti pubblici.





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