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Dimenticare Gaza | ISPI


Dopo l’annuncio del cessate il fuoco imposto da Donald Trump a Israele e Iran, i residenti di Tel Aviv tornano a riversarsi sulle spiagge mentre pochi chilometri più a sud, nella Striscia di Gaza, la guerra non concede tregua. Nel corso del conflitto ‘dei 12 giorni’, come lo ha ribattezzato il presidente americano, il mondo con il fiato sospeso si è concentrato sul rischio di un’escalation che avrebbe potuto trascinare l’intero Medio Oriente nel baratro, trascurando quanto accadeva nell’enclave dove – da più di tre mesi – Israele invia aiuti col contagocce. Mentre gli occhi dell’opinione pubblica internazionale erano rivolti altrove, i morti registrati nelle controverse distribuzioni di cibo gestite dalla Gaza Humanitarian Foundation si sono moltiplicati. Da quando l’organizzazione privata, sostenuta da Israele e dagli Stati Uniti, ha iniziato le distribuzioni nella Striscia il 27 maggio, aggirando le Nazioni Unite e altre Ong, si sono registrati oltre 3mila feriti e circa 500 vittime. Il portavoce dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (Ohchr), Thameen Al-Keetan, ha spiegato che le vittime sono state “bombardate o colpite” dalle Forze di Difesa Israeliane (Idf) nei momenti di confusione che si generano quando migliaia di civili disperati si precipitano a procurarsi i rifornimenti. Dopo oltre 20 mesi di bombardamenti quotidiani i saccheggi dei convogli sono all’ordine del giorno, conseguenza di un blocco quasi totale dei rifornimenti umanitari, tra cui cibo, carburante e medicine. “Le persone disperate e affamate di Gaza continuano a trovarsi di fronte alla disumana scelta tra morire di fame o rischiare di essere uccise mentre cercano di procurarsi del cibo”, ha denunciato Al-Keetan.

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Trump può imporre la pace?

Prima dell’inizio della guerra con l’Iran, la drammatica situazione della Striscia aveva sollevato critiche anche nei paesi europei, alleati di lunga data di Israele. La Francia aveva convocato una conferenza al Palazzo di vetro a New York sui “due Stati” co-presieduta con l’Arabia Saudita, in cui avrebbe con ogni probabilità riconosciuto lo Stato di Palestina, esortando altri paesi a fare altrettanto. Questo clima di pressione crescente nei confronti di Israele è stato bruscamente compromesso dall’attacco che Tel Aviv ha sferrato contro l’Iran lo scorso 13 giugno. Per quasi due settimane, mentre i lanci di missili attraversavano i cieli della regione, Gaza è piombata nel dimenticatoio e la conferenza è stata rinviata sine die. Tuttavia, i colloqui per un cessate il fuoco, condizione per il rilascio degli ostaggi israeliani ancora nelle mani di Hamas, potrebbero riprendere in Qatar nei prossimi giorni. Molto dipenderà dalla volontà di Trump, che ha dimostrato di poter esercitare – se vuole –  influenza sul premier israeliano Benjamin Netanyahu. La posta in gioco potrebbe essere più ampia: porre fine alla guerra e offrire una prospettiva politica ai palestinesi rimane una condizione perché l’Arabia Saudita normalizzi le sue relazioni con Israele. Un modo per coronare il “nuovo Medio Oriente” avviato da Trump con gli ‘Accordi di Abramo’ siglati nel corso del suo primo mandato alla Casa Bianca e che il tycoon ha auspicato nel corso della sua recente visita nei paesi del Golfo.

L’Europa divisa si condanna all’irrilevanza?

Dopo il raggiungimento del cessate il fuoco tra Tel Aviv e Teheran, l’Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza dell’Unione Europea, Kaja Kallas, ha reso noti i risultati di un’indagine avviata della Commissione Europea che certifica, nero su bianco, di avere “indicazioni che Israele stia violando i suoi obblighi in materia di diritti umani ai sensi dell’articolo 2 dell’accordo di associazione UE-Israele”. A dire il vero, è la seconda volta che il rappresentante speciale dell’Ue per i diritti umani, Olof Skoog, trae le stesse conclusioni: la prima risale a novembre scorso, quando l’indagine era partita su richiesta dell’allora Alto rappresentante Josep Borrell. Esattamente come a novembre però, anche ora il rischio è che il rapporto non comporti alcuna conseguenza: “Le misure a disposizione ci sono – ha detto Kallas – ma la domanda è: su cosa siamo in grado di concordare?”. Se per rivedere tutti gli aspetti del partenariato con Israele legati alla politica commerciale, i Paesi membri potrebbero decidere a maggioranza qualificata, per imporre sanzioni, sospendere il dialogo politico o l’intero accordo, serve l’unanimità dei 27 e diversi stretti alleati di Israele (Germania, Ungheria e Italia) hanno già detto di essere contrari. Kallas ha ammesso che l’Europa ha “chiare indicazioni delle violazioni israeliane” e che Bruxelles si riserva di prendere “ulteriori misure a luglio” se “la situazione non migliora”.

Israele sospende anche gli aiuti-trappola?

A giudicare dalle notizie dell’ultim’ora, però, la situazione non sembra andare nel senso auspicato dai funzionari europei:Israele, al contrario, ha annunciato la sospensione totale delle consegne di aiuti a Gaza dopo la minaccia del ministro di ultradestra Bezalel Smotrich di dimettersi dal governo se non fossero state prese misure “per impedire che gli aiuti arrivino ai terroristi”. La notizia è stata diffusa poco dopo che l’ufficio del primo ministro Netanyahu aveva ordinato all’esercito di elaborare un piano entro 48 ore per “impedire a Hamas di rubare gli aiuti”. Lo stop alle consegne – riferisce Ha’aretz – rimarrà in vigore fino alla presentazione del piano dell’esercito. Poco prima che gli annunci di Netanyahu fossero resi pubblici, l’ex primo ministro Naftali Bennett aveva condiviso un video che mostra uomini armati sui camion degli aiuti. In un post pubblicato su X, Bennett ha affermato che si trattava di “agenti di Hamas”.  Al contrario, i media della Striscia riferiscono che gli uomini armati non sono di Hamas, ma giovani inviati dai capi tribù della Striscia per proteggere i convogli dai saccheggi. Secondo quanto riportato, gli aiuti documentati nel video sono arrivati ​​a destinazione, ovvero nei magazzini delle Nazioni Unite nella Striscia di Gaza, e distribuiti ai residenti. Parlando ai giornalisti da Berlino, Philippe Lazzarini, direttore dell’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (Unrwa), ha dichiarato: “Il cosiddetto meccanismo di nuova creazione è un abominio che umilia e degrada persone disperate. È una trappola mortale che costa più vite di quante ne salvi”.

di Matteo Villa, Head, ISPI DataLab

“Trascorsi quasi quattro mesi dal blocco semi-totale dell’ingresso degli aiuti nella Striscia, la situazione è ormai disperata. In Israele il dibattito, paradossale, ruota intorno alla sospensione di aiuti che non sono mai davvero ripresi, e che quando lo hanno fatto hanno spesso portato a esiti tragici. E mentre sondaggi recenti mostrano che il 67% degli israeliani è favorevole a una fine della guerra a Gaza (più del 55% che era favorevole alla fine delle ostilità con l’Iran), sembra che in pochi siano davvero consapevoli della gravissima situazione umanitaria in cui versa la Striscia”.

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