Nonostante un contesto macroeconomico incerto e segnali di rallentamento, l’industria alimentare italiana continua a offrire performance superiori rispetto al quadro generale dell’economia nazionale. Nel 2024, i ricavi del settore food sono cresciuti del 5,9%, a fronte di un PIL fermo allo 0,7%, confermando la resilienza di una filiera centrale per il sistema economico italiano. Il ritorno operativo (ROS) si attesta al 5,7%, mentre il ROIC raggiunge il 6,9%, con una solidità finanziaria ancora elevata, testimoniata da un rapporto mezzi di terzi/mezzi propri pari a 1,19.
Food Industry 2025, crescita solida del settore
Per il 2025, il Food Industry Monitor prevede una crescita dei ricavi del 4,6%, destinata a rallentare leggermente nel 2026 (+4,4%). La tenuta del mercato interno sarà sostenuta da un quadro occupazionale positivo e da un graduale incremento dei salari, considerato un elemento cruciale per stimolare i consumi. A livello di comparto, nel 2025 si stima una forte espansione per farine (+9,9%), caffè (+6,9%), olio (+6,3%) e surgelati (+5,6%).
Export in ripresa, ma pesa l’incognita Usa
La dinamica dell’export torna su livelli positivi: dopo un -1,6% nel 2023, il 2024 ha chiuso con un +5,5% e le proiezioni per il 2025 indicano un ulteriore incremento del 7,3%, leggermente inferiore al +8,2% dell’anno precedente. Il 2026 dovrebbe proseguire con un +7%. Il valore complessivo delle esportazioni dei comparti mappati ha raggiunto i 47 miliardi di euro, con gli Stati Uniti come primo mercato di sbocco extraeuropeo (13% del totale). Il vino gioca un ruolo trainante: oltre 8 miliardi di euro esportati, di cui il 30% verso gli USA.
Food Industry Monitor, le prospettive per il 2025
Tuttavia, permangono forti rischi geopolitici e commerciali. “Le prospettive per il 2025 restano positive – afferma Carmine Garzia, responsabile scientifico del Food Industry Monitor – ma saranno da rivedere al ribasso in caso di attivazione dei dazi doganali o di una crisi petrolifera legata al Medio Oriente. I dazi USA potrebbero ridurre drasticamente le esportazioni, con effetti rilevanti su molti comparti”.
Governance e modelli familiari per la redditività
Il report dedica un focus alla struttura proprietaria e alla governance del settore: il 67% delle aziende analizzate è a controllo familiare, con punte superiori all’80% nei comparti farine, distillati, olio e caffè. Anche nei segmenti a maggiore presenza di grandi player, come birra, vino e surgelati, le imprese familiari mantengono la prevalenza, seppur con incidenze più contenute (poco sopra il 50%).
La governance si distingue fortemente tra imprese familiari e non: nelle prime, il 75,8% è gestito da un Consiglio di Amministrazione, mentre il 24,2% da un Amministratore Unico. Nelle aziende non familiari, il CdA è presente nel 93,6% dei casi. Interessante anche il dato sulla composizione di genere: le aziende familiari presentano CdA con una presenza femminile del 24,7%, ben superiore al 10,1% delle non familiari.
In termini di performance, le aziende familiari mostrano ROI e ROE mediamente superiori, beneficiando di una struttura più snella ma allo stesso tempo radicata. Inoltre, la presenza di consiglieri-azionisti e di presidenti familiari con ruoli attivi migliora significativamente gli indicatori di redditività. “La leadership collegiale e la connessione tra famiglia e impresa – sottolinea il report – si confermano fattori strategici per la crescita sostenibile”.
Il made in Italy deve cambiare passo
Secondo Alessandro Santini, Head of Corporate & Investment Banking di Ceresio Investors, “il made in Italy non può più basarsi esclusivamente sull’esportazione del prodotto finito. È necessario esportare anche know-how, processi e capacità produttiva, sviluppando strutture direttamente nei mercati esteri”.
Il messaggio è chiaro: l’internazionalizzazione non può più essere solo commerciale, ma deve diventare produttiva. Solo così le aziende italiane potranno fronteggiare eventuali barriere doganali e rafforzare la propria competitività globale. La crescita esterna, attraverso acquisizioni o joint venture, resta un’opzione strategica per consolidare quote di mercato e resilienza internazionale.
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