La Corte Suprema degli Stati Uniti ha stabilito, con una decisione presa a maggioranza conservatrice (6-3), che i beneficiari di Medicaid non possono citare in giudizio gli Stati per far valere il proprio diritto alla libera scelta del fornitore sanitario.
La sentenza riguarda un caso nato in South Carolina, dove un ordine esecutivo del governatore repubblicano Henry McMaster, risalente al 2018, aveva escluso la Planned Parenthood (“Genitorialità pianificata”) dai rimborsi Medicaid perché fornisce servizi di interruzione di gravidanza, sebbene i fondi pubblici non potessero essere usati per praticare aborti.
Il caso è stato portato davanti alla Corte da Planned Parenthood South Atlantic e da una paziente, Julie Edwards, che si erano appellati a una clausola federale che garantisce la libertà di scelta per i pazienti Medicaid. I tribunali inferiori avevano dato loro ragione, ma la Corte Suprema ha ribaltato quelle sentenze. Il giudice Neil Gorsuch ha scritto che “il Congresso sa come autorizzare azioni legali private contro gli Stati, ma non lo ha fatto in questo caso”. La giudice progressista Ketanji Brown Jackson, in dissenso con la maggioranza, ha criticato la decisione affermando che “consente al South Carolina di eludere la responsabilità per la violazione dei diritti dei pazienti“. La sentenza rappresenta una vittoria per i gruppi anti-aborto e potrebbe incentivare altri stati a guida repubblicana a “definanziare” Planned Parenthood.
Negli Stati Uniti circa la metà dei pazienti che si rivolgono all’organizzazione lo fa tramite Medicaid. Planned Parenthood ha criticato la sentenza, sottolineando che i suoi servizi includono contraccezione, screening oncologici e altre cure essenziali. In South Carolina, circa 90.000 dollari annui di fondi Medicaid andavano all’organizzazione, una cifra minima rispetto alla spesa totale dello Stato.
Dal 1976, la legge federale proibisce l’utilizzo dei fondi federali Medicaid per l’aborto, con limitate eccezioni per stupro, incesto e complicazioni che possono causare la morte della donna. Tuttavia, il programma rimborsa “qualsiasi fornitore medico qualificato” per servizi diversi dall’interruzione di gravidanza e in uno stato come il South Carolina che una carenza di medici di base, Planned Parenthood South Atlantic offre da tempo esami ai residenti a basso reddito, inclusi test fisici e screening per il cancro.
Corte Suprema degli Stati Uniti, Washington, DC (Afp)
La Corte Suprema Usa ha avuto sempre un ruolo centrale nel dibattito sull’aborto, con decisioni che hanno plasmato la legislazione e polarizzato l’opinione pubblica. Queste le sentenze chiave nel dibattito:
– Roe v. Wade (1973): il diritto costituzionale all’aborto
La sentenza è stata il punto di svolta. La Corte, con una decisione 7-2, stabilì che il diritto alla privacy, implicito nel XIV Emendamento, includeva la libertà di una donna di scegliere l’aborto. La Corte divise la gravidanza in tre trimestri: nel primo, l’aborto era un diritto quasi assoluto; nel secondo, lo Stato poteva regolamentarlo per proteggere la salute materna; nel terzo, lo Stato poteva limitarlo per tutelare la vita del feto, salvo rischi per la madre. Questa decisione rese l’aborto legale a livello nazionale, invalidando molte leggi statali restrittive.
Roe si basava su precedenti come Griswold v. Connecticut (1965), che riconosceva il diritto alla privacy in materia di contraccezione. Tuttavia, la sentenza fu controversa: i sostenitori la videro come un trionfo dei diritti delle donne, mentre i critici, spesso su base religiosa, la considerarono una violazione del diritto alla vita del feto.
– Planned Parenthood v. Casey (1992)
Nel 1992, la sentenza Planned Parenthood v. Casey riaffermò il principio di Roe, ma con modifiche. La Corte, con una decisione 5-4, sostituì il modello dei trimestri con il criterio della “viabilità fetale” (circa 24 settimane), consentendo agli Stati maggiori margini per regolamentare l’aborto, purché non imponessero un “onere eccessivo” al diritto della donna. Questo aprì la porta a restrizioni come periodi di attesa e requisiti di consulenza, alimentando contenziosi su quanto fosse “eccessivo”.
– Dobbs v. Jackson (2022): la fine di Roe
La svolta storica arriva con la sentenza Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization. Nel giugno 2022, la Corte, con una maggioranza di 6-3, ribaltò Roe e Casey, stabilendo che la Costituzione non garantisce un diritto all’aborto. La decisione, scritta dal giudice Samuel Alito, rimandò la regolamentazione dell’aborto agli Stati, sostenendo che Roe fosse “errata” e priva di fondamento costituzionale. Ciò ha portato a un mosaico legislativo: alcuni Stati hanno protetto l’accesso all’aborto, altri lo hanno vietato o fortemente limitato, spesso senza eccezioni per stupro o incesto.
Impatto e polarizzazione
Questa sentenza ha intensificato le divisioni politiche e sociali. Negli Stati conservatori, leggi restrittive hanno ridotto l’accesso a cliniche per l’aborto, spingendo molte donne a viaggiare o ricorrere a metodi non sicuri. Negli Stati progressisti, invece, l’aborto è stato codificato come diritto. La sentenza ha anche influenzato le elezioni, con i democratici che hanno mobilitato gli elettori su questo tema.
La Corte Suprema è oggi al centro di critiche: i liberali la accusano di partigianeria conservatrice, mentre i conservatori la vedono come un baluardo contro l’attivismo giudiziario. Nuovi casi sull’aborto, come quelli relativi alle pillole abortive o ai divieti interstatali, potrebbero presto arrivare alla Corte, mantenendola al cuore del dibattito.
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