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Industria manifatturiera: crescono le sfide su occupazione, export e sostenibilità.


Le medie imprese industriali italiane si confermano protagoniste della manifattura europea, superando Germania, Francia e Spagna in termini di produttività. È quanto emerge dal XXIV Rapporto sulle medie imprese industriali italiane, realizzato dall’Area Studi Mediobanca, dal Centro Studi Tagliacarne e Unioncamere, presentato oggi a Genova.

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Con un incremento della produttività del lavoro del +31,3% nel periodo 2014-2023, le Mid-Cap italiane hanno fatto meglio delle colleghe tedesche (+25,8%), francesi (+20,2%) e spagnole (+29,9%). Ma se l’Italia guida la classifica europea sulla produttività, cede il primato alla Spagna in termini di crescita del fatturato (+80,8%) e dell’occupazione (+45,8%). Le imprese italiane, pur segnando +54,9% sul fatturato e +24,2% sull’occupazione, si piazzano al secondo posto.

Nel 2025, il fatturato è atteso in crescita del 2,2%, trainato da un aumento dell’export del 2,8%, dopo due anni di lieve contrazione. Ma l’ottimismo è frenato da diverse incognite: la concorrenza low-cost preoccupa il 70% delle imprese, i dazi minacciati dagli Stati Uniti avranno un impatto significativo per una su tre e l’instabilità geopolitica rimane un fattore di rischio segnalato dal 51,8% del campione.

“Le medie imprese continuano a rappresentare la spina dorsale dell’industria italiana”, ha sottolineato Andrea Prete, presidente di Unioncamere. “Ma restano esposte a shock esterni, tra cui il caro energia e le incertezze del contesto internazionale”.

Le 3.650 medie imprese censite rappresentano un asse portante dell’economia nazionale: generano il 17% del fatturato dell’industria manifatturiera italiana, il 16% del valore aggiunto e il 14% dell’export e dell’occupazione. In Liguria, il 60% è concentrato nell’area di Genova, dove generano ricavi per 937 milioni di euro (61% del totale regionale).

“Dopo il Covid, le imprese hanno avviato un processo di rafforzamento strutturale”, ha commentato Gabriele Barbaresco, direttore dell’Area Studi Mediobanca. “Ma la crescita va guidata con prudenza e visione manageriale”.

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Quasi il 70% delle medie imprese italiane intende espandersi su nuovi mercati internazionali. In parallelo, una su tre valuta un ampliamento della propria struttura organizzativa. Il 55% ha pianificato investimenti in tecnologie e il 52,8% nello sviluppo di nuovi prodotti e servizi. Cresce anche l’attenzione alla sostenibilità: il 29,1% prevede un’accelerazione sugli investimenti green.

“Le medie imprese italiane esportano circa il 45% della loro produzione”, ha dichiarato Giuseppe Molinari, presidente del Centro Studi Tagliacarne. “Il loro successo dimostra che il family business, se ben gestito, è sinonimo di competitività”.

Malgrado l’aumento dell’occupazione (quasi 540mila addetti), persistono criticità sul capitale umano. Le donne rappresentano solo il 25% della forza lavoro, e gli under 30 il 18,3%. Ma è il mismatch tra domanda e offerta di competenze tecniche a preoccupare: ne soffre l’80% delle imprese. Di queste, il 40,4% investe in formazione e il 37% spinge sull’automazione.

Un altro ostacolo rilevante è il carico fiscale: le medie imprese pagano in media 5,8 punti percentuali in più di tax-rate rispetto alle grandi. Se avessero goduto dello stesso trattamento, avrebbero risparmiato 6,2 miliardi in dieci anni, oltre 1 miliardo nel solo 2023.

Intanto, l’effetto shock energetico si fa sentire: il 60% segnala un aumento dei costi e per una su cinque l’impatto sui margini è stato forte. Per reagire, il 44,1% ha pianificato investimenti in rinnovabili.

I dazi imposti o minacciati dagli Stati Uniti pesano su oltre la metà delle imprese esportatrici. Il 33,2% prevede un aumento dei prezzi di vendita sul mercato americano, il 25,3% punta al rafforzamento delle relazioni commerciali in UE e il 18,1% cerca mercati alternativi. Gli USA valgono il 10% dell’export delle Mid-Cap italiane.

L’80,4% delle medie imprese ha avviato iniziative ESG, in particolare su energia e rifiuti. Il 67,3% punta alla riduzione dell’uso di fonti fossili e il 62% a una migliore gestione del ciclo dei rifiuti. Tuttavia, il 62,3% non è ancora in grado di misurare le proprie emissioni, e solo il 40,9% ritiene raggiungibile l’obiettivo “zero emissioni” entro il 2050.

La politica energetica europea è vista con favore dal 48,6% delle imprese, ma resta la preoccupazione per la burocrazia e i costi di adeguamento. Il 33% teme un impatto elevato legato alla transizione green.

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