Ci sono gli impatti diretti, evidenti a tutti. Quelli, per esempio, sull’agricoltura: meno acqua comporta raccolti meno abbondanti. Ci sono gli impatti diretti meno evidenti. Quelli, per esempio, riguardanti la produzione di energia del settore idroelettrico. E altri, sempre diretti, che difficilmente verrebbero immediatamente in mente: avere a disposizione meno acqua crea infatti problemi ai settori più disparati, dall’estrazione mineraria all’edilizia, dalla produzione industriale ai servizi di alloggio e ristorazione. Ma poi oltre a tutto ciò, ci sono gli impatti indiretti, perché la scarsità d’acqua può anche minare la stabilità finanziaria: può aumentare la probabilità che le imprese non siano in grado di pagare i loro prestiti. E questo, a sua volta, amplifica le esposizioni ai prestiti da parte delle banche.
A lanciare un alert sul rischio economico che incombe sui Paesi dell’Ue in caso di siccità è la Banca centrale europea. In una dettagliata e approfondita analisi viene evidenziato che il degrado degli ecosistemi naturali rallenta la crescita e porta all’instabilità finanziaria e che la scarsità di acqua, la protezione dalle inondazioni e la qualità della risorsa idrica sono i fattori più critici. Viene anche quantificato nel dettaglio, il possibile danno economico derivante da uno stress idrico: la scarsità di acqua di superficie, da sola, mette a rischio quasi il 15% della produzione economica dell’area euro.
Punto di partenza dell’analisi realizzata dai ricercatori della Bce è che l’economia dell’eurozona dipende fortemente dagli ecosistemi naturali e dai servizi che essi forniscono. Tra questi, l’acqua potabile, la protezione dalle inondazioni, il sequestro del carbonio e la salute del suolo. Tuttavia, viene sottolineato, la natura è sempre più minacciata. Le conseguenze delle attività umane, come il consumo di suolo, l’inquinamento, i cambiamenti climatici, l’introduzione di specie invasive e la pesca eccessiva, minano gli ecosistemi. Ciò avviene attraverso il degrado cronico e a lungo termine e gli shock acuti amplificati dagli estremi climatici. Una ricerca realizzata sempre dalla Bce mostra che il 72% delle imprese dell’eurozona dipende in modo critico dai servizi ecosistemici. Le stesse imprese rappresentano i tre quarti di tutti i prestiti bancari alle imprese della regione, il che ne fa un problema di stabilità finanziaria.
Finora, questa dipendenza dai servizi ecosistemici si basa su dipendenze individuali. La Bce collabora con il Resilient Planet Finance Lab dell’Università di Oxford per estendere la comprensione al di là delle analisi di dipendenza: l’obiettivo è quello di mappare con maggiore precisione i rischi economici e finanziari che il degrado degli ecosistemi comporta a livello regionale e industriale. Dalla collaborazione è stato sviluppato il quadro di riferimento Nature Value at Risk (NVaR), che permette di fare più luce sulle complesse interdipendenze della perdita dei servizi ecosistemici naturali e sull’impatto che hanno sull’economia europea.
I dati raccolti evidenziano appunto come la scarsità di acqua di superficie rappresenti il rischio più significativo per l’economia dell’area dell’euro. In caso di siccità estrema, ma plausibile, con un periodo di ritorno di 25 anni, quasi il 15% della produzione economica sarebbe a rischio. Ciò è causato da una carenza di risorse idriche provenienti da fiumi, laghi, bacini e strati superiori del suolo, amplificata dal persistere di condizioni di siccità, da prelievi eccessivi e da consumi non sostenibili.
Qualsiasi stress sulle risorse idriche può avere impatti a cascata su molteplici attività economiche. Ad esempio, i terreni secchi riducono i rendimenti agricoli; la scarsità d’acqua influisce sull’industria manifatturiera interrompendo le operazioni e aumentando i costi; i fiumi bassi riducono gli afflussi di energia idroelettrica, limitano la produzione di elettricità e ostacolano la navigazione interna.
Sebbene l’Europa meridionale subisca le pressioni più forti dovute alla carenza idrica, l’analisi della Bce mostra che anche i Paesi dell’Europa centrale e settentrionale sono sempre più a rischio. Tra tutti i settori, quello più esposto è l’agricoltura, che subisce le maggiori perdite: fino al 30% della produzione agricola settoriale è a rischio nei Paesi dell’Europa meridionale, mentre il rischio diminuisce più a nord, scendendo a circa il 12% in Finlandia. Anche i settori manifatturiero, minerario, delle utenze idriche, delle costruzioni e dei servizi di alloggio e ristorazione subiscono impatti sostanziali: oltre il 20% della loro produzione è a rischio nell’Europa meridionale e più del 10% altrove.
A lungo termine, gli effetti di una persistente scarsità d’acqua possono diffondersi sui mercati delle materie prime, facendo aumentare i prezzi dell’acqua e dei prodotti alimentari e contribuendo a pressioni inflazionistiche più ampie.
Ma come anticipato, oltre all’impatto economico diretto, la scarsità d’acqua può anche minare la stabilità finanziaria: può aumentare la probabilità che le imprese non siano in grado di pagare i loro prestiti. Questo, a sua volta, amplifica le esposizioni creditizie delle banche. Per questo motivo, i ricercatori della Bce hanno analizzato anche i prestiti di 2.500 banche dell’area dell’euro concessi a società non finanziarie a livello settoriale. E hanno scoperto che oltre il 34% dell’importo nominale totale in essere, pari a oltre 1.300 miliardi di euro, è attualmente erogato a settori esposti a un elevato rischio di carenza idrica.
Bisogna poi evidenziare che la scarsità di acqua di superficie non è l’unico rischio. Anche l’approvvigionamento di acque sotterranee è sottoposto a una pressione diffusa a causa dell’estrazione e dell’inquinamento. Le pianure alluvionali naturali e le aree non sottoposte a consumo di suolo si stanno riducendo, quindi c’è meno superficie disponibile per assorbire l’acqua e offrire protezione dalle inondazioni, mentre gli ecosistemi acquatici europei sono ancora gravemente colpiti da sostanze chimiche. Il calo della qualità dell’acqua, misurata o percepita, ha già portato a una forte riduzione del turismo nelle aree interessate, e ciò si traduce in perdite economiche che superano i 100 miliardi di euro all’anno. Oltre a ciò, il degrado di altri servizi ecosistemici, come la regolazione del clima, aggrava ulteriormente questi rischi.
Dalla Bce sottolineano dunque che per comprendere appieno questi rischi complessi e le relative incertezze è necessario intensificare la ricerca e sviluppare ulteriormente gli strumenti di analisi del rischio. E che è di vitale importanza che le banche centrali lavorino a stretto contatto con la comunità scientifica, perché questo può migliorare le nostre conoscenze e le valutazioni del rischio. Dopo tutto, è la conclusione, i rischi legati alla natura non sono riguardano preoccupazioni ambientali, ma rischi economici sistemici che richiedono una risposta integrata e informata.
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