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Perché l’economia mondiale frenerà – Startmag


Economia globale in frenata nel secondo semestre per i dazi di Trump. L’analisi di Blerina Uruci, Tomasz Wieladek e Chris Kushlis di T. Rowe Price.

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I dazi dell’amministrazione Trump, combinati con eventuali misure di ritorsione da parte dei partner commerciali statunitensi, produrranno, se attuati, uno shock dell’offerta per gli Stati Uniti e uno shock della domanda per il resto del mondo. La gravità di queste scosse dipenderà dall’esito dei negoziati commerciali e delle sfide legali in corso. Tuttavia, sembra certo che Cina e Stati Uniti, le due maggiori economie mondiali, registreranno una crescita economica inferiore a quella prevista all’inizio dell’anno. Le conseguenze di ciò si faranno sentire in tutto il mondo, a prescindere da qualsiasi accordo commerciale individuale.

Gli Stati Uniti devono far fronte a rischi negativi per la crescita, anche se sono stati sospesi i dazi reciproci più elevati con la Cina e con altri partner commerciali. Le imprese devono far fronte a un aumento dei costi dei fattori produttivi, che comprimerebbero i margini di profitto e costringerebbe alcune aziende a ridurre la spesa per investimenti. Le tariffe sui beni di consumo ridurranno probabilmente il potere d’acquisto reale frenando la spesa dei consumatori, che è pari al 70% del Pil degli Stati Uniti. Qualsiasi ulteriore pressione al ribasso sul dollaro statunitense potrebbe aggravare i rischi al rialzo per l’inflazione.

Il mercato del lavoro statunitense è rimasto finora resistente, ma i dati recenti confermano che si è passati da una fase eccezionalmente rigida nel 2022-2023 a una fase più equilibrata ora. Ciò implica un cuscino più sottile per il mercato del lavoro rispetto a qualsiasi momento del periodo post-pandemia. Nel caso di uno shock ampio e persistente sull’attività economica, una ripresa del ritmo dei licenziamenti farebbe salire il tasso di disoccupazione.

La Fed si trova in una posizione difficile: deve bilanciare il rischio di un’inflazione alimentata dalle tariffe doganali con il sostegno a un’economia che si sta indebolendo. Questa tensione si protrarrà probabilmente fino al 2025. Trump ha esercitato forti pressioni sulla Fed affinché abbassasse i tassi, ma per ora l’indipendenza della banca centrale è fuori discussione. Per il resto dell’anno, ci aspettiamo che l’attenzione si concentri sulla deregulation e sulle misure fiscali, come i tagli alle tasse, che potrebbero dare una spinta alla crescita degli Stati Uniti. Seguiremo con attenzione questi sviluppi, che potrebbero comportare rischi al rialzo sia per la crescita sia per l’inflazione.

La guerra commerciale più mirata della Cina

In quanto principale bersaglio dei dazi statunitensi, la Cina si trova ad affrontare venti contrari all’economia nella seconda metà dell’anno, anche se di natura diversa e probabilmente meno gravi di quelli che devono affrontare gli Stati Uniti. Sebbene i negoziati tra i due Paesi abbiano portato a una riduzione dei dazi, quelli attualmente in vigore avranno comunque un forte impatto sul commercio tra Stati Uniti e Cina.

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Un vantaggio è che, mentre gli Stati Uniti sono impegnati a combattere una guerra commerciale con quasi tutti i paesi del mondo, la Cina ne sta combattendo solo una contro gli Stati Uniti. Se questo avverrà su larga scala, mitigherà le pressioni sulla crescita e sulla deflazione che la Cina deve affrontare, anche se potrebbe non essere sufficiente a prevenire un rallentamento della crescita. Prevediamo che Pechino utilizzerà una combinazione di stimoli monetari e fiscali per compensare il freno alla crescita derivante dalle tariffe, ma tali misure saranno adottate in modo sequenziale e in risposta ai dati piuttosto che essere attuate tutte insieme.

L’impatto nell’Eurozona e nei Paesi emergenti

Nonostante siano stati ridotti rispetto ai livelli precedentemente minacciati, i dazi statunitensi sulla Cina avranno comunque un impatto sull’Eurozona in diversi modi. In primo luogo, l’indebolimento della crescita ridurrà la domanda cinese di esportazioni europee; in secondo luogo, i produttori cinesi che cercano di riorientare le loro esportazioni dagli Stati Uniti faranno una concorrenza più intensa agli esportatori europei in altri mercati. In terzo luogo, l’aumento delle importazioni cinesi contribuirà alla disinflazione dei beni all’interno dell’area euro stessa.

Insieme all’impatto diretto delle tensioni commerciali dell’Eurozona con gli Stati Uniti, questi effetti secondari della Cina contribuiranno, probabilmente, a rallentare la crescita in Europa nella seconda metà dell’anno. L’inflazione dovrebbe continuare a diminuire nel breve termine, mentre la riforma del freno all’indebitamento in Germania, che darà una spinta alla crescita dell’Eurozona, potrebbe richiedere del tempo per concretizzarsi. Si prevede che la crescita dei salari negoziati nell’area euro continuerà a diminuire, dando alla Bce ulteriore margine di manovra per tagliare i tassi. E ci aspettiamo che lo faccia più volte prima che i rischi di inflazione aumentino nuovamente nel 2026.

È probabile che la pressione deflazionistica in Cina si riversi anche su altri mercati emergenti, in quanto le merci cinesi vengono reindirizzati verso altri Paesi della regione, abbassando il livello dei prezzi. L’indebolimento della crescita globale e il calo dei prezzi delle materie prime potrebbero portare ulteriori pressioni disinflazionistiche nei Paesi emergenti, con i produttori di materie prime che resteranno sotto pressione. Data l’incertezza, la maggior parte delle banche centrali emergenti sarà cauta e attenderà i dati prima di muoversi, anche se l’indebolimento del dollaro statunitense offrirà ad alcune di esse un maggiore margine di manovra per tagliare i tassi senza rischiare un sell-off della valuta o un picco dell’inflazione.



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