Le medie imprese italiane, spesso considerate la spina dorsale del nostro sistema industriale, stanno accelerando la propria corsa verso la sostenibilità. È quanto emerge dall’ultima indagine dell’Area Studi Mediobanca, riportata da ESGNews, che ha analizzato circa 3.600 aziende con fatturato tra i 20 e i 355 milioni di euro. Il dato più significativo? Oltre l’80% di queste imprese dichiara di avere in corso almeno un’iniziativa ESG, acronimo che riunisce i temi Environmental, Social e Governance.
Si tratta di un segnale incoraggiante: dopo anni in cui la sostenibilità era percepita come un vincolo burocratico o un costo, oggi le imprese italiane riconoscono che i fattori ESG possono diventare leve di competitività e strumenti per attrarre investimenti.
Sostenibili sì, ma in silenzio
L’impegno delle medie imprese italiane verso la sostenibilità sta dunque crescendo in modo consistente. Tuttavia, il dato che più ci colpisce nell’ultima ricerca dell’Area Studi Mediobanca non riguarda tanto l’adozione di pratiche sostenibili, quanto la loro comunicazione (o la mancanza di essa).
Secondo lo studio, il 41,2% delle imprese preferisce, al momento, non rendere pubblici i risultati raggiunti. Una percentuale significativa che mette in luce un fenomeno sempre più diffuso: il cosiddetto greenhushing.
Che cos’è il greenhushing?
Il termine “greenhushing” indica la scelta volontaria di non divulgare, o farlo in modo estremamente prudente, i progressi ottenuti in ambito ESG.
Le motivazioni possono essere molteplici:
- Timore di esporsi a critiche di greenwashing (ovvero di essere accusati di esagerare l’impatto positivo).
- Insicurezza sulla qualità e la completezza dei dati raccolti.
- Paura di generare aspettative troppo alte presso clienti, investitori o stakeholder.
In altre parole, la cultura della sostenibilità si diffonde nei processi, ma fatica a esprimersi in una narrazione chiara e trasparente.
Il rischio di una transizione “invisibile”
Se è vero che la prudenza è comprensibile in un contesto normativo in rapida evoluzione (basti pensare alla nuova Direttiva europea sulla rendicontazione di sostenibilità, la CSRD e il recente dietrofront su direttiva Green Claims), il silenzio può avere effetti controproducenti:
- Riduce la capacità delle imprese di valorizzare gli investimenti fatti e differenziarsi dai concorrenti.
- Penalizza la reputazione verso clienti e partner internazionali sempre più sensibili alla trasparenza ESG.
- Ostacola la creazione di una cultura diffusa della sostenibilità, fatta anche di esempi concreti e di condivisione di buone pratiche.
Non a caso, la stessa Mediobanca sottolinea che una strategia ESG credibile non si limita a fare, ma richiede di rendere conto in modo chiaro, misurabile e accessibile.
I principali strumenti di comunicazione delle performance ESG, per quelle aziende che lo fanno, c’è in primis il report di sostenibilità (36,7%) , mentre il 34,1% ha una sezione dedicata nel bilancio aziendale o nel sito (25,2%).
La fotografia del tessuto produttivo
L’indagine Mediobanca ha coinvolto oltre 3.600 imprese italiane con fatturato compreso tra 20 e 355 milioni di euro. Tra i principali dati emersi:
- L’81% delle imprese ha avviato almeno un’iniziativa ESG.
- Quasi il 60% è impegnato in progetti di efficientamento energetico.
- Solo circa il 30% ha formalizzato una strategia ESG integrata nel business.
- E, appunto, oltre il 40% sceglie di non comunicare i risultati raggiunti.
Il quadro che ne emerge è quello di un impegno diffuso, ma frammentato e ancora poco sistematico.
Anche perchè, la pressione normativa e di mercato sta aumentando: la Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD) si è allungata nei tempi di alcune scadenze ma imporrà standard più rigorosi di disclosure non finanziaria anche alle imprese di dimensioni medio-piccole. Parallelamente, gli investitori istituzionali e i grandi player di filiera stanno alzando l’asticella della trasparenza.
Secondo il Global Sustainable Investment Alliance, nel 2024 gli asset ESG hanno superato i 35.000 miliardi di dollari a livello mondiale, con una crescente attenzione alla qualità e verificabilità delle informazioni. In questo scenario, non comunicare può diventare un limite competitivo.
Oltre il silenzio: il valore della trasparenza
Il greenhushing è un fenomeno comprensibile in una fase di transizione, ma rischia di rendere invisibile il valore creato dalle imprese più virtuose. Lo stesso studio, indica come tra le principali motivazioni che spingono ad adottare strategie ESG, subito dopo l’adeguamento a normative, ci sia il ‘miglioramento della reputazione’. Vantaggio che può scattare solo se i risultati vengono comunicati in modo corretto.
Per passare da un approccio frammentato a una strategia autentica e misurabile serviranno investimenti in competenze interne e sistemi di raccolta dati, formazione manageriale sulla rendicontazione ESG e soprattutto maggiore coraggio nel raccontare i risultati, anche quando sono parziali o perfettibili. Solo così si potrà avviare un percorso di miglioramento continuo che diventi un elemento distintivo e non solo un obbligo normativo.
La sostenibilità, oggi, non è più soltanto un fatto di compliance: è un’opportunità di posizionamento, reputazione e innovazione. E solo chi saprà comunicarla con chiarezza e trasparenza potrà coglierla appieno.
Scarica ‘Guida breve per brand responsabili’.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link