I fondi europei per la digitalizzazione rappresentano uno strumento cruciale nella strategia dell’Unione per superare il digital divide e garantire una transizione tecnologica inclusiva.
Con investimenti che superano i 300 miliardi di euro tra Recovery Fund, programmi settoriali e fondi strutturali, l’Europa affronta una sfida complessa che va oltre la semplice connettività.
Oltre la connessione: il digital divide come questione di cittadinanza
Il digital divide non è più, infatti, solo una questione tecnica o infrastrutturale. Parlare di divario digitale significa oggi affrontare un insieme complesso di fattori: dalla disponibilità delle reti ad alta velocità fino alla capacità di utilizzo delle tecnologie da parte di cittadini, imprese e pubbliche amministrazioni. In gioco c’è molto più della semplice connessione: si tratta di accesso ai diritti, alla partecipazione economica e sociale, alla cittadinanza piena.
Per questo la Commissione Europea ha inserito la digitalizzazione tra i pilastri della strategia “Digital Decade 2030”, fissando obiettivi ambiziosi in materia di connettività, competenze digitali, trasformazione delle imprese e digitalizzazione dei servizi pubblici. Bisogna capire, tuttavia, se i fondi europei stanziati per colmare questi divari stiano davvero funzionando.
Un’Europa ancora a due velocità
Secondo il “Digital Decade Report 2024” della Commissione europea, l’69% dei cittadini europei dispone delle competenze digitali di base. Mancano 21 punti percentuali rispetto all’obiettivo dell’80% entro il 2030 fissato da Bruxelles. D’altra parte, nel 2023, era poco più del 55% il numero di cittadini Ue “preparati” ad affrontare la transizione digitale. La risoluzione dei gap digitali delle persone, quindi è in corso a ritmo serrato. Al contrario, la disponibilità di una rete in fibra ottica (FTTP) risulta estremamente disomogenea tra Stati membri e, soprattutto, tra aree urbane e rurali. Come ricordato da questa stessa testata pochi mesi fa, in Italia, “la copertura FTTH/B ha raggiunto a settembre 2024 il 64% delle famiglie, contro la media Europa 39 pari al 75%”. Per quanto riguarda il 5G, la copertura raggiunge complessivamente circa il 50% del territorio UE, con una forte concentrazione nelle aree urbane (81%), mentre le aree rurali restano ampiamente indietro.
Altrettanto le imprese faticano a cogliere le opportunità dell’innovazione. Secondo il DESI 2024, le aziende dell’Europa occidentale sono indietro del 45-70% rispetto alle loro controparti statunitensi in termini di spesa esterna per l’AI e di spesa IT interna, che rappresenta una base cruciale per l’adozione dell’AI. Siamo di fronte quindi a una carta geografica estremamente frammentata, con disuguaglianze territoriali che mettono in discussione la competitività dell’intera Ue rispetto al mercato globale.
Le risorse messe in campo: Recovery, fondi strutturali e Digital Europe
L’UE ha risposto con decisione alla necessità di accelerare la transizione digitale, in particolare dopo il Covid. Il principale strumento è stato il Recovery and Resilience Facility (RRF), che stanzia oltre 130 miliardi di euro a livello europeo per investimenti e riforme nel campo della digitalizzazione. A questi si aggiungono i programmi settoriali come il Digital Europe Programme (DEP), focalizzato su aree strategiche come la cybersecurity, l’intelligenza artificiale, i servizi cloud e la formazione specialistica, e i fondi strutturali (ESIF), che nella programmazione 2021-2027 destinano oltre 177 miliardi di euro a obiettivi digitali, con un contributo ulteriore dal Connecting Europe Facility (CEF Digital) per 27 miliardi di euro.
Tuttavia, la distribuzione e l’utilizzo delle risorse variano sensibilmente. Paesi come Italia, Spagna e Grecia ricevono e destinano una quota significativa dei fondi alle infrastrutture e al rafforzamento delle capacità amministrative locali. Al contrario, Stati come Germania, Francia o Irlanda puntano maggiormente su data economy, innovazione industriale e servizi digitali avanzati. In questo senso, i fondi europei riflettono anche le diverse priorità e maturità digitali dei singoli Stati membri.
Risultati disomogenei: tra buone pratiche e criticità persistenti
Alcuni risultati positivi sono documentati. In Francia, per esempio, la regione Grand Est è riuscita a connettere l’89% dei comuni rurali alla fibra ottica, grazie a un finanziamento europeo di 33 milioni di euro provenienti dal Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (ERDF). In Bulgaria, secondo una valutazione della Commissione riportata nel JRC Technical Report 2024, i fondi strutturali hanno contribuito a un incremento del PIL del 10,5%, con una crescita del 38% degli investimenti privati e la creazione di 1.300 nuovi posti di lavoro nel settore ICT.
Tuttavia, persistono numerose difficoltà. La Corte dei Conti europea, in una relazione speciale pubblicata nel novembre 2023, evidenziava ritardi significativi nella digitalizzazione delle scuole e nella formazione degli insegnanti. L’obiettivo dichiarato di garantire connessioni gigabit a tutte le scuole europee entro il 2025 veniva giudicato “irrealistico” senza un forte coordinamento a livello nazionale e locale. Più in generale, si osservava che gli impatti positivi dei fondi europei erano più visibili nelle aree con maggiore povertà infrastrutturale e minore competitività, ma tendevano a ridursi laddove mancano capacità amministrative e strumenti di governance efficaci.
Digitalizzazione e capacità: le due leve della coesione
Non è sufficiente portare la fibra o installare antenne 5G: la coesione digitale richiede capacità di progettare, gestire, monitorare gli investimenti. In molti Stati membri, l’assorbimento dei fondi europei rimane inferiore alle aspettative, anche a causa della carenza di competenze tecniche nella Pubblica amministrazione e nei governi locali. I Broadband Competence Offices (BCO), istituiti dalla Commissione per supportare i territori nella pianificazione e gestione delle infrastrutture digitali, sono ancora sottoutilizzati in diversi Paesi, Italia compresa.
Inoltre, la vera leva per la coesione digitale risiede nella formazione: senza competenze digitali diffuse, le infrastrutture rischiano di restare inutilizzate o, peggio, di creare nuove forme di esclusione. Investire in alfabetizzazione digitale, soprattutto tra le fasce più vulnerabili della popolazione e tra le microimprese, è la condizione per tradurre gli investimenti tecnologici in sviluppo inclusivo.
Digital divide e fondi europei: bilancio e prospettive future
In conclusione, i fondi europei rappresentano un elemento indispensabile per ridurre il digital divide e promuovere la coesione territoriale. Hanno favorito la diffusione delle infrastrutture, incentivato l’adozione di nuove tecnologie, rafforzato le politiche pubbliche nazionali. Ma da soli non bastano. La digitalizzazione può diventare una leva di cittadinanza solo se accompagnata da capacità amministrativa, governance multilivello e investimenti in competenze. Il rischio è che l’Europa digitale proceda su binari paralleli: da una parte i territori capaci di innovare e crescere, dall’altra quelli che, pur con risorse, faticano a tradurre le opportunità in realtà.
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