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Trump e la “mine, baby, mine for clean American coal”


L’8 aprile 2025 Trump ha firmato tre ordini esecutivi per rilanciare l’industria del carbone, puntando su deregulation, consumo interno (anche per alimentare i data center) ed export, ma resta incerto se queste misure riusciranno davvero a invertire il declino del settore.

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L’azione del presidente Trump a sostegno del carbone: gli ordini esecutivi dell’8 aprile

Trump non ha mai fatto mistero della sua convinzione che il cambiamento climatico non esista e che il Paese debba massimizzare lo sfruttamento delle fonti fossili nazionali per il raggiungimento di quella tanto agognata, quanto sfuggente, indipendenza energetica che gli Usa rincorrono da decenni. Non stupisce quindi che il 20 gennaio, giorno del suo insediamento, abbia firmato un ordine esecutivo, l’Unleashing American Energy, che dichiara l’esistenza di un’emergenza energetica nazionale: un provvedimento sinora mai adottato, nemmeno in occasione delle crisi petrolifere degli anni Settanta. Obiettivo principale è quello di accelerare l’esplorazione e la produzione di fonti fossili sulle terre federali, imponendo alle agenzie governative di rivedere le regole e gli iter autorizzativi al fine di alimentare, da un lato, la reindustrializzazione del Paese – grazie alla fornitura di energia a basso costo a industria e consumatori – e, dall’altro, di consolidare la posizione di preminenza degli Stati Uniti sui mercati internazionali.

Il carbone, nonostante la sua ovvia impronta carbonica, non è esente da questo tentativo di revival: si punta a ridurre al minimo il numero delle chiusure delle centrali, estendendone l’operatività, ad incoraggiare il riavvio delle unità recentemente chiuse e a ridare slancio all’industria estrattiva, con conseguente aumento della forza lavoro impiegata. Il tutto al fine di contribuire a soddisfare la crescita prevista della domanda di elettricità – che muove soprattutto dai data center, il cui consumo, secondo l’Eia Doe (Energy Information Administration

Department of Energy) 1 , dovrebbe raddoppiare o addirittura triplicare entro il 2028 – e di garantire l’adeguatezza del sistema elettrico e la flessibilità necessaria, che ancora le fonti rinnovabili non sono in grado di fornire.

Sulla base di tali premesse si spiega l’ordine esecutivo2 dell’8 aprile Reinvigorating America’s Beautiful Clean Coal Industry and Amending Executive Order 14241, già dal titolo esplicativo della chiara scelta politica di Trump, che stravolge alcuni dei cardini sui cui si era basata la strategia energetica dei suoi predecessori. Dopo anni, il carbone diventa clean – non necessita quindi di una regolamentazione ambientale sever – e beautiful, e come tale merita il supporto governativo. Inoltre, l’intero comparto va rinvigorito perché essenziale per la prosperità economica e la sicurezza energetica degli Usa.

Nella fattispecie l’ordine esecutivo prevede3:

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  1. Riclassificazione del carbone come “minerale”, classificazione che gli permetterà di beneficiare di tutte le misure adottate finora per semplificare le attività estrattive, garantendogli l’idoneità ai programmi di sostegno federali, inclusi quelli previsti dal Defense Production Act e dalle autorizzazioni di prestito del Doe. Inoltre, l’ordine esecutivo dispone una revisione delle politiche che potrebbero scoraggiare la produzione di carbone, incaricando le agenzie di rivedere o revocare tali politiche entro 60 giorni dalla sua pubblicazione.
  2. Accelerazione dell’accesso alle risorse del carbone sui terreni federali. In particolare, le agenzie federali vengono incaricate di identificare le aree ricche di carbone sui terreni federali, affrontare le criticità connesse all’attività mineraria su questi terreni e proporre azioni per massimizzare l’estrazione di carbone. L’ordine esecutivo dà inoltre, priorità al rilascio delle concessioni e incoraggia il ricorso alle autorità di emergenza per accelerare le autorizzazioni e le revisioni ambientali. Al Segretario dell’Energia viene richiesta un’analisi sull’impatto che l’uso delle risorse di carbone potrebbe avere in termini di riduzione dei costi dell’elettricità e di miglioramento dell’affidabilità della rete.
  3. Allineamento del carbone alle esigenze industriali emergenti. Il carbone viene considerato una risorsa critica per le industrie emergenti, indirizzando le agenzie a valutarne il potenziale per alimentare i data center basati sull’intelligenza artificiale e supportare la produzione di acciaio. Inoltre, l’ordine esecutivo sollecita uno sviluppo accelerato delle tecnologie del carbone per una sua applicazione in ambiti non legati alla combustione, come quelli dei materiali da costruzione, dei componenti per batterie e della grafite sintetica. Il provvedimento sottolinea poi il ruolo del carbone metallurgico nella produzione di acciaio. Una disposizione in linea con l’obiettivo dell’amministrazione di garantire il predominio dell’acciaio negli Stati Uniti, prodotto ricorrendo alle risorse energetiche nazionali.

Da qui discendono una serie di scadenze4 per i prossimi mesi che richiedono alle varie agenzie federali di adottare misure specifiche per supportare i progetti nazionali di estrazione e utilizzo del carbone, come segue:

  1. entro l’8 maggio 2025, tutte le agenzie autorizzate a concedere prestiti, garanzie sui prestiti, sovvenzioni, ecc. hanno dovuto adottare misure per revocare qualsiasi politica o regolamento che scoraggi gli investimenti nella produzione e nella generazione di energia elettrica a carbone;
  2. sempre entro quella data, ogni agenzia ha dovuto segnalare al Council on Environmental Quality l’esistenza di eventuali esclusioni ai sensi del National Environmental Policy Act (Nepa) che potrebbero favorire la produzione e l’esportazione di carbone;
  3. l’amministratore dell’Environmental Protection Agency (Epa) e i Segretari dei Trasporti, degli Interni, dell’Energia, del Lavoro e del Tesoro devono identificare tutte le linee guida, le normative, i programmi o le politiche interne che mirano ad abbandonare la produzione di carbone e la generazione di energia elettrica (entro l’8 maggio 2025) e valutare la possibilità di rivederli o annullarli (entro il 6 giugno 2025);
  4. i Segretari degli Interni, dell’Agricoltura e dell’Energia devono presentare un rapporto consolidato all’Assistente del Presidente per la Politica Economica, identificando le riserve di carbone sui terreni federali (inclusa l’analisi della disponibilità di carbone e il suo impatto sui costi dell’elettricità e sull’affidabilità della rete), valutando gli impedimenti all’estrazione di tali riserve e proponendo politiche per il loro superamento (entro il 6 giugno 2025);
  5. sempre entro il 6 giugno, i Segretari degli Interni, del Commercio e dell’Energia devono presentare un rapporto consolidato sulle regioni dotate di infrastrutture alimentate a carbone adatte a supportare data center e sul loro potenziale di mercato e tecnologico, al fine di espandere l’utilizzo di questa fonte per alimentare l’intelligenza artificiale;
  6. entro il 7 luglio, il Segretario dell’Energia deve presentare al Presidente del National Energy Dominance Council (Nedc) un piano d’azione dettagliato che delinei proposte per accelerare lo sviluppo, l’implementazione e la commercializzazione delle tecnologie del carbone in applicazioni diverse dalla combustione.

Alle agenzie federali viene richiesto, poi, l’impegno a supportare programmi continuativi di sostegno al carbone oltre le scadenze sopra citate. In particolare l’ordine esecutivo prevede:

  1. la fine definitiva della moratoria Jewell emessa nel 2016 durante l’amministrazione Obama e che proibisce nuove concessioni di carbone su terreni federali. La moratoria è stata oggetto negli anni di numerose dispute legali, l’ultima delle quali nel 2024 si è conclusa con una sentenza della Corte d’Appello Federale che di fatto l’aboliva. Con i nuovi poteri concessi dall’ordinanza dell’8 aprile, il Segretario degli Interni formalizza tale abolizione, pubblicando un avviso sul Federal Register e indicando che non saranno necessarie ulteriori revisioni Nepa per le locazioni federali di carbone. Sempre in merito alle concessioni, l’ordinanza impone, inoltre. un’elaborazione rapida delle richieste di esenzione dalle royalty e, nel caso di applicazione, un abbassamento delle stesse, per contribuire a mantenere aperte le miniere e a sostenere le entrate fiscali locali;
  2. la promozione dell’export di carbone. Il Segretario del Commercio deve adottare tutte le misure necessarie e appropriate per (a) promuovere e identificare opportunità di esportazione per il carbone e le tecnologie del carbone e (b) agevolare accordi internazionali di acquisto del carbone statunitense.

Nella stessa giornata della firma dell’ordine, il Segretario all’Energia Chris Wright ha annunciato una serie di azioni del Dipartimento dell’Energia5 per stimolare la produzione di carbone. Tra queste: 1) il ripristino del National Coal Council come comitato consultivo federale, dopo che nel 2011, durante la presidenza Biden, le sua attività erano cessate; 2) la designazione del carbone utilizzato nella produzione di acciaio come materiale e minerale critico; 3) l’inserimento del carbone in un programma di reinvestimento nelle infrastrutture energetiche (Eir) che mette a disposizione 200 miliardi di dollari in finanziamenti a basso costo e a lungo termine; 4) sostegno agli sforzi per la commercializzare della tecnologia che estrae minerali critici dalle ceneri di carbone.

Già ricco di disposizioni, l’executive order esaminato non è l’unica iniziativa politica di Trump in materia di carbone. Sempre l’8 aprile, infatti, il Presidente ha firmato un altro provvedimento6 che approva una serie di sgravi normativi per facilitare la generazione di elettricità da questa fonte. In particolare, viene procrastinata di due anni (dall’8 luglio 2027 all’8 luglio 2029) la norma, approvata nel maggio del 2024, secondo la quale le centrali dovranno adeguarsi ai nuovi limiti sulle emissioni di inquinanti atmosferici (come mercurio, arsenico e benzene). Secondo Trump una tempistica così ravvicinata avrebbe posto gravi oneri a carico di chi gestisce le centrali a carbone.

Così come sul piano interno, l’azione di Trump a supporto dell’industria del carbone ha avuto le sue implicazioni anche sul piano internazionale. A inizio marzo, infatti, ancor prima della firma degli ordini esecutivi, gli Stati Uniti hanno deciso di ritirarsi dalla Just Energy Transition Partnership (Jetp), un programma ideato per destinare miliardi di dollari a Paesi come Sudafrica, Indonesia e Vietnam per aiutarli nella transizione dal carbone all’energia pulita. Lanciato per la prima volta durante la COP26 di Glasgow del 2021, su iniziativa di Francia, Germania, Regno Unito, Canada e Unione Europea, all’iniziativa collaboravano dieci Paesi e tra i primi beneficiari sono stati Sudafrica, Indonesia e Vietnam, alcuni tra i maggiori consumatori di carbone a livello globale. Il ritiro degli Usa si traduce nel venir meno di circa 4 miliardi di dollari distribuiti tra prestiti commerciali e sovvenzioni, oltre che nella perdita delle garanzie statunitensi sui prestiti commerciali, un elemento fondamentale per attrarre investitori istituzionali. Senza il supporto americano, il rischio è di un aumento dei tassi d’interesse sui debiti sovrani legati a progetti di sostenibilità, rendendoli così inattuabili per alcuni Paesi. L’annullamento, poi, ha effetto retroattivo e i fondi già stanziati, ma non erogati, vengono congelati.

Il ritiro dagli accordi è in linea con le priorità del Presidente Donald Trump di bloccare gli aiuti esteri per programmi correlati all’equità e all’ambiente, di riorientare le risorse verso priorità nazionali e di promuovere l’uso del carbone, magari esportato dagli Usa, per la produzione di elettricità nei Paesi in via di sviluppo, come affermato dal Segretario all’Energia Chris Wright durante il Powering Africa Summit tenutosi a marzo a Washington7.

Quali implicazioni concrete delle scelte di Trump per l’industria del carbone Usa?

Se chiare sembrano le intenzioni della politica trumpiana in materia di carbone, non altrettanto scontati sembrano i risultati attesi. Perché, se è innegabile che, rispetto agli scorsi anni, in questi primi mesi del 2025, qualche iniziativa concreta di sviluppo sia stata lanciata, altrettanto legittimo è pensare che il supporto governativo non basterà a invertire il trend di decrescita che contraddistingue ormai da anni il carbone negli Usa.

A oggi, dalla disamina delle principali notizie della stampa specialistica, quel che si evince è una maggiore fiducia da parte degli operatori del settore, dopo anni in cui il progressivo inasprimento della regolazione ambientale aveva reso sempre più difficile e poco competitivo operare.

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Grande entusiasmo, per esempio, ha suscitato la notizia dell’approvazione da parte del Department of the Interior8 dell’estensione di 16 anni della vita della miniera di Spring Creek nel Montana, consentendo alla Navajo Transitional Energy Company di produrre altri 40 milioni di tonnellate di carbone su terreni federali. La miniera, destinata a chiudere, rifornisce i mercati nazionali di Arizona, Michigan, Minnesota e Washington, e quelli asiatici di Giappone e Sud Corea.

Anche l’aver sancito con chiarezza la fine della moratoria Jewell e aver allentato le regole per il rilascio delle autorizzazioni potrebbe supportare nuove attività minerarie in tutto il Paese, per anni rimaste nel limbo della burocrazia.

Da parte loro, poi, alcune utilities stanno ripensando ai loro piani di sviluppo di lungo termine, re-includendovi il carbone, che era stato ormai dato per escluso. La Georgia Power, il più grande fornitore di energia elettrica della Georgia, per esempio, nel suo ultimo aggiornamento dell’Integrated Resource Plan9, ha proposto di prolungare la vita utile dei propri impianti a carbone, facendo marcia indietro rispetto ai precedenti piani di dismissione. Un cambio di rotta, osteggiato dal mondo ambientalista, che trova giustificazione nelle proiezioni di crescita della domanda elettrica, necessaria a soddisfare la richiesta dei data center, ma anche nell’allentamento delle restrizioni federali sulle emissioni, che avevano reso fino ad ora antieconomico l’utilizzo delle centrali alimentate a carbone. Sulla stessa linea d’onda anche la PacifiCorp, tra i più grandi operatori della parte occidentale degli Stati Uniti, ha procrastinato

In questa cornice, l’Eia Doe ha rivisto al ribasso il dato sulle previste dismissioni di centrali elettriche per i prossimi anni, dopo l’elezione di Trump (Figura 1.1). Secondo i dati rilasciati dall’agenzia nel suo Electric Power Monthly, a novembre 2024, si stimavano per il 2025 ritiri per 11,2 GW, scesi a 8 nel rapporto rilasciato a marzo 2025.

Il rapporto di novembre prevedeva una chiusura del 2026 con, 1 GW capacità in più (3,8 GW), mentre a marzo la stima è stata rivista al ribasso. Fa eccezione solo il blocco temporale 2035-40, che nelle più recenti rilevazioni del Dipartimento per l’Energia sono inferiori a 1 GW, mentre erano oltre 3 GW nelle previsioni di fine 2024.

Fig. 1.1 – Ritiri a carbone al 2040, previsti nel mese di novembre 2024 e nel mese di marzo 2025

Immagine che contiene testo, schermata, diagramma, Carattere  Il contenuto generato dall'IA potrebbe non essere corretto.

Fonte: Elaborazione RIE su dati Eia Doe

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Un rallentamento delle dismissioni delle centrali e il prolungamento delle loro attività potrebbe fare il paio con un aumento del tasso di utilizzo delle stesse che, dal 40% attuale, secondo la National Mining Association, potrebbe portarsi fino al 70-90%11. Il tutto, però, subordinato a un’effettiva crescita dei consumi elettrici, – soprattutto dei data center, ancora incerta 12 e difficilmente quantificabile – e all’apporto di fonti alternative, in primis le rinnovabili, il cui sviluppo negli ultimi anni è stato accelerato.

Una spinta al settore, infine, per i suoi promotori potrebbe incoraggiare anche l’attività di commercializzazione del carbone americano all’estero. Già lo scorso anno, sulla scia di una maggiore richiesta internazionale, in primis dei buyers asiatici (Cina e India) e nord africani (Marocco ed Egitto), le esportazioni di carbone hanno toccato i 107,6 milioni di short ton13, il massimo da sei anni. Almeno, fino a marzo, tutto faceva presagire un export sostenuto anche per il 2025. Tuttavia, rispetto alle previsioni iniziali14, a valle dell’imposizione dei dazi da parte di Trump soprattutto nei confronti della Cina, le stime sui volumi esportati sono state riviste al ribasso, pesando su di esse l’incertezza circa l’evolversi della guerra tariffaria, delle contromisure prese dai partner commerciali e delle implicazioni che queste potrebbero avere sul comparto.

Basterà il supporto di Trump a cambiare il destino del carbone negli Stati Uniti?

Vista la recente approvazione delle nuove politiche di supporto, è ancora prematuro verificarne l’effettiva portata, tuttavia i principali analisti concordano sull’impossibilità che queste ultime possano determinare un cambio di rotta nel destino di questa fonte. Nonostante la seria convinzione di chi governa e le aspettative di chi vi opera, il comparto del carbone negli Usa ha intrapreso ormai da anni, un pattern di progressiva e strutturale decrescita dei consumi che ha investito tanto gli usi industriali, quanto e soprattutto quelli elettrici (che assorbono oltre il 90% dei consumi totali), dove il carbone, da prima fonte di generazione, è stata relegata a fonte marginale. Un trend oggettivamente difficile da ribaltare.

Ad oggi, infatti, quello che ci restituiscono i dati è l’istantanea di un settore in declino. Partendo dai consumi, secondo l’ultima rilevazione dell’Eia Doe, negli Usa, nel 2024, complessivamente sono state consumate circa 411 milioni di short ton, in calo del 3% sul 2023 e del 30% rispetto a 5 anni fa. Se il confronto viene poi fatto, con l’anno 2000, il trend di calo risulta ancora più evidente: a inizio del nuovo millennio, il Paese a stelle e strisce consumava oltre 1 miliardo di short ton. di carbone, il 60% in più circa di quanto richiesto dal mercato lo scorso anno. Il picco del consumo è stato raggiunto nel 2007 con circa 1,1 miliardi di short ton. Da allora, a eccezione di pochissimi casi15, la domanda registrerà anno su anno una variazione negativa.

Quanto alla produzione, nel 2024, sono stati prodotti circa 512 milioni di short tonn, l’11% in meno rispetto ai dodici mesi precedenti e -50% rispetto al 2000, per un totale di miniere dipoco superiore alle 500 unità, quasi un terzo di quelle attive a inizio secolo. Anche la forza lavoro impiegata ne esce drasticamente ridimensionata, con circa 42.000 impiegati rispetto ai 71.500 del 200016.

Nel comparto termoelettrico, poi, che assorbe circa il 90% del consumo di carbone, sono attive circa 200 centrali a carbone per una capacità netta di generazione (net summer capacity17) di poco superiore ai 180 GW e una produzione elettrica di circa 650 TWh di elettricità, per un peso sul mix energetico che non arriva a toccare nemmeno la soglia del 15%. Un dato lontanissimo dai decenni scorsi.

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Fig. 1.2 – Principali indicatori del settore del carbone

Fonte: Elaborazioni RIE su dati Eia Doe ed Ember

Si verifica, infatti, anno dopo anno, una progressiva e irreversibile erosione della quota di carbone nella produzione di elettricità: se nel 2000 dal carbone si produceva metà dell’energia elettrica consumata nel Paese a stelle e strisce, nel 2012, questa quota è scesa sotto il 40%, per poi contrarsi ulteriormente sotto il 30% nel 2017, e poi sotto il 20% a partire dal 2020.

Un ridimensionamento avvenuto prima a favore del gas – che nel 2015 ha sottratto al carbone il primato di fonte principale – e poi delle energie rinnovabili, soprattutto eolico e solare, che cumulativamente nel 2024, per la prima volta nella storia, riescono a fare meglio del carbone relegandolo tra le ultime fonti di generazione, avanti solo all’idroelettrico e alle biomasse.

Un trend che ha avuto come inevitabile conseguenza la contestuale chiusura delle centrali, determinando una incisiva attività di phase-out che ha portato, anno dopo anno, alla progressiva dismissione di capacità di generazione a carbone: circa 55 GW18 sono stati ritirati negli ultimi 5 anni e quasi 130 GW dal 2000, a fronte di appena 19 GW di nuova capacità, tra l’altro quasi tutti entrati in funzione prima del 2013.

Fig. 1.3 – Generazione elettrica per fonte (asse dx) e capacità a carbone ritirata (asse sx) negli Stati Uniti

Fonte: Elaborazioni RIE su dati Eia Doe

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Progressivamente anche l’interesse economico a investire in nuove centrali a carbone si è andato spegnendo e, in contemporanea alla dismissione delle centrali in funzione, gli operatori hanno abbandonato anche i progetti di nuova costruzione avanzati in precedenza. Negli ultimi 14-15 anni ne sono stati cancellati una quarantina19 (circa 28 GW).

Varie sono le ragioni che spiegano il perché di un tale declino. Lato produzione, si evidenziano l’aumento dei costi di estrazione e normative ambientali sempre più rigorose nel rilascio delle autorizzazioni e nella gestione delle attività minerarie. Lato consumi, invece, soprattutto nel comparto termoelettrico, principale destinatario del carbone prodotto, a penalizzare il settore sono stati: vincoli emissivi per le centrali sempre più severi, sia in termini di emissioni di gas climalteranti che di inquinanti atmosferici (mercurio ecc.); una maggiore convenienza a switchare verso fonti alternative, quali rinnovabili e gas, quest’ultimo meno inquinante e, dopo la rivoluzione del fracking, con volumi prodotti internamente via via più elevati e competitivi sotto il profilo dei prezzi. A questi fattori se ne aggiunga un altro, non meno rilevante, ovvero la maggiore sensibilità ai temi ambientali del mondo industriale e dei mercati finanziari, che hanno via via considerato il carbone un cattivo investimento in ottica di politiche di sostenibilità, non finanziandone più lo sviluppo.

Conclusione

Tutto quanto sopra serve ad avvalorare la tesi di chi vede ormai segnato il destino dell’industria del carbone negli Usa. Il punto dirimente, quindi, non è tanto il se, ma al massimo il quando si potrà parlare di residualità del carbone nel mix energetico del Paese, avendo Trump gettato un’ancora di salvezza temporanea, non contemplata dalla precedente presidenza. Sicuramente, il tentativo del nuovo Presidente, che muove oltre che da considerazioni ideologiche anche da valutazioni economiche (crescente domanda di energia per i data center), produrrà degli effetti sul brevissimo periodo, rivitalizzando qualche iniziativa, prolungando la vita delle centrali e procrastinando nel tempo la loro chiusura. Il tutto con conseguenze significative in termini di emissioni.

Tuttavia, dato il contesto di partenza, sembrerebbe illusorio pensare che questo comparto possa riacquistare quel peso sul tessuto economico che aveva alcuni decenni fa. Nessun aiuto governativo, nessuna nuova regolamentazione, nessuna innovazione tecnologica – poco praticabile rimane l’opzione di dotare gli impianti di tecnologia Ccs, visto che mediamente il costo a impianto si aggira sui 2 miliardi di dollari20 – sarà mai sufficiente a stravolgere il bilancio energetico del Paese, ormai saldamente fondato sullo sfruttamento delle risorse di gas nazionali e, in prospettiva, sulla crescita delle risorse rinnovabili, su cui si stanno investendo miliardi di dollari.


1 US Department of Energy, DOE Releases New Report Evaluating Increase in Electricity Demand from Data Centers, 20 dicembre 2024.

2 The White House, Reinvigorating America’s Beautiful Clean Coal Industry and Amending Executive Order 14241, Executive Orders, 8 aprile 2025.

3 J.A. Hill et al., Reframing Coal: Executive Order Aims to Power AI, Manufacturing and Energy Security

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4 R. Campbell, A.R. Jacobo, J. Franklin, G. Goodrow, H.Y. Pan, Coal is now a “critical mineral” under Amended Executive Order regarding Immediate Measures to Increase American Mineral Production, White & Case, 11 aprile 2025.

5 US Department of Energy, Energy Department Acts to Unleash American Coal by Strengthening Coal Technology and Securing Critical Mineral Supply Chains, 8 aprile 2025.

6 The White House, Regulatory relief for certain stationary sources to promote American Energy, 8 aprile 2024.

7 Discorso del Segretario all’Energia Chris Wright al Powering Africa Summit, Washington, 7 marzo 2025

8 U.S. Department of Interior, Interior Advances Energy Independence with Spring Creek Mine Expansion Approval, 13 marzo 2025.

9 S. Dunlap, “State utility regulators approve Georgia Power plan to use fossil fuels to power data centers”, Georgia Recorder, 16 aprile 2024.

almeno fino al 2045 la chiusura delle sue unità a carbone, prima previste in dismissione fra il 2026-4210.

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10 A. Cabrera, “PacifiCorp extends the life of Utah coal-powered plants – indefinitely”, Utah News Dispatch, 21 gennaio 2025.

11 J. Spring, “The U.S. coal industry is dying. Trump threw it a lifeline”, The Washigton Post, 25 marzo 2025.

12 Le proiezioni sul consumo dei data center rimangono incerte e le stime sono fra le più disparate: per l’Eia Doe al 2030 potrebbe raddoppiare o triplicare, per altri, nello stesso arco temporale, potrebbe crescere in un range compreso fra 29 e il 166%.

13 U.S. Energy Information Administration (Eia), Short-Term Energy Outlook Data Browser, 6 maggio 2025.

14 L’Eia Doe nello Short-Term Energy Outlook di aprile ha rivisto al ribasso la sua previsione sull’export di carbone del 2025, che dovrebbe attestarsi sui 93 milioni di short ton, rispetto ai 97 stimati a marzo.

15 Meritevole di attenzione, proprio perché in controtendenza, è l’anno 2021, quando si assiste a un vero e proprio rebounding della domanda di carbone negli Usa (+15% 2021 vs 2020), in ragione degli alti prezzi del gas (nei primi 9 mesi 2022 quasi il 90% più alti rispetto agli stessi mesi 2021) e della ripresa della domanda elettrica (+3% circa) dopo l’annus horribilis della pandemia.

16 U.S. Energy Information Administration (Eia), Coal Industry Annual 2000.

17 Capacità netta estiva: la potenza massima, comunemente espressa in megawatt, che gli impianti di generazione possono fornire al carico del sistema, come dimostrato da un test di più ore, al momento del picco della domanda estiva (periodo dal 1° giugno al 30 settembre). Questa potenza è inferiore alla capacità nominale in quanto sconta l’uso dell’elettricità per il servizio della stazione o per servizi ausiliari.

18 U.S. Energy Information Administration (Eia), Preliminary Monthly Electric Generator Inventory (based on Form EIA-860M as a supplement to Form EIA-860), aprile 2025.

19 Global Energy Monitor, Coal-fired Power Stations by Country.

20 America’s Power, Declaration of Michelle Bloodworth in support of motion to stay final rule, 24 maggio 2024.



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