Il ricatto è un’arma che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump adopera quotidianamente o quasi. Lo si è visto in innumerevoli occasioni. Dalla girandola di annunci e smentite sui dazi doganali fino al congelamento dei fondi destinati all’università di Harvard, rea di non essersi piegata alle sue direttive. Proprio un ricatto potrebbe decretare il fallimento di una misura che era appena entrata in vigore dopo anni di trattative: la tassa minima per le multinazionali (global minimum tax). Pur di mettersi in salvo da possibili ripercussioni, infatti, i Paesi del G7 hanno preferito esonerare le multinazionali statunitensi dall’applicazione della misura. L’annuncio è del 28 giugno.
Global minimum tax: cos’è e perché Trump vuole affossarla
Approvata nel 2021 ed entrata in vigore dal 1° gennaio 2024, la global minimum tax cerca di scoraggiare la fuga delle multinazionali verso i paradisi fiscali. Lo fa attraverso un’imposta minima del 15% sui profitti che realizzano in qualsiasi giurisdizione, anche attraverso sussidiarie. Di per sé, non è perfetta. Lo si intuisce dal fatto che sia stata discussa e approvata nel club delle economie più ricche, l’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico). L’aliquota è bassa, ci sono difficoltà tecniche nell’applicarla, esistono delle scappatoie. Ma è comunque una prima fondamentale vittoria, raggiunta dopo anni di tentativi.
Per Donald Trump tutto questo è inaccettabile. Tant’è che nella sua imponente manovra fiscale, chiamata “One Big Beautiful Bill Act”, ha fatto inserire la cosiddetta revenge tax. Cioè un aumento delle tasse sui redditi derivanti da asset detenuti negli Stati Uniti da individui o imprese di Paesi con sistemi fiscali ritenuti «iniqui». In sostanza, di Paesi che applicano la global minimum tax, oppure la tassa sui servizi digitali (di fatto monopolizzati dalle Big Tech). Un ricatto, appunto. E ha funzionato. Perché non c’è nemmeno stato il tempo di arrivare alla discussione in aula: il G7 ha ceduto e la revenge tax è scomparsa.
L’eccezione del G7 che svuota la global minimum tax
La presidenza canadese del G7 comunica di aver raggiunto un accordo per una «soluzione parallela» che esonera le major americane – in virtù delle tasse che già pagano in patria – dalla regola di chiusura della global minimum tax. Cioè quel meccanismo che vuole assicurare che le multinazionali paghino comunque almeno il 15% di tasse, anche se la loro giurisdizione non ha implementato le regole Ocse. Come gli Stati Uniti, appunto.
Nella nota si legge che questo regime «faciliterà ulteriori progressi nello stabilizzare il sistema di tassazione internazionale, anche in un dialogo costruttivo sulla tassazione dell’economia digitale e sulla difesa della sovranità fiscale di tutti i Paesi». È un segnale forte che, però, bisogna tradurre nella pratica. Pur avendo un enorme peso politico, il G7 – da solo – non ha il potere di rovesciare la global minimum tax. La proposta dovrà quindi passare al vaglio degli altri Paesi che la hanno adottata, in primis quelli europei (e, più in generale, i membri dell’Inclusive forum dell’Ocse).
Oxfam ai governi europei: «Difendete la global minimum tax»
«L’accordo è una pessima notizia: disincentiva altri Paesi dall’applicare le norme sulla tassazione minima e, nel contesto europeo, rischia di creare uno svantaggio competitivo per i colossi dell’Unione rispetto alle corporation a stelle e strisce», spiega a Valori Misha Maslennikov, policy advisor di Oxfam Italia. «A ben vedere, le ritorsioni americane appaiono lenite solo in parte. L’amministrazione Trump, poco interessata a promuovere sforzi di cooperazione fiscale internazionale, continua a vedere come fumo negli occhi le web tax nazionali che colpiscono in maggior misura i colossi digitali americani. La spada di Damocle delle sanzioni o contro-misure fiscali statunitensi non ha quindi del tutto smesso di pendere sui Paesi come il nostro e si ripaleserà verosimilmente molto presto».
Se il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti parla di «compromesso onorevole», quindi, Oxfam è di tutt’altra opinione. E si dice «molto preoccupata del passo indietro del G7 che ha di fatto depotenziato gli apprezzabili avanzamenti, raggiunti dopo anni di negoziati intensi, nel contrasto agli abusi societari e alla concorrenza fiscale dannosa in materia di fiscalità internazionale d’impresa». Conclude Maslennikov: «Ci aspettiamo un sussulto di dignità da parte dei governi europei. E non degli atti di vassallaggio che, replicati nel breve termine, rischiano, sotto i diktat di Trump, di portarci – come italiani ed europei – ad altri “onorevoli compromessi” e di veder snaturate importanti conquiste normative e regolatorie degli ultimi decenni».
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