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Gli italiani quanto vorrebbero distante da casa propria una centrale nucleare? Lo spiega Ipsos


Oggi a Roma si è alzato il sipario sulla XII edizione dell’Ecoforum nazionale sull’economia circolare – organizzato come sempre da Legambiente, Kyoto club e Nuova ecologia –, dove sono stati presentati i dati della nuova rilevazione Ipsos condotta sul territorio nazionale.

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Per il 79% degli intervistati la transizione ecologica porta con sé benefici ed elementi positivi. In particolare, per il 34% è fondamentale per la salvaguardia del pianeta; per il 24% è utile per abbassare il costo dell’energia/le bollette per famiglie e imprese; per il 22% è il futuro, le aziende che non lo comprendono prima o poi saranno fuori mercato, e porterà ad avere prodotti migliori, più sicuri per la salute. Resta alta l’attenzione sui green jobs: il 40% degli intervistati ritiene che aumenteranno (la percentuale sale al 61% tra chi conosce l’economia circolare), mentre il 14% pensa che diminuiranno.

In materia d’energia, invece, il campione interrogato boccia ancora una volta il ritorno del nucleare in Italia che vorrebbe portare avanti il Governo Meloni. Il 39% degli italiani non vorrebbe nuove centrali in nessun caso, il 29% l’accetterebbe ad almeno 100 km da casa, il 23% fissa l’asticella a 50 km e il 9% a 10 km.

«L’economia circolare italiana – commenta Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – continua a rappresentare un’eccellenza a livello europeo, ed è strategica per lo sviluppo di filiere industriali innovative e competitive. Produzioni circolari, energia da fonti rinnovabili, transizione ecologica sono un motore anche per la nuova occupazione verde e per abbassare la bolletta sempre più pesante per i bilanci di famiglie e imprese. Il sondaggio Ipsos presentato oggi all’Ecoforum dimostra che le cittadine e i cittadini del nostro Paese sono pronti a giocare questa sfida e non ne vogliono sapere di nuove centrali nucleari in Italia. Puntiamo sulle produzioni pulite, senza perdere tempo con soluzioni irrealizzabili e che sono state messe fuori mercato per gli elevati costi. Solo così rafforzeremo le basi del Clean Industrial Deal made in Italy».

Nel merito, sono tre le tre proposte ambientaliste avanzate al Governo Meloni per un Clean Industrial Deal made in Italy davvero competitivo e che metta al centro l’economia circolare. In sintesi:

1) occorre velocizzare gli iter di autorizzazione e realizzazione degli interventi previsti dal PNRR – Missione 2, Componente 1, Misura 1, dalle strutture a servizio del miglioramento della raccolta differenziata agli impianti di riciclo;

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2) semplificare l’iter tortuoso di approvazione dei decreti End Of Waste (EOW), fondamentali per garantire il recupero di materie prime seconde in un nuovo ciclo produttivo, inserendo sistemi di consultazione maggiormente accessibili;

3) potenziare i controlli ambientali completando l’approvazione dei decreti attuativi della legge 132 del 2016 che ha istituito il Sistema nazionale di protezione ambientale, per prevenire l’illegalità nel ciclo dei rifiuti e fermare la concorrenza sleale delle aziende furbe nei confronti di quelle rispettose della legge.

«L’economia circolare e più in generale quella che chiamiamo green economy – osserva Francesco Ferrante, vicepresidente del Kyoto Club – sembrano non godere di buona salute a leggere i giornali, le dichiarazioni di certi politici e persino gli atti della stessa Commissione Europea che dopo avere lanciato il Green Deal ora tentenna e dubita persino di procedere con la Direttiva Green Claims, quella che dovrebbe servire a contrastare il fenomeno del greenwashing.

Ma la realtà continua a marciare invece nella direzione giusta: le imprese che partecipano al nostro Forum rappresentano al meglio quel pezzo del sistema economico italiano che ha consentito al nostro Paese di vantare molti record europei in questo settore, quelle imprese che continuano a essere in piena salute, a crescere negli investimenti e nella realizzazione degli impianti necessari per l’economia circolare, a offrire occupazione e attenzione ai territori in cui sono insediate. La migliore dimostrazione che il ‘green’ non solo fa bene ma conviene anche».





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