Imprenditore di seconda generazione nel settore del digitale e della consulenza, Massimo Dal Checco attualmente non è solo il Presidente di Anitec-Assinform, l’Associazione di Confindustria che rappresenta circa 700 aziende Ict in Italia, fra soci diretti e indiretti. Dal Checco guida la strategia del Gruppo SIDI con una forte propensione verso progetti internazionali (il gruppo opera attivamente in Italia e in Africa).
Nato a Milano, ha conseguito la laurea in Economia e Commercio presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore. Con passione e dedizione, siede a tavoli dove l’innovazione attraversa il tessuto imprenditoriale italiano. Contribuisce ai Gruppi Tecnici di Confindustria, focalizzandosi sul digitale per la competitività del sistema industriale, sulle filiere e sull’internazionalizzazione.
Attualmente ricopre importanti incarichi in enti associativi di riferimento per l’imprenditoria nazionale e internazionale, promuovendo l’innovazione tecnologica come elemento cardine di uno sviluppo sostenibile.
In questi giorni però è alle prese con il 56mo Rapporto Digitale realizzato da Anitec-Assinform, un documento molto esteso che inizia tracciando lo stato dell’arte del mercato digitale in Italia e termina con una monografia sull’AI nella Pubblica Amministrazione.
In mezzo, tutto quello che c’è da sapere sulla cybersicurezza, sul contesto geopolitico che stiamo attraversando, sui settori dove il digitale è più attivo e presente, fino alle previsioni per il futuro da qui al 2028.
“Il 2025 non è un anno qualsiasi”, spiega Dal Checco. “Siamo di fronte ad una vera rivoluzione, in cui l’intelligenza artificiale sta ridefinendo il nostro presente. È il nuovo motore della competizione globale, della produttività, della sostenibilità e, se saremo capaci, dell’equità. In questo contesto, l’Italia c’è. Non solo nell’evoluzione tecnologica interna, ma anche nella costruzione di un nuovo equilibrio geopolitico. D’altronde oggi l’AI è diventata una sfida multidimensionale: economica, sociale, politica”.
Presidente, mettiamo da parte per un momento l’Intelligenza Artificiale, e guardiamo invece al mercato digitale a 360 gradi. In che direzione stiamo andando?
Il nostro settore continua a vivere una crescita che supera quella dell’economia generale, giocando un ruolo chiave nel sostenere lo sviluppo e l’occupazione del Paese. Dopo un’accelerazione nel 2024, nel 2025 il ritmo di crescita rimane sopra il 3% e si prevede che continuerà così fino al 2028. Le imprese Ict mostrano prestazioni migliori della media economica in vari indicatori, come valore aggiunto e numero di occupati. Nonostante questo il Rapporto ci mostra un rallentamento nell’aumento delle startup e delle nuove imprese nel 2025.
In questo contesto che ruolo sta giocando l’Intelligenza Artificiale?
L’Intelligenza Artificiale è un motore potenziale di crescita: automatizza, ottimizza, accelera l’innovazione. Le stime divergono – dal +1% sul Pil secondo il Mit fino ai 22 trilioni di euro annui stimati da McKinsey entro il 2030 – ma il messaggio è chiaro: l’AI non solo fa crescere l’economia, ne cambia la composizione.
In che senso?
Basti pensare che è adottata dal 71% delle imprese globali, ma con impatti ancora contenuti e disomogenei. In Italia, solo una grande azienda su quattro la considera parte della propria strategia. Eppure, l’AI sta trasformando sanità, finanza, logistica, istruzione, intrattenimento, industria. Dove si integra bene, aumenta l’efficacia dei processi, riduce gli errori, amplifica le capacità umane.
Quindi secondo lei è lecito ritenere che l’AI non toglie posti di lavoro, o per lo meno li toglie ma allo stesso tempo ne crea di nuovi …
L’Intelligenza Artificiale non distrugge il lavoro, lo ridefinisce. Alcuni ruoli saranno sostituiti, molti saranno trasformati, e altri ancora nasceranno. Pensiamo ai Prompt Engineer, agli eticisti dell’AI, a chi progetta l’interazione uomo-macchina. L’AI agentica segna un nuovo paradigma: fare insieme, non solo fare al posto di. I numeri però ci stanno avvisando, ci dicono che siamo in ritardo: siamo al 20° posto nel mondo per investimenti in startup AI, solo due università italiane tra le prime 70. L’integrazione tra ricerca e industria è ancora debole. E la nostra attività brevettuale è concentrata in poche aree geografiche. Servono investimenti, governance e una visione nazionale per far della ricerca sull’AI una priorità strategica.
E per quanto riguarda invece le politiche adottate in Italia per l’Intelligenza Artificiale?
La domanda che doveva farmi è un’altra: l’Italia sta attivando le leve giuste per rendere l’AI un motore di innovazione diffusa?
D’accordo, gliela faccio
Abbiamo una grande occasione, ma è necessario avviare un percorso ben preciso, pianificare un piano quinquennale ad ampio raggio che sia frutto di un dialogo fra settore pubblico e privato. L’integrazione dell’Intelligenza artificiale non è solo la semplice applicazione di un software, deve avere una visione in grado di includere infrastrutture e competenze.
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