Antonino Scianna, esperto di sicurezza sul lavoro, spiega perché è un bene che il Piemonte abbia firmato l’ordinanza «anti-caldo»
Il caldo è una fonte di stress per tutti, ma per chi lavora sotto il sole all’aperto o in ambienti che si scaldano troppo durante il giorno può diventare un vero fattore di rischio. Non a caso il «microclima sfavorevole» è già contemplato dalla legge 81 del 2008, il testo unico sulla sicurezza e salute sui luoghi di lavoro. Le temperature eccessive rientrano infatti tra i rischi che il datore di lavoro è obbligato a valutare. «Le condizioni microclimatiche sono uno dei più importanti fattori che possono influire sul benessere del lavoratore: per questo lo stress termico viene messo in relazione all’aumento del rischio di infortuni sul lavoro», spiega Antonino Scianna, formatore esperto di sicurezza sul lavoro.
Quali sono i lavoratori più esposti al rischio?
«Sicuramente quelli che lavorano all’aperto: cantieri edili o stradali, settore agricolo. Ma anche gli addetti alla logistica, perché i magazzini raggiungono spesso temperature molto elevate. Non conta solo la temperatura percepita, che comunque non dovrebbe superare i 35 gradi. Influiscono anche la velocità dell’aria, il ritmo di lavoro intenso, il carico di attività, l’umidità e gli indumenti utilizzati. E poi ci sono le caratteristiche personali: età, stato di salute, genere. Nel settore edile, per esempio, l’età media è spesso alta. Lavorare sotto il sole a 60 anni o più per un’intera giornata non è certo uno scherzo».
E se fa troppo caldo bisogna fermarsi?
«Esistono diverse misure di prevenzione e protezione da adottare. Ma quando le temperature diventano eccessive, sì, interrompere o ridurre il lavoro diventa necessario. Lo scorso 19 giugno la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome ha approvato specifiche linee guida per tutelare i lavoratori dal calore e dalla radiazione solare. Il documento indica le fasce orarie in cui è sconsigliato svolgere attività all’aperto. Diverse regioni, come il Piemonte, hanno già recepito queste direttive vietando il lavoro dalle 12.30 alle 16».
Ma come conciliare queste esigenze di sicurezza con la continuità produttiva?
«I contratti di lavoro già prevedono una certa flessibilità negli orari e nei turni. Si possono quindi riorganizzare le attività, soprattutto quando è in gioco il benessere dei dipendenti. Inoltre, le aziende possono accedere agli ammortizzatori sociali: è possibile richiedere la cassa integrazione (Cigo) per eventi meteorologici estremi, indicando come causale “evento meteo” in caso di elevate temperature registrate dai bollettini meteo o percepite».
La normativa si sta evolvendo, ma le aziende si stanno davvero adeguando?
«Dopo anni di formazione nelle aziende posso dire che in tema di sicurezza non siamo più all’anno zero, ma c’è ancora molto da fare sulla consapevolezza dei rischi. Il problema principale è che spesso i documenti di valutazione del rischio – obbligatori per legge – restano sulla carta invece di trovare applicazione pratica. Non devono essere solo degli adempimenti burocratici da esibire agli ispettori. Purtroppo, la precarietà del lavoro rappresenta un grande ostacolo: riduce il potere contrattuale dei lavoratori e la possibilità di far valere i propri diritti. Una dinamica che si accentua ancora di più con la pratica dei subappalti a cascata, dove chi lavora sul campo ha spesso meno tutele».
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