la maggior parte delle aziende ne sta gi� subendo l’impatto

Il cambiamento climatico non è più un’ipotesi futura, ma una realtà che incide già sulle operazioni di moltissime aziende in tutto il mondo. Secondo un recente rapporto di Morgan Stanley, oltre la metà delle imprese intervistate ha dichiarato di aver subito nell’ultimo anno conseguenze dirette sul proprio business: aumento dei costi operativi, interruzioni della forza lavoro e perdite di ricavi spingono molte realtà a proseguire su percorsi di riduzione delle emissioni e adattamento, nonostante le tensioni politiche che in alcuni Paesi frenano investimenti e piani di sostenibilità.

Un esempio concreto di come gli eventi meteo estremi stiano già colpendo il tessuto produttivo arriva dai dati del US Census Bureau, che mostrano l’impatto in tre aree metropolitane della Florida: Tampa, Miami e Orlando. Tra ottobre 2023 e giugno 2025, quasi due terzi delle aziende di Tampa hanno segnalato perdite economiche legate al maltempo, con un picco oltre il 60% tra fine 2024 e inizio 2025. A pesare sono stati in particolare gli uragani Helene e Milton, che hanno colpito la costa ovest della Florida durante la stagione degli uragani del 2024

Miami e Orlando hanno registrato percentuali più contenute, ma comunque significative: Miami si è mantenuta sotto il 20% di imprese colpite, mentre Orlando ha toccato punte oltre il 40% nello stesso arco temporale. Il grafico diffuso dal US Census Bureau evidenzia come questi dati siano calcolati su base mobile di tre mesi, offrendo un’indicazione chiara dell’impatto prolungato degli eventi estremi sull’economia locale.

Negli Stati Uniti, secondo Bloomberg Intelligence, il costo complessivo per far fronte a disastri naturali e necessità legate al cambiamento climatico ha raggiunto quasi 1.000 miliardi di dollari in un solo anno. Tra le minacce principali segnalate dalle aziende figurano ondate di calore estremo e tempeste, seguite da incendi e fumo, scarsità d’acqua, alluvioni e innalzamento del livello del mare.

Il fenomeno non riguarda soltanto gli Stati Uniti. In Canada, i vasti incendi hanno costretto all’evacuazione di progetti di estrazione delle sabbie bituminose in Alberta. In Sudafrica, Toyota ha avviato una causa da oltre 360 milioni di dollari per i danni subiti durante un’alluvione del 2022, mentre in Australia le aziende minerarie stanno ripensando le proprie attività per affrontare temperature sempre più elevate.

Il rapporto Morgan Stanley, per la prima volta, include anche Medio Oriente, Nord Africa e Sud America. In Sud America, quasi il 90% delle imprese prevede che il cambiamento climatico rappresenterà un rischio per i propri modelli di business entro la fine del decennio, con timori legati soprattutto alla disponibilità e ai prezzi delle materie prime e al rischio di obsolescenza dei processi produttivi. Paradossalmente, pur essendo tra le aree più vulnerabili, Medio Oriente e Nord Africa vedono nella sostenibilità anche un’opportunità concreta per generare nuovo valore.

Diversa la situazione in Nord America, dove l’instabilità politica è percepita come il principale ostacolo agli investimenti sostenibili. Secondo il rapporto, il 21% delle aziende nordamericane considera l’ostilità politica — alimentata in particolare dalle posizioni contrarie all’ESG di parte del fronte repubblicano — come una barriera alla transizione climatica. Questo clima ha spinto alcune imprese a praticare il cosiddetto “greenhushing”, ovvero a portare avanti obiettivi ambientali senza promuoverli pubblicamente, mentre altre hanno scelto di ridimensionare o addirittura abbandonare i propri target di riduzione delle emissioni.

Un contesto che, nel complesso, mostra come le imprese di tutto il mondo stiano già pagando il conto di un clima sempre più instabile, tra emergenze locali, strategie di adattamento e nuovi equilibri geopolitici ancora in divenire.