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L‘indebitamento del sud del mondo: un problema ricorrente



Il seguente contenuto è tratto dal Rapporto “Scenari per l’Italia al 2035 e al 2050” dell’ASviS. Lo studio costruisce quattro scenari relativi all’impatto della transizione ecologica sull’economia italiana, realizzati grazie alla collaborazione con Oxford Economics.

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La questione del debito dei Paesi in via di sviluppo aveva già catalizzato l’attenzione internazionale intorno al 2000, con le Campagne della società civile, l’appello del Papa e di molte personalità internazionali. Il problema ha le sue radici negli anni ’70, quando la prima crisi del petrolio provocò un’elevata inflazione in tutto il mondo e gli aumentati proventi della vendita del greggio, versati sui mercati finanziari, produssero un’ingente liquidità e fecero scendere i tassi di interesse. Nel 1979, per reagire all’inflazione amplificata dalla seconda crisi petrolifera, i governi di Stati Uniti e Regno Unito avviarono politiche neoliberiste alzando violentemente i tassi di interesse per raffreddare la domanda aggregata. Agli alti tassi di interesse così generati si aggiunse l’apprezzamento del dollaro, che gli USA ricercarono per ridurre il costo delle importazioni in tempo di crisi. Tassi di interesse elevati e valore del dollaro moltiplicato rispetto alle valute dei debitori resero letteralmente impagabili i contratti di debito, quasi tutti sottoscritti in dollari.

Alla crisi che scoppiò nel 1982, i Paesi ricchi risposero con prestiti erogati dai governi e dalle Istituzioni Finanziarie Internazionali, per mettere i debitori in condizione di sanare la loro esposizione con le banche ed evitare così una crisi finanziaria globale. Ai debitori venne dato più tempo per rimborsare, ma le nuove agevolazioni erano vincolate all’applicazione dei piani di aggiustamento strutturale, programmi di liberalizzazione selvaggia dell’economia definiti da FMI e Banca mondiale. I piani si rivelarono fallimentari, e alle soglie del 2000 le condizioni socioeconomiche dei Paesi in via di sviluppo non erano migliorate, mentre il peso del debito rimaneva insostenibile.

La sensibilizzazione creata dalle campagne della società civile condotte in quegli anni ottenne risultati rilevanti. Con l’iniziativa Hipc (Heavily indebted poor countries) una quarantina di Paesi a basso reddito ottenne cancellazioni del debito e numerosi Paesi a medio reddito poterono sottoscrivere operazioni di conversione del debito: il debitore versava su un fondo il denaro dovuto, che veniva utilizzato per finanziare interventi di lotta alla povertà all’interno del Paese. Il risultato più importante fu l’abrogazione dei piani di aggiustamento strutturale, sostituiti dalle Poverty reduction strategies (Prs), che richiedevano protagonismo dei governi locali (ownership) nella definizione dei programmi di sviluppo, trasparenza e partecipazione della società civile locale.

Le PRS aprirono la strada agli Obiettivi di Sviluppo del Millennio lanciati nel settembre 2000 che, al loro compimento, portarono nel 2015 al lancio dell’Agenda 2030. Si avviò inoltre un dibattito sulle regole per il prestito responsabile o prestito sostenibile, ma senza raggiungere un accordo vincolante.

I primi anni Duemila videro un netto miglioramento della situazione, con la definizione di molti accordi di riduzione del debito. A creare qualche incertezza fu l’ingresso di nuovi prestatori, privati e pubblici, che non sempre seguirono le regole concordate fra i prestatori pubblici tradizionali. Poiché molti Paesi erano nuovamente in condizione di indebitarsi, entrarono in gioco diversi creditori privati.

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E da parte pubblica assunse un ruolo importante la Cina, interessata all’approvvigionamento di materie prime nel Sud del mondo, che iniziò a offrire prestiti a condizioni favorevoli, “smarcandosi” dal dibattito sul prestito responsabile.

La situazione tornò a destare preoccupazione con la crisi del 2008, quando la contrazione dell’economia mondiale ridusse la raccolta fiscale dei governi, e per finanziare gli interventi a contrasto della crisi diversi Paesi ricorsero al debito. Ancora più violenta fu la crisi del Covid-19, che fermò per due anni l’economia in tutto il mondo, generando nuova spesa sanitaria e interventi straordinari di sostegno al reddito e di stimolo all’economia, in presenza di entrate fiscali in diminuzione: anche in questo caso, molti Paesi dovettero ulteriormente indebitarsi.

Negli anni successivi alla pandemia, infine, gli alti tassi di interesse, generati dalle politiche di con-trasto all’inflazione, hanno ulteriormente aggravato il peso del debito dei Paesi del Sud globale, che oggi si trovano di fronte a volumi del servizio del debito che non sono più sostenibili e richiedono un intervento urgente.



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