Due o tre forni elettrici alimentati dal gas fornito dalla rete Snam, niente impianto Dri e dunque migliaia di esuberi da gestire con cassa integrazione, incentivi all’esodo, pre-pensionamenti e altri strumenti di sostegno idonei a evitare la catastrofe sociale targata Ilva dopo quella sanitaria e ambientale.
È questo lo scenario più probabile per l’acciaieria tarantina alla vigilia dell’incontro convocato dal ministro per le imprese Adolfo Urso per martedì prossimo con tutte le parti coinvolte nell’accordo di programma per la città dei due mari.
«Noi abbiamo innanzitutto vogliamo sapere da Taranto cosa vuole fare. Insieme decideremo cosa avverrà a Taranto e cosa fare, per esempio, a Genova, come ovviamente auspicano gli locali, la Regione, i sindacali» ha detto ieri Urso, parlando con la Gazzetta a margine del forum in masseria organizzato da Bruno Vespa: «mi sembra naturale che in una fase di transizione verso la tecnologia green, anche il polo del nord, Genova, Novi Ligure e Racconigi, possa garantire l’approvvizionamento della nuova produzione. Questo – secondo Urso – ridurrebbe anche il costo ambientale, perché una cosa è trasferire con le navi il materiale da Taranto a Genova, una cosa è rendere autonomo il polo del Genova. In questo caso cosa potrebbe accadere? Che a Genova gli investitori che intendono operare e acquisire quello stabilimento intendano realizzare, per esempio, un forno elettrico.
Nel caso in cui – come pare – non si raggiungesse un accordo sulla presenza della nave rigassificatrice nel porto di Taranto bisogna trovare una soluzione alternativa, al centro ieri mattina di un vertice con il ministro dell’Ambiente Pichetto «in una riunione importante – ha spiegato Urso – anche con Snam affinché si possa capire quanto e comunque possa essere approvvigionato il sito di Taranto attraverso altre forme. Posso dire con certezza che ove non ci sia la nave rigassificatrice non ci possono essere Dri» mentre rispetto alla possibilità di costruire e installare forni elettrici ha aggiunto: «Dipende da alcune condizioni che vanno realizzate. Altra cosa è Genova dove esiste un’altra parte della cosiddetta ex Ilva altrettanto significativa e importante a Genova, Novi Ligure, Racconigi, siti che ambiscono ad avere una loro autonomia rispetto a Taranto».
«Creare un polo del Nord sull’acciaio è sicuramente un tema che oggi deve essere messo in campo perché è meglio avere un polo sul Nord Italia che non avere un polo che produce acciaio nel Paese. Ed è chiaro che le tecnologie devono essere tecnologie innovative e il tema del forno elettrico è importante» spiega il viceministro a Infrastrutture e Trasporti Edoardo Rixi parlando della situazione e delle prospettive dell’ex Ilva a margine del convegno a Genova su mare, logistica e underwater organizzato dalla Uilm. «Il problema è che a Taranto – spiega – si sta dimostrando, anche per speculazioni anche di alcune forze politiche, l’impossibilità di produrre acciaio. Quindi non c’è più l’intenzione dei privati di investire su Taranto e non c’è garanzia del pubblico che possa investire». E visto che l’Italia, aggiunge, non può non produrre acciaio, serve un’alternativa. «L’Italia – dice Rixi – se vuole continuare a essere la prima o la seconda economia manifatturiera europea ha la necessità di disporre di acciaio. Questo deve essere fatto garantendo investimenti nell’ordine di 2-3 miliardi di euro sugli attuali siti produttivi, tra cui Genova, e trovare una disponibilità tra pubblico e privato per il rilancio del settore dell’acciaio. Abbiamo poco tempo per riuscire a fare in modo che il nostro Paese continui a produrre acciaio per le nostre filiere industriali». «Non è una scelta del governo – prosegue il viceministro -. Sarebbe stato moto più facile revampare l’attuale sito di Taranto e continuare a produrre acciaio a Taranto ma mi sembra, non per volontà del governo, sia diventato impossibile».
Dopo l’incontro del primo luglio a Bari sul futuro dell’ex Ilva, l’Aigi Taranto – che rappresenta 65 aziende dell’indotto con circa 4.500 lavoratori – infine ha formalizzato in una lettera inviata a Ministeri, Regione ed enti locali la propria posizione sull’Accordo di Programma. A firmarla è il presidente Nicola Convertino. Secondo l’associazione, «Acciaierie d’Italia è strategica per l’Italia e insostituibile per il Pil pugliese: non se ne può mettere in discussione la sopravvivenza», anche alla luce degli investimenti ambientali già effettuati. La sfida, per Aigi, è coniugare continuità produttiva, sostenibilità economica e decarbonizzazione.
La proposta è puntare su tre forni elettrici e due impianti DRI alimentati a metano, con possibilità di transizione all’idrogeno verde. Per contenere i costi, l’associazione ipotizza l’uso temporaneo di una nave rigassificatrice, in attesa di infrastrutture definitive. Aigi chiede che l’accordo di programma sia reso operativo attraverso «una legge speciale per Taranto che lo renda inattaccabile e garantisca certezze a investitori e mondo del credito», con poteri straordinari a commissari sul modello Genova e il coordinamento degli iter autorizzativi affidato ai Ministeri. Tra le condizioni poste anche la statizzazione temporanea o una golden power rafforzata, un cronoprogramma chiaro (“primo forno già nel 2026, altiforni demoliti entro il 2035”) e opere compensative per i territori, tra cui royalties, investimenti pubblici, infrastrutture, sostegno allo sport locale e tutela dell’indotto, penalizzato da anni di crisi.
Intanto la vecchia Ilva per alcuni giorni sarà di fatto spenta per la fermata temporanea dell’altoforno 4, l’unico in funzione nell’acciaieria a ciclo integrale.
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