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Foti, perché il governo dice no al Fondo unico europeo


Si torna a parlare con urgenza di Fondo unico europeo, ossia una modalità per semplificare l’uso delle risorse economiche tra gli Stati membri dell’Ue. Al Forum in Masseria di Manduria il ministro per gli affari europei Tommaso Foti ha aperto la discussione mettendo subito sul tavolo la questione. Ha spiegato che un simile schema rischierebbe di penalizzare l’Italia, sia per come verrebbero distribuite le risorse sia per il futuro dell’agricoltura.

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Il ministro ha dato così il via a un dibattito che tocca da vicino cittadini e territori, facendo capire quanto il tema non sia solo tecnico ma anche profondamente concreto per la vita delle persone.

La posizione del governo italiano sul Fondo unico europeo

Non è la prima volta che il governo si espone negativamente sul tema. Il Fondo unico europeo viene criticato perché, eliminando risorse dedicate alla coesione e alla PAC (Politica Agricola Comune), rischierebbe di ridurre la capacità di supportare le regioni più fragili e agricoltori, imponendo vincoli uniformi che minano flessibilità e sviluppo locale.

Foti durante il suo intervento ha definito questa una delle questioni più urgenti su cui il governo sta cercando di far valere la propria voce a Bruxelles, illustrando ai presenti le ricadute di un simile orientamento sulle persone e sui territori.

Il ministro ha poi sottolineato che “C’è una spaccatura abbastanza evidente tra Paesi che godono non solo di quelle risorse”, perché ci sarebbe un divario tra chi riceve maggiori benefici dai programmi comunitari e chi invece spinge per nuove regole. La coesione, ha ricordato, nasce proprio per colmare le distanze economiche e sociali all’interno delle aree più svantaggiate.

Sud e nord: la ripartizione interna dei fondi

Foti ha ricordato che oggi la distribuzione delle risorse europee è pensata per aiutare soprattutto il Sud, che riceve circa l’80% dei fondi lasciando al Centro-Nord la parte restante.

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Una scelta, ha spiegato, dettata dall’esigenza di ridurre disuguaglianze storiche e avvicinare infrastrutture e servizi meridionali agli standard delle regioni più sviluppate. Questa logica mirata rischierebbe di saltare con un Fondo unico europeo, che appiattirebbe la ripartizione e lascerebbe indietro proprio chi ha più bisogno di investimenti mirati per colmare i divari.

Cosa e chi sono i “Paesi frugali”

Un passaggio dell’intervento è stato dedicato alle divergenze con i cosiddetti Stati frugali, che vorrebbero concentrare tutte le risorse in un unico fondo da gestire autonomamente. Foti ha messo in guardia:

“Vi sono posizioni diverse da parte dei Paesi frugali che pensano a un unico fondo all’interno del quale ogni Paese decide come impiegarlo”.

Ma chi sono questi paesi? Tradizionalmente comprendono:

  • Austria;
  • Danimarca;
  • Paesi Bassi;
  • Svezia.

In passato si sono affiancati anche Finlandia e altri paesi dell’asse settentrionale europea, ma il gruppo “core” è costituito dai primi quattro.

Rischi per la politica agricola e la programmazione nazionale

Foti ha spiegato che se si applicasse una logica di Fondo unico anche alla Pac, le politiche agricole rischierebbero di essere irreggimentate da una serie di obiettivi e vincoli comuni, riducendo drasticamente la capacità dell’Italia di pianificare interventi su misura.

Ha poi fatto capire che Roma non intende rinunciare alla propria autonomia decisionale e continuerà a difendere una programmazione flessibile e vicina alle esigenze dei territori.





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