Moda Toscana, le risorse ci sono ma non bastano: servirebbe un cambio di rotta nella strategia regionale
La moda in Toscana non è solo un comparto economico, distintivo al pari del David o del paesaggio è identità, storia, manifattura d’eccellenza.
Eppure oggi, tra la morsa dell’instabilità internazionale, l’impennata dei costi energetici, la delocalizzazione delle grandi maison e la contrazione degli ordini, questo pilastro vacilla
I dati sono impietosi: nel primo semestre 2025, la produzione ha segnato un nuovo calo a doppia cifra e l’export ha subito un contraccolpo evidente nei distretti chiave di Prato, Empoli, Scandicci e Valdarno.
La Regione Toscana ha cercato di rispondere. E non si può dire che sia rimasta a guardare perché ovviamente il settore è vitale per la tenuta sociale di molte aree.
Sono stati stanziati circa 103 milioni di euro tra fondi europei e regionali per rilanciare la filiera: due bandi importanti – uno per l’innovazione nelle singole imprese, l’altro per i progetti di filiera – e un fondo da 10 milioni per gli investimenti azionari nelle PMI. Più di recente, anche una variazione di bilancio ha liberato ulteriori 39 milioni per sostenere il sistema moda
Senza contare il tavolo permanente di crisi che ha coinvolto sindacati, imprese e banche.
Ma allora perché la situazione continua a peggiorare?
Forse perché – come accade spesso in Italia – anche questa volta si è affrontato un problema strutturale con strumenti emergenziali e eccessivamente burocraticizzati. I bandi sono importanti, certo, ma non bastano se arrivano tardi, complicati e se sono difficili da intercettare per le microimprese, se non si accompagnano a una visione industriale di lungo periodo.
La verità è che il settore moda in Toscana, oggi, ha bisogno di molto più di un salvagente: ha bisogno di una rotta di originalità di ritrovare quella freschezza e ingegno che ne caratterizzarono il successo negli anni d’oro
E questa rotta non può che partire da un ripensamento profondo delle priorità del bilancio regionale, una Regione che spende troppo e tassa troppo.
Serve più coraggio. Serve una politica industriale vera, che riduca burocrazia e tolga risorse all’ assistenzialismo fine a se stesso.
Bisogna stabilire che settori strategici come la moda – insieme ad agritech, cultura e turismo innovativo – non possono dipendere da bandi a tempo o variazioni di bilancio occasionali
Serve una quota stabile e strutturale di risorse pubbliche, ogni anno, dedicate alla competitività, all’export, alla formazione sartoriale 4.0.
Occorre introdurre incentivi fiscali regionali che rendano più conveniente restare, investire e assumere in Toscana. Vanno ripensati i sistemi formativi, rendendo agili e personalizzati i percorsi per giovani artigiani, per chi lavora nel design, nei macchinari, nel digitale.
E poi bisogna tagliare dove si spreca. Ci sono capitoli di spesa regionale – consulenze esterne, progetti duplicati, infrastrutture mai completate – che potrebbero essere almeno in parte riallocati verso quei comparti che ancora possono attrarre investimenti internazionali e generare posti di lavoro qualificati
La moda, se sostenuta con intelligenza, è uno di questi.
Infine, va ridato slancio anche alle infrastrutture fieristiche e logistiche: se vogliamo che la Toscana torni a essere vetrina del Made in Italy nel mondo, dobbiamo rendere più attrattivi i nostri eventi, più efficienti i collegamenti, più competitivo l’ecosistema.
Non è solo una questione economica
È una scelta politica. Sostenere la moda toscana significa proteggere il patrimonio manifatturiero che ha reso grande questa regione. Significa difendere una visione di sviluppo che mette al centro il saper fare, l’identità, la qualità. Ma bisogna farlo adesso. Con strumenti adeguati. Con più lungimiranza.
E con il coraggio di dire che alcune spese vanno tagliate per investire dove davvero serve
Perché senza imprese, siamo anche senza lavoro, senza giovani attratti da questi mestieri, anche la bellezza – quella su cui tanto puntiamo – rischia di diventare solo una vetrina vuota.
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