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Porti per il vento: l’Italia lancia Augusta e Taranto come cantieri dell’eolico offshore


Il governo accelera sulla transizione energetica dal mare. Con la firma del decreto interministeriale Mit–Mase–Mef del 4 luglio 2025, l’Italia mette ufficialmente in moto il piano per dotarsi di due hub cantieristici nazionali dedicati all’eolico offshore galleggiante, individuando nei porti di Augusta (Siracusa) e Taranto i siti strategici per produrre, assemblare e varare le grandi strutture galleggianti che ospiteranno le turbine in mare aperto.

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Il decreto, siglato dai ministri Salvini, Pichetto Fratin e Giorgetti, prevede un investimento iniziale di 78,3 milioni di euro spalmato su tre annualità (2025-2027), finanziato tramite i proventi delle aste CO₂. Serviranno per realizzare dragaggi, rinforzare le banchine, creare piazzali industriali e adeguare la logistica alle esigenze di una filiera energetica ancora tutta da costruire nel nostro Paese.

Augusta e Taranto sono state scelte sulla base di criteri tecnici ben precisi: profondità dei fondali (oltre 12 metri), disponibilità immediata di aree ampie (fino a 300.000 m²), presenza di collegamenti ferroviari e accessi stradali efficienti. In particolare, Augusta ha già oltre 220.000 m² pronti all’uso. Taranto, con Brindisi come retroporto, è stato designato “polo strategico nazionale”.

Secondo Aero (Associazione delle Energie Rinnovabili Offshore) si tratta di una svolta attesa da anni. “Questa firma arriva a sole 24 ore dal nostro appello presso la Camera dei deputati”, ha dichiarato il presidente Fulvio Mamone Capria. “È il primo passo concreto per trasformare l’Italia in un hub industriale dell’eolico nel Mediterraneo”. Aero ha anche ricordato che lo sviluppo del settore offshore galleggiante potrebbe generare fino a 62 miliardi di euro di valore aggiunto e oltre 11.000 nuovi posti di lavoro diretti.

L’Italia punta su una tecnologia – il galleggiante – adatta alle profondità del nostro mare e più versatile del tradizionale eolico fisso, ma che richiede un’ingegneria sofisticata e una filiera industriale pesante. Finora, la mancanza di infrastrutture portuali idonee ha costretto le imprese italiane a rivolgersi all’estero per la fabbricazione e l’assemblaggio delle strutture. Con il decreto, si crea finalmente una base nazionale per lo sviluppo del settore.

Il tempismo è strategico: entro l’autunno è previsto un secondo decreto per definire nel dettaglio la ripartizione dei fondi, mentre si attende l’avvio delle aste FER2 per assegnare i primi 3,8 GW offshore. Un passaggio fondamentale per rendere operativo il piano.

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La sfida è ora passare dai proclami alle opere. I fondi – 78 milioni in tutto – coprono solo una parte dei costi stimati per rendere pienamente operativi i due scali. Solo Augusta potrebbe richiedere investimenti prossimi ai 50 milioni. La tempistica è serrata: le gare d’appalto per i lavori dovranno essere bandite entro fine 2025 per rispettare il calendario di montaggio degli impianti tra 2027 e 2028.

Il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini ha definito il provvedimento “storico”, sottolineando come con questa mossa l’Italia si candidi a guidare la transizione energetica nel Mediterraneo. Anche il ministro dell’Ambiente Pichetto Fratin ha sottolineato la valenza strategica dell’iniziativa per lo sviluppo sostenibile e la decarbonizzazione.

Il decreto non basta da solo a far decollare l’eolico marino italiano, ma rappresenta una premessa concreta. Il prossimo passo sarà rafforzare la filiera industriale nazionale: servono carpenterie, acciaierie, competenze ingegneristiche, gru capaci di sollevare carichi colossali e infrastrutture digitali per la gestione e la manutenzione degli impianti. Ed è in questa direzione che puntano gli operatori del settore.

“Accogliamo con grande favore la scelta del Mase dei porti di Brindisi e Taranto per la realizzazione di uno dei due hub per lo sviluppo dell’eolico offshore in Italia”, ha dichiarato Ksenia Balanda, direttore generale della jv Nadara- BlueFloat Energy che sta proponendo al largo delle coste pugliesi due parchi eolici galleggianti, Kailia e Odra. “Si tratta di due scali strategici per la loro posizione e per lo sviluppo di un’importante filiera produttiva che sarà in grado di dare nuovo impulso all’economia pugliese e di tutto il sud Italia. La costruzione degli impianti eolici offshore è molto complessa, necessita di numerose tipologie di imprese e moltissime professionalità che bisognerà reperire soprattutto dal territorio: per ciascuno dei due parchi eolici galleggianti che stiamo proponendo in Puglia, prevediamo di occupare 1.500 persone con picchi di 4.000 durante la fase di costruzione e 150 addetti alla manutenzione durante l’esercizio trentennale”.

Con il Mediterraneo sempre più centrale nello scenario energetico europeo e gli obiettivi climatici del 2030 ormai dietro l’angolo, l’Italia sembra dunque essersi finalmente decisa a giocare la partita dell’eolico offshore. Anche perché a favore delle rinnovabili gioca anche l’incertezza sui dazi e la necessità di dare una maggiore autonomia all’Europa su vari fronti.

“Di fronte a una nuova corsa al riarmo in Europa, dentro vincoli economici rigidi e risorse pubbliche limitate, il rischio è sacrificare la transizione energetica, trattandola come un costo”, ha aggiunto Toni Volpe, ad di Nadara. “In realtà, è un investimento strategico di sicurezza nazionale: le rinnovabili riducono la dipendenza dal gas russo, l’energia decentralizzata rafforza la resilienza dei territori, le reti intelligenti sono asset di sicurezza tanto quanto radar e droni. Dobbiamo quindi guardare non solo alla sicurezza militare, ma anche a quella energetica e a quella climatica, andando a proporre una visione strategica unificata che permetta di investire in sicurezza e sostenibilità in modo coordinato, ambizioso e strutturale”.



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