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Riarmo e Guerre: Scopri il Grande Rischio per le Imprese Italiane!


Tra tensioni commerciali, conflitti globali e crescenti budget per la difesa, l’orizzonte delle aziende italiane è carico di incertezze

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La scadenza del 9 luglio per le negoziazioni sui dazi si avvicina, mentre il conflitto durato 12 giorni che ha visto coinvolti Israele, Stati Uniti e Iran ha causato instabilità nei prezzi delle materie prime energetiche, aggravando l’incertezza sul panorama internazionale.

I paesi coinvolti in questi conflitti rappresentano il dieci percento del valore dell’export italiano e oltre il quaranta percento delle importazioni di energia. L’incremento delle spese per la difesa, richiesto dalla nuova politica della NATO, potrebbe limitare gli investimenti pubblici, minando la capacità di reazione della politica fiscale ai cicli economici. Le complesse relazioni transatlantiche espongono l’economia europea a significativi rischi, la cui portata sarà chiarita dall’esito delle trattative sui dazi.



Il panorama internazionale turbolento si riflette in una diminuzione della fiducia nelle imprese manifatturiere europee, un trend negativo scatenato dall’annuncio dei dazi ad aprile da parte della presidenza degli USA. In Italia, l’incertezza influisce anche sui consumatori e sulla spesa delle famiglie italiane, che si prevede cresca dell’1,0% quest’anno, ma che nel primo trimestre del 2025 si è fermata a un incremento dello 0,6%, mentre nei primi quattro mesi del 2025 le vendite al dettaglio hanno registrato un calo dell’1,2% su base annua, peggiorando rispetto alla stagnazione (-0,4%) del 2024.


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La crisi in Medio Oriente con la guerra dei 12 giorni e i recenti scontri tra India e Pakistan hanno ampliato le zone del mondo interessate da conflitti. Questi includono i paesi del Medio Oriente, alcuni vicini come Egitto, Libia e Turchia, i paesi coinvolti nel conflitto russo-ucraino, oltre a India e Pakistan. Nel complesso, in questi venticinque mercati nel 2025 (ultimi dodici mesi a marzo), le esportazioni italiane ammontano a 61,4 miliardi di euro, pari al 9,8% dell’esportazione totale e il 19,9% delle esportazioni extra UE.



Un’instabilità geopolitica crescente potrebbe compromettere la ripresa dell’export italiano (+2,5% nei primi quattro mesi del 2025), già a rischio in caso di esito negativo delle trattative sui dazi, rallentando il tentativo di recupero del settore manifatturiero. Le conseguenze per le imprese italiane di questo scenario turbolento sono analizzate nel 34° report congiunturale dell’Ufficio Studi di Confartigianato, presentato oggi.

L’Italia mostra una forte dipendenza energetica dalle aree più coinvolte nei conflitti, con importazioni di petrolio e gas naturale da diciassette dei venticinque paesi analizzati nel 2025 che ammontano a 27,6 miliardi di euro, rappresentando il 40,7% degli acquisti energetici dall’estero. Questa dipendenza, sebbene in calo (era del 64,0% nel 2021) a seguito della riduzione delle forniture di gas e petrolio dalla Russia, rimane significativa.

Le tensioni nello stretto di Hormuz – Durante la guerra dei 12 giorni si è profilata la possibile chiusura dello stretto di Hormuz, un passaggio critico che, secondo i dati Eia, permette il transito di un quarto del commercio mondiale di petrolio marittimo e un quinto del gas naturale liquefatto (GNL). Una tale interruzione danneggerebbe soprattutto le economie manifatturiere dell’Asia. Dai paesi che si affacciano sul Golfo Persico, attraverso lo stretto di Hormuz, l’82,1% dell’esportazione di petrolio e il 78,1% del GNL è diretto in Asia, mentre solo l’11,5% del petrolio e il 16,5% del GNL è destinato all’Europa.

Per l’Italia, il transito attraverso lo stretto di Hormuz riguarda importazioni di energia per 9,6 miliardi di euro, pari al 14,2% del totale, di cui 3,9 miliardi di petrolio raffinato, oltre a 3,3 miliardi di euro di petrolio greggio e 2,5 miliardi di euro di GNL provenienti dal Qatar.

L’Unione europea ha lanciato un piano per il riarmo e, nel recente summit, la NATO ha aumentato il target di spesa per la difesa al 5% del PIL. Per l’Italia, le possibilità di manovra della politica fiscale sono molto limitate. Come indicato nelle ultime raccomandazioni della Commissione europea, l’incremento della spesa per la difesa deve avvenire rispettando i tassi massimi di crescita della spesa netta, al fine di risolvere la situazione di deficit eccessivo. L’Italia si è impegnata per un tasso di crescita annuo medio della spesa primaria netta pari all’1,5% nel periodo 2025-31.

L’aumento della spesa per la difesa in Italia accresce i rischi di sostenibilità del debito mentre l’effetto moltiplicativo è limitato da una quota eccessiva di armamenti importati e da una spesa elevata per il personale militare e civile.

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Un incremento della spesa per la difesa, quindi, necessita di essere finanziato con tagli ad altre voci di spesa o con aumenti di entrate. Considerando i capitoli di spesa pubblica più rigidi – interessi sul debito, personale pubblico, pensioni, salute e ora anche la difesa – il vincolo alla crescita della spesa potrebbe spostare gli investimenti pubblici e mettere a rischio il finanziamento di interventi a favore delle attività economiche e per la tutela del territorio.

Per gli interventi di revisione della spesa, è possibile agire su un totale di 378,9 miliardi di euro, il 33,1% della spesa pubblica italiana, di cui 54,8 miliardi destinati agli investimenti, pari all’81,5% di questa categoria di spesa. Un taglio degli investimenti avrà impatti più gravi dal 2027, al termine del supporto fornito dal Pnrr. Più della metà della spesa soggetta a tagli si concentra sulle politiche industriali, sugli interventi anti-ciclici e su quelli per le abitazioni e l’assetto del territorio, quest’ultimo essenziale per prevenire gli effetti del cambiamento climatico.

La crisi delle relazioni transatlantiche in materia di commercio e difesa ha un impatto significativo sull’economia europea. Considerando la revisione al ribasso delle previsioni della Commissione europea sulle esportazioni dopo l’annuncio della guerra dei dazi e la maggiore spesa per la difesa necessaria per rispettare i nuovi obiettivi NATO e per compensare la riduzione del sostegno all’Ucraina da parte degli Stati Uniti, per i paesi dell’UE si profilano risorse per 387 miliardi di euro all’anno, pari al 2,2% del PIL europeo.

Un esito delle negoziazioni sui dazi previsto per il 9 luglio – su cui la Casa Bianca ha segnalato alla Commissione europea una possibile proroga – che stabilisca una tariffa reciproca del 10% potrebbe limitare i danni sull’economia europea e italiana. Un dazio di questa entità, secondo le valutazioni del Mimit, avrebbe un impatto del 6,5% sull’export italiano negli Stati Uniti.

Nostre elaborazioni su dati della Commissione europea, Energy Institute, Eurostat, Kiel Institute, Istat, Mef e Mimit.

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