La Silicon Valley in Valtellina: l’idea è di Fabrizio Capobianco, partner di The Liquid Factory che, dopo oltre 20 anni di esperienza in Silicon Valley, lancia in Valtellina, con Banca Popolare di Sondrio, una “fabbrica di startup”.
Come funziona una fabbrica di start up?
Stiamo cercando di creare qualcosa di unico: una vera e propria fabbrica di startup in Valtellina, con l’obiettivo di generare “unicorni”, aziende che valgono un miliardo di dollari. La nostra missione è attrarre talenti da tutta Europa, farli lavorare con noi per alcuni mesi e poi aiutarli a insediarsi nella Silicon Valley, creando aziende “liquide” con il quartier generale in California, ma con la maggior parte del team in Italia, magari proprio in Valtellina.
Qual è il supporto che offrite agli aspiranti giovani imprenditori?
Noi investiamo 200mila euro in giovani talenti e li guidiamo, con la nostra esperienza, verso i migliori acceleratori del mondo che si trovano prevalentemente nella Silicon Valley. Ci concentriamo su startup tecnologiche e innovative, con un alto potenziale di crescita e di internazionalizzazione. Tutto questo è stato possibile grazie a un finanziamento di quattro milioni di euro dalla Banca Popolare di Sondrio, che ha creduto nella nostra visione di portare innovazione in Valtellina e attrarre giovani da ogni parte d’Europa.
Come avviene il processo di selezione e quali sono i profili dei primi imprenditori che avete scelto?
Per candidarsi è sufficiente compilare un modulo on line, senza alcun costo. Il primo gruppo di quattro imprenditori, che noi chiamiamo “batch”, è stato selezionato entro lo scorso 31 ottobre su 181 domande arrivate e ha iniziato a gennaio 2025.
Siamo molto contenti dell’interesse che la nostra iniziativa sta suscitando in Europa e in Italia. L’anno scorso il 25% delle domande proveniva dall’estero, il 75% dall’Italia, quest’anno la proporzione sembra sia quasi capovolta, ma è presto per una stima, stiamo vagliando ora le proposte, ma abbiamo ricevuto ancora più candidature. I quattro imprenditori scelti per il primo batch sono due ragazzi e due ragazze che lavoravano tutti fuori dall’Italia. Due sono italiani, uno lavorava a Londra e l’altro si è laureato in California a Berkeley; le altre due ragazze sono una polacca e una egiziana con passaporto italiano, lavoravano rispettivamente in Svizzera e a Barcellona.
Che tipo di supporto ricevono presso The Liquid Factory in Valtellina?
I giovani selezionati trascorrono tre mesi in Valtellina per la formazione, con uffici gratuiti e appartamenti con cucina propria, quindi senza alcun costo per loro. I 200mila euro che riceve ogni progetto servono per sviluppare l’idea, creare l’azienda, assumere dipendenti e sostenere le proprie spese. La presentazione del progetto poi avviene nella Silicon Valley che offre possibilità che in Italia non esistono. Tutti noi undici soci di The Liquid Factory abbiamo tutti vissuto o ancora lavoriamo nella Silicon Valley. Io stesso ho trascorso 23 anni lì e sono tornato in Italia ma ho capito che il mercato del venture capital italiano non funziona: abbiamo i capitali per iniziare, ma mancano i fondi per la crescita e, soprattutto, gli acquirenti per le “exit”.
C’è infatti un alto tasso di “mortalità” delle startup o meglio una difficoltà a strutturarsi e a crescere: è un fenomeno “naturale” oppure è dovuto alla situazione italiana?
Il problema principale in Italia è il contrario alla mortalità naturale delle start up e cioè “non si può fallire”. C’è l’idea del “piccolo è bello”, che è un errore in un mondo dove le aziende crescono velocemente. Non si può competere con i giganti se si rimane piccoli. In Italia le startup non “muoiono” abbastanza. Negli Stati Uniti un fondo di venture capital investe in dieci aziende sapendo che sette falliranno, due rientreranno nell’investimento e una invece crescerà tantissimo, ripagando tutte le altre. Nel nostro Paese, invece, per la paura di ammettere il fallimento, molte startup diventano “zombie”, aziende che non generano ritorno per gli investitori. In Italia le startup si “piemmeizzano”, ovvero diventano delle piccole e medie imprese, l’incubo di un investitore di venture capital. Direi che il 90% di quelle che in Italia chiamiamo startup in realtà non lo sono: una startup deve avere un alto rischio e un alto potenziale, deve puntare a una crescita esponenziale e deve poter fallire. Con The Liquid Factory uno dei nostri scopi è proprio quello di “ucciderne” una o due su sedici, per dare ai ragazzi l’opportunità di imparare dall’errore e riprovarci, piuttosto che trascinare un’idea che non funziona.
I progetti favoriti sono spesso proposti da giovanissimi, perché?
Le aziende che cambiano il mondo nascono spesso da giovani perché hanno una visione che è unica. Tendiamo a investire in ragazzi molto giovani, uno dei quattro scelti aveva 21 anni quando lo abbiamo selezionato. Questo perché gli “unicorni” nascono spesso da imprenditori di questa fascia d’età, in particolare nel mondo della tecnologia e dell’innovazione. Hanno un’energia diversa, vedono il mercato con occhi nuovi e capiscono il futuro meglio di chi è più anziano. In Italia, invece, spesso si dice ai giovani di fare esperienza e stage per apprendere, rimandando il momento di rischiare. La bellezza di fare startup è il rischio e non c’è niente di meglio che farlo quando non si ha ancora nulla da perdere, a 21, 22 o 23 anni. Nel peggiore dei casi, si impara moltissimo e si trovano altre startup disposte ad assumere.
Le nuove start up che accompagnerete saranno sempre focalizzate sull’Hi-Tech e come possono svilupparsi in Valtellina, lontano dai centri urbani di innovazione digitale?
Tutte le idee che selezioniamo sono relative all’Hi-Tech. Delle quattro già selezionate, tre erano basate sull’intelligenza artificiale e una sulle criptovalute. Siamo riusciti a dimostrare che, con il nostro aiuto, in tempi rapidi, si riesce a creare un prodotto e avere dei clienti paganti, anche dalla Valtellina. Il futuro della Valtellina, un posto bellissimo in mezzo alla natura, è proprio quello di attrarre persone da fuori che vogliono fare impresa. Dopo il Covid-19, l’unica cosa che serve per un’azienda tecnologica innovativa è la fibra ottica e a Sondrio c’è. Se la qualità della vita è al primo posto e il lavoro al secondo, questo è il posto giusto per fare impresa. Io, valtellinese, non avrei mai pensato di tornare qui a lavorare, ma ora lavoro da remoto per un’azienda della Silicon Valley.
Oltre a occuparsi di The Liquid Factory, continua il suo lavoro, come concilia le due attività?
Sì, ho un lavoro a tempo pieno. Noi di Liquid Factory siamo tutti partner a tempo parziale e lo facciamo per la passione di restituire qualcosa al nostro territorio e ai giovani. Gli americani dicono: i primi 25 anni si impara, i secondi 25 si fanno i soldi e gli ultimi 25 si “restituisce”. Ho avuto la fortuna di vivere fino a cinquant’anni nella Silicon Valley e sono tornato nella mia valle per cercare di dare qualcosa di ciò che ho imparato facendo impresa in America.
Ora il mondo è cambiato e si può fare anche dalla Valtellina, che è vicina a tutto, a mezz’ora dal lago di Como e a tre aeroporti in meno di due ore. Un po’ come Denver, in Colorado, che è diventata un centro di innovazione tecnologica. Molti stanno lasciando la Silicon Valley per la scarsa qualità della vita, cercando luoghi dove poter fare impresa in un posto più bello.
Abbiamo l’opportunità di attrarre persone che non solo vengono in vacanza, ma che vengono qui per lavorare, perché se possono farlo ovunque, perché non farlo in un luogo bellissimo? Abbiamo bisogno di attrarre cervelli che portino idee, entusiasmo e magari qualche impresa di rilievo.
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