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AIUTI UE AL VINO SUDAFRICANO/ 15milioni ad aziende “inclusive”, uno schiaffo all’Italia e un favore alla Cina


Bruxelles non trova di meglio da fare che finanziare il vino sudafricano prodotto da imprese inclusive. Lo prevede un accordo tra Ue e Sudafrica

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Quanto è generosa mamma Europa! Trova anche il tempo di occuparsi della produzione vitivinicola e ritiene quindi suo dovere aiutare i produttori destinando una buona somma – 15 milioni di euro – per lo sviluppo della viticultura.

Peccato che questi 15 milioni di fondi europei non siano stati stanziati per difendere o migliorare le coltivazioni in Europa, ma per sovvenzionare l’industria vinicola sudafricana “inclusiva”, ovvero che favorisca la proprietà e le produzioni di persone di colore e di donne sulla base di un accordo di libero scambio tra l’Unione Europea e il Sudafrica.



L’annuncio ha suscitato proteste a cominciare dalla comunità vinicola francese, ma si è estesa in questi giorni a tutto il mondo agricolo del continente, che soffre un momento di difficoltà per il calo del consumo di vino, i dazi Usa e – non potevano mancare – gli effetti del cambiamento climatico e di riscaldamento globale.


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È un finanziamento che nasce dall’applicazione di una clausola dell’accordo di libero scambio firmato tra l’Unione Europea e il Sudafrica nel 2002 e che stabilisce quote per “facilitare l’accesso al mercato comunitario per i vini sudafricani”.

In concreto, oltre a concedere finanziamenti a fondo perduto per appunto 15 milioni di euro, si esentano dai dazi doganali di importazione 35,3 milioni di litri di vino importati dal Sudafrica.

Questo accade quando la stessa UE prevede, secondo un rapporto recentemente pubblicato, che il consumo di vino negli Stati membri diminuirà annualmente dell’1% comportando una riduzione del consumo da una media di 22,3 litri pro capite quest’anno fino ai 19,8 litri nel 2035.



Appare evidente come a Bruxelles ci sia almeno poca coerenza, perché chi ha frequentato il Sudafrica avrà notato come negli negli ultimi anni all’ingresso di molte aziende, come pure delle splendide vigne della zona del Capo (dove la viticoltura è praticata da oltre tre secoli), molto spesso di fianco alla bandiera sudafricana si nota quella cinese.

Infatti in Sudafrica i cinesi sono considerati “non bianchi” e quindi non oggetto delle discriminazioni razziali che colpiscono i vecchi colonizzatori.

In vent’anni il Sudafrica (che fa parte dei BRICS) è così diventato un concreto avamposto di Pechino, che ne ha fatto un trampolino economico per l’intero continente africano.

Questo gesto finanziario europeo, volto a promuovere una “crescita inclusiva”, se quindi ufficialmente vorrebbe favorire progetti guidati da persone di colore, donne e giovani imprenditori, in particolare fornendo loro accesso alle infrastrutture, di fatto rischia di diventare un regalo alla Cina, altro che “inclusività sociale”.

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Il mondo agricolo è in fermento. Per esempio il Consorzio di tutela dei vini Etna Doc esprime fermo dissenso nei confronti della recente decisione dell’UE. Una misura definita “incoerente e contraddittoria” in un momento in cui le imprese agricole europee, in particolare quelle italiane e siciliane, affrontano gravi difficoltà legate a crisi climatica, concorrenza internazionale e costi produttivi in aumento.

Il Consorzio auspica un immediato cambio di rotta da parte della Commissione europea, chiedendo una politica “coerente, chiara e coraggiosa a difesa del vino europeo, dei suoi territori e dei suoi valori”.

Maurizio Lunetta, direttore del consorzio citato, non usa mezzi termini: “Questa misura rappresenta un delirio politico e culturale. L’Europa dovrebbe sostenere le proprie denominazioni, i territori che custodiscono biodiversità e storia, i produttori che investono in sostenibilità e qualità”.

Secondo Lunetta, si tratta di “scorciatoie geopolitiche” che disorientano i consumatori e mettono a rischio l’identità agricola europea.

In concreto, oltretutto, finanziare la filiera vitivinicola sudafricana significa indebolire ulteriormente la nostra, tenuto anche conto dell’aumento di arrivi sul mercato europeo di vini a basso prezzo ormai prodotti in mezzo mondo: Australia, Nuova Zelanda, Cile, Argentina e perfino dagli USA.

Se in Italia ci si limita alle proteste verbali, quelli che stanno già rumoreggiando e si apprestano a scendere in piazza sono i viticoltori francesi, che si oppongono fermamente a questi sussidi considerandoli un’ingiustizia, soprattutto in un momento in cui il loro settore sta attraversando una crisi senza precedenti.

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