Pur in un contesto globale segnato da incertezze geopolitiche e crescita economica moderata, e nonostante problemi interni di carattere strutturale come l’elevato debito pubblico, l’Italia si conferma attrattiva per gli investitori esteri. Complici il miglioramento dei rating e l’aumento della fiducia internazionale.
Debito pubblico: il ritorno degli investitori internazionali
Nel 2024, la quota di debito pubblico detenuta da soggetti non residenti è salita al 31,1%, pari a 923,8 miliardi di euro, con un incremento di 130 miliardi in dodici mesi. Il trend si è rafforzato anche nei primi mesi del 2025, con una quota che ha toccato il 31,6%. Nei più recenti collocamenti, la partecipazione di investitori esteri ha raggiunto l’80% dei controvalori emessi, coinvolgendo oltre 30 Paesi. Il tutto nonostante i piani del governo per accrescere la quota di debito pubblico in mano alle famiglie.
I numeri delle banche estere presenti in Italia
A fine 2024, su 420 istituti bancari attivi in Italia, ben 76 erano a capitale estero (il 18,5% del totale). Pur con una rete di sportelli in calo, queste banche mostrano solidità operativa e dinamismo, puntando su modelli di business specializzati: corporate & investment banking in primis, seguito da advisory, credito, gestione patrimoniale e investimenti. La quota di mercato nei prestiti alle imprese è al 7%, mentre nel credito al consumo la presenza estera sfiora il 14%. Le filiazioni di grandi gruppi europei detengono l’8,2% degli asset bancari italiani, con una penetrazione dell’11% nei prestiti alle imprese e del 17,7% alle famiglie.
Il mercato dei prestiti sindacati ha superato i livelli pre-pandemia: nel 2024 sono state condotte in porto operazioni per 84 miliardi di euro, il 71% delle quali gestite da banche estere. In oltre la metà dei settori industriali, gli intermediari internazionali gestiscono più del 50% dei prestiti sindacati, confermando la loro centralità nelle grandi operazioni finanziarie rivolte alle imprese italiane. Nel comparto obbligazionario, le emissioni di debito hanno toccato i 189 miliardi di euro, il livello più alto dell’ultimo decennio. Gli operatori esteri hanno gestito il 70% dei collocamenti, mentre nel segmento equity la quota internazionale ha raggiunto il 93% delle operazioni.
Il made in Italy seduce il capitale internazionale
Il 2024 è stato un anno record per le fusioni e acquisizioni: 1.369 operazioni (+8% sul 2023), per un valore di 73 miliardi di euro (+91% la crescita rispetto all’anno precedente). Nel private equity e venture capital, la componente internazionale nella raccolta indipendente è salita al 34%, con gli investitori esteri che rappresentano il 71% del mercato. Nel private debt, la quota estera raggiunge addirittura l’80%.
Proseguendo con i numeri, gli operatori esteri hanno sostenuto il 55% delle operazioni di export finance, per un controvalore di 44,8 miliardi di euro. Anche nel factoring (17% del turnover) e nel leasing (29,8% del totale), la presenza internazionale si conferma significativa. Nel credito al consumo, il 56% del mercato è in mano a operatori esteri, con flussi cumulati in crescita del 7,4% su base annua.
Frammentazione da superare
Presentando il rapporto, il presidente dell’Aibe Guido Rosa, ha avvertito che senza una vera unione bancaria, l’Europa rischia di restare indietro. Secondo il rapporto Aibe-Censis, il 92,9% dei rappresentanti delle banche estere individua nella frammentazione del sistema bancario europeo e nella ridotta dimensione degli operatori un grave limite rispetto agli Stati Uniti. Il 72,4% auspica norme antitrust più semplici e incentivi fiscali per favorire le fusioni. Un’altra criticità è la mancata realizzazione di un Mercato Unico dei Capitali, che penalizza soprattutto le Pmi europee, spesso sottocapitalizzate e dipendenti dal credito bancario. Solo un sistema regolatorio più snello, con regole chiare e omogenee, potrà sbloccare il potenziale del Vecchio Continente.
Per contribuire a un’Europa più forte, anche l’Italia deve superare i propri limiti: burocrazia, giustizia e sistema fiscale restano i principali ostacoli all’attrattività per gli investimenti esteri. Un sistema Paese più efficiente e moderno è condizione essenziale per rilanciare la competitività e il ruolo dell’Italia nello scenario europeo. La sfida, conclude il Rapporto, non è solo tecnica ma soprattutto politica: serve una visione strategica e meno burocratica, capace di cogliere le opportunità offerte dalla finanza internazionale e di guidare la crescita nazionale.
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