Le transizioni verde e digitale mettono ancor più in primo piano l’innovazione come cuore della competitività europea. L’Italia ha una specializzazione nelle tecnologie green, diffuse anche nel Mezzogiorno. Come favorire lo sviluppo territoriale inclusivo.
Chi corre e chi rallenta
L’innovazione è al cuore della competitività europea, soprattutto in vista della transizione verde e digitale. Ma dove si innova in Europa? E come si posiziona l’Italia?
Uno studio basato su dati brevettuali internazionali evidenzia una forte concentrazione geografica dell’innovazione e segnali preoccupanti di scarso dinamismo imprenditoriale in Italia. Il quadro che emerge è chiaro: si innova soprattutto al Nord, con imprese consolidate, in settori dove le barriere all’ingresso si stanno alzando.
I dati sui brevetti depositati all’Ufficio europeo dei brevetti (Epo) ci dicono che la Germania domina in Europa sia per quantità che per qualità. La Francia spicca per la specializzazione in intelligenza artificiale. L’Italia è quinta per numero di brevetti, ma la sua posizione è segnata da due fattori strutturali: forti divari territoriali e scarso coinvolgimento del settore pubblico nella ricerca i cui risultati vengono brevettati.
Nel confronto internazionale, l’Italia si caratterizza per una relativa specializzazione nelle tecnologie ambientali, come la mobilità sostenibile o le energie rinnovabili. In compenso, resta indietro nell’adozione e nello sviluppo delle tecnologie digitali, in particolare dell’intelligenza artificiale. La quota di brevetti green sul totale è storicamente tra le più alte in Europa, ma in calo dopo la crisi del 2008.
L’intelligenza artificiale è un affare da Nord industriale. Le tecnologie green, invece, mostrano una diffusione più ampia, con segnali positivi anche nel Mezzogiorno. Questo suggerisce che una politica dell’innovazione più inclusiva e territoriale è possibile, ma servono visione e coordinamento.
Figura 1 – Domande di brevetto in tecnologie di intelligenza artificiale e green nelle regioni italiane
Innovatori sempre più “vecchi”
Non è solo una questione di dove si innova, ma anche di chi innova. In Italia, le imprese che brevettano per la prima volta hanno in media quindici anni di vita. Ben lontane dall’immagine della startup giovane e scalpitante. Inoltre, cresce il numero di imprese che depositano un solo brevetto e poi scompaiono dal radar: sintomo di difficoltà a trasformare la prima innovazione in un percorso continuativo.
Figura 2
Le imprese che innovano sopravvivono di più e sono più spesso oggetto di acquisizioni, ma la tendenza a brevettare si sta restringendo a un gruppo ristretto di imprese la cui posizione sul mercato è consolidata, le cosiddette incumbent.
E il pubblico? Assente o quasi
Università e istituzioni pubbliche giocano un ruolo marginale nell’ecosistema dell’innovazione italiana. Fanno eccezione alcune grandi città, come Roma, dove la concentrazione di centri di ricerca e atenei produce una maggiore vivacità. Nel complesso, però, la quota di brevetti pubblici è sotto il 10 per cento, molto meno rispetto a quanto avviene in Francia o in Spagna.
Efficienza o inclusività?
Il quadro invita a riflettere sulle politiche per l’innovazione. La concentrazione geografica dell’innovazione, ben documentata dalla letteratura, produce indubbi vantaggi in termini di produttività e spillover locali: i grandi cluster attraggono i talenti migliori, favoriscono l’incontro tra domanda e offerta di competenze avanzate e aumentano la qualità dell’innovazione.
In questo senso, esiste un chiaro trade-off tra efficienza (potenziare l’innovazione nelle aree già alla frontiera) e inclusività territoriale. Tuttavia, nel caso delle tecnologie verdi, il dilemma è meno stringente. I dati mostrano infatti una distribuzione territoriale più ampia delle tecnologie ambientali, Mezzogiorno compreso.
Le innovazioni green, quindi, hanno già una base territorialmente più diffusa, la stessa che ha contribuito a determinare la buona performance brevettuale italiana prima della crisi finanziaria globale. La presenza di cluster tecnologici al di fuori dei grandi centri urbani del Nord genera non solo spillover locali significativi, ma contribuisce alla specializzazione italiana nelle tecnologie green.
Dunque, serve più sostegno alle imprese giovani, alle reti locali di ricerca, agli ecosistemi dell’innovazione nelle aree meno centrali, conciliando le esigenze di efficienza con quelle di coesione. Altrimenti, il rischio è quello di una transizione “sbilanciata”: tecnologicamente avanzata, ma territorialmente ed economicamente diseguale.
Lavoce è di tutti: sostienila!
Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link