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Servono politiche industriali per imprese più attrattive


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Non ci sono dubbi sul fatto che la parola attrattività sia oggi molto popolare in Italia. Anche se ancora poco presente nei dizionari dell’italiano contemporaneo, il termine – importato di ritorno dall’inglese attractiveness – ha conquistato il linguaggio comune, soprattutto in ambito economico. E in Italia, come mostrano i dati di Google Trends, la sua popolarità cresce ben più che in altri Paesi europei o negli Stati Uniti. Dietro questo interesse si cela una questione tutt’altro che semantica: lo stallo dell’economia nazionale ha spinto territori, istituzioni e attori locali a cercare una via d’uscita praticabile. Rendere i territori più attrattivi è diventata una parola d’ordine, una strategia per riconquistare competitività.

Un recente incontro all’Istao ha offerto lo spunto per riflettere su alcuni dei principali fattori di attrattività della nostra regione. Ne scelgo tre, su cui vale la pena soffermarsi non tanto per esaltarli, quanto per evitare il rischio – assai più pericoloso – di darli per scontati. Primo: l’efficienza del sistema produttivo. È spesso celebrata come la carta vincente dell’economia locale. Ma oggi, in molti settori, la competitività si gioca sempre più su altri fattori: l’innovazione organizzativa, il branding, la logistica, il posizionamento nei mercati globali. L’efficienza (tecnologica) resta importante, ma non può bastare. Secondo: la governance familiare. Ha funzionato bene nella fase di prima industrializzazione. Ma oggi espone le imprese ai rischi del ricambio generazionale, della perdita di managerialità e della chiusura in logiche autoreferenziali. Il boom delle operazioni di M&A lo dimostra: il cambio di proprietà può migliorare l’efficienza, ma spesso svuota il territorio delle funzioni ad alto valore aggiunto – profitti inclusi – con un contributo negativo alla produttività locale. Terzo: la piccola dimensione d’impresa. È stata a lungo un punto di forza in contesti dove le transazioni di mercato sono semplici e la conoscenza incorporata nel prodotto è limitata. Ma nei mercati di oggi servono imprese in grado di competere su prodotti complessi, capacità organizzativa e presidio delle filiere internazionali, evitando di essere schiacciati in ruoli marginali o subalterni. Questa regione ha avuto – e ha ancora – un patrimonio di imprese capaci di generare conoscenza tecnologica e organizzativa di elevato profilo. Queste imprese sono state per decenni motori di crescita, non solo economica, ma anche culturale, e hanno fertilizzato il territorio con capacità imprenditoriali e manageriali uniche. Ma è bene ricordare: tutto ciò è stato frutto dell’iniziativa privata, del mercato. Raramente di una regia pubblica. Ed è qui che si apre il nodo di policy. Una regione che vuole essere davvero attrattiva non può lasciare al solo mercato il compito di generare competenze, conoscenza, capitale umano.

Soprattutto se il territorio è piccolo e gli effetti-spillover, per definizione, limitati. Le università giocano un ruolo importante, specie attraverso gli spin-off. Ma questi, spesso, operano in nicchie fin troppo specialistiche, con poche ricadute sul territorio, e – per loro natura – assorbono più risorse organizzative, manageriali e finanziarie dal sistema di quante ne riescano a generare. Pensare, progettare, attuare iniziative che esprimano leadership e visione strategica è un compito preciso della politica industriale. Una politica che deve guardare al lungo termine, anche uscendo dai binari delle specializzazioni tradizionali. Ascoltare le imprese che hanno forte capacità di competere – che innovano, che attraggono talenti, che investono – è fondamentale per comprendere la direzione degli interventi e costruire politiche credibili. Perché sono le imprese – non i territori – che competono sui mercati, anche attraverso i loro investimenti e la capacità di trattenere risorse umane giovani e formate. E perché sono le imprese locali, con la loro capacità di fertilizzare il territorio, che occorre far crescere e rendere attrattive.

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*Professore ordinario di Economia Applicata presso l’Università Politecnica delle Marche  Facoltà di Economia “G. Fuà”





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