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Bonus casa, così il governo ha reso di nuovo conveniente l’evasione fiscale


Con il taglio dei bonus edilizi, torna la convenienza dei lavori “in nero”. Un’analisi di come la scelta del Governo spinga migliaia di cittadini e imprese verso l’evasione per ottenere un immediato e allettante “risparmio”.

Il Governo ha tagliato drasticamente i bonus per i lavori in casa, riportando la detrazione base per le ristrutturazioni a un modesto 36% sulle seconde case. La domanda che sorge spontanea a milioni di italiani è: “E adesso, come si fa a risparmiare?“. La risposta, amara e sempre più praticata, non si trova in nuove agevolazioni o in strumenti legali, ma nel ritorno in massa a un’opzione che sembrava superata: l’economia sommersa. La politica di tagli del Governo, infatti, ha prodotto un effetto perverso e prevedibile: ha reso di nuovo estremamente conveniente per cittadini e imprese accordarsi per fare i lavori “in nero”, senza fattura. L’evasione fiscale, invece di essere combattuta, è diventata essa stessa il nuovo, e più efficace, modo per “risparmiare“. Un’analisi dei numeri e delle dinamiche di mercato mostra come questa scelta politica, presentata come un atto di rigore fiscale, stia in realtà riaprendo le porte a una piaga sociale che si credeva di aver arginato.

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La matematica della convenienza, perché il ‘nero’ batte la detrazione 10 a 1

Per capire perché l’evasione sia tornata così allettante, basta fare due conti. Mettiamo il caso di un piccolo lavoro di manutenzione, come la sostituzione degli infissi o l’installazione di un condizionatore, dal costo di 1.000 euro. Il cittadino oggi si trova di fronte a due alternative:

  1. la via legale: pagare 1.000 euro con metodi tracciabili (bonifico parlante), ricevendo una fattura. Lo Stato gli riconoscerà un bonus del 36%, ovvero 360 euro. Questo beneficio, però, non è immediato. Verrà restituito sotto forma di detrazione fiscale in dieci rate annuali. Il risparmio reale, quindi, è di soli 36 euro all’anno per dieci anni;
  2. la via illegale (il “risparmio” senza bonus): l’impresa, per lo stesso lavoro, propone un accordo senza fattura. Non dovendo versare l’IVA (al 10% o al 22%), le imposte sul proprio reddito e i contributi per i dipendenti, può offrire al cliente uno sconto immediato e sostanzioso. Su 1.000 euro di lavoro, uno sconto di 200-250 euro (pari circa all’IVA) è una prassi comune.

Il confronto è impietoso. Da un lato, un beneficio fiscale piccolo, futuro e spalmato su un decennio. Dall’altro, un risparmio immediato, tangibile e molto più consistente. È evidente che la tentazione di accettare l’offerta “in nero” diventa quasi irresistibile, e il “contrasto di interessi” che dovrebbe spingere il cittadino a chiedere la fattura per ottenere il bonus viene completamente annullato.

Un’amnesia di stato, ignorare la lezione dei bonus che funzionavano

La scelta del Governo appare ancora più miope se si guarda alla storia recente. I dati elaborati dal centro studi di CNA (Confederazione Nazionale dell’Artigianato) sono inequivocabili.

Tra il 2011 e il 2012, con le detrazioni al 36%, la spesa dichiarata per ristrutturazioni valeva circa 15-19 miliardi di euro l’anno.

Negli anni successivi, con l’innalzamento delle aliquote al 50-65%, la spesa emersa è schizzata a circa 30 miliardi annui.

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Durante il Superbonus, la spesa ha superato i 100 miliardi, con un calo drastico del tasso di lavoro irregolare nel settore edile (dal 15,5% del 2019 al 12,4% del 2022, dati Istat).

Questi numeri dimostrano una verità inoppugnabile: incentivi fiscali forti e convenienti sono lo strumento più efficace per combattere il sommerso nell’edilizia, facendo emergere miliardi di euro di economia legale. Il Governo, tagliando le detrazioni, non sta solo facendo una scelta di bilancio, ma sta attivamente smantellando un sistema che aveva dimostrato di funzionare, ignorando una lezione storica e condannando di nuovo all’illegalità un pezzo importante dell’economia del Paese.

Non solo tasse, il ‘nero’ è una piaga sociale per sicurezza e lavoro

Come sottolinea la presidente dell’Ance, Federica Brancaccio, l’evasione è una “vera piaga sociale” i cui danni vanno ben oltre il mancato gettito fiscale per lo Stato. Un’economia basata sul “nero” ha costi nascosti devastanti:

  • i lavori senza fattura sono spesso eseguiti da manodopera non in regola, senza formazione sulla sicurezza, senza assicurazione contro gli infortuni e senza rispettare le norme sui cantieri. Questo aumenta esponenzialmente il rischio di incidenti, anche mortali;
  • i lavoratori “in nero” non hanno tutele. Non hanno ferie pagate, non hanno malattia, non hanno TFR e, soprattutto, non hanno contributi previdenziali versati, condannandosi a un futuro di povertà senza pensione.
  • le imprese oneste, che pagano le tasse, i contributi e investono in sicurezza e formazione, non possono competere con i prezzi stracciati di chi opera nell’illegalità. La politica di tagli del Governo, quindi, non fa altro che penalizzare gli imprenditori corretti e premiare quelli disonesti: un ennesimo capitolo di concorrenza sleale.

Un autogol in vista della direttiva ‘case green’

Questa marcia indietro sugli incentivi è ancora più incomprensibile se si guarda al futuro imminente. L’Unione Europea, con la direttiva “Case Green”, chiederà all’Italia uno sforzo enorme per la riqualificazione energetica del suo vetusto patrimonio immobiliare. Per raggiungere questi obiettivi ambiziosi, sarà necessario mobilitare ingenti investimenti privati, che possono essere stimolati solo attraverso meccanismi di incentivazione fiscale forti e stabili.

Il Governo si sta trovando nella paradossale situazione di dover, da un lato, recepire una direttiva che impone di ristrutturare, e dall’altro, di aver appena demolito gli strumenti più efficaci per farlo in un quadro di legalità. Si sta preparando un “autogol” politico: quando si tratterà di incentivare la transizione green, si dovrà fare i conti con un mercato del “nero” rinvigorito e con una platea di cittadini ormai abituata a considerare l’evasione come l’unica forma di risparmio possibile.

Conclusione, una politica miope che scambia la legalità per un costo

La decisione di depotenziare i bonus casa è l’emblema di una politica economica miope, che vede gli incentivi fiscali non come un investimento strategico per la legalità, la sicurezza e la crescita, ma come un mero costo da tagliare. Nel tentativo di fare cassa nel breve periodo, si stanno riaprendo le porte a un’economia sommersa che costerà al Paese molto di più in termini di mancate entrate, sfruttamento, insicurezza e ingiustizia sociale. Il “risparmio” che oggi il Governo offre ai cittadini non è un bonus, ma un invito a delinquere, una scelta che mina le fondamenta della fiducia tra Stato e contribuente e che avrà conseguenze negative per anni a venire.



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