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Coesione, fattore di sviluppo – Gazzetta di Parma


Le imprese coesive sono identificate attraverso un indice composito basato sulle relazioni fiduciarie attivate dalle aziende con una pluralità di soggetti: spessore, intensità e quantità di relazioni nel tempo con i dipendenti all’interno dell’azienda e con le loro famiglie attraverso le politiche di welfare, con le altre imprese fornitrici e clienti, la filiera, con i soggetti territoriali, le istituzioni pubbliche, gli enti locali, la scuola, le università, i centri di ricerca, con il mondo del terzo settore, con gli organismi culturali. La presenza stabile che punta sulla stabilità del territorio.

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Indagine sul mondo delle imprese manifatturiere da 5 a 499 dipendenti, non c’è la dimensione pulviscolare. Due dati importanti emergono:

1) il numero delle imprese coesive cresce negli anni: era il 32% nel 2018 e oggi rappresenta il 44%. La coesione da fenomeno nell’economia sta diventando una caratteristica dell’economia. Le imprese coesive offrono soluzioni migliori a situazioni complesse, anticipando il cambiamento, resistono meglio all’incertezza;

2) le imprese coesive ottengono performances economiche migliori su una pluralità di fronti: in termini di fatturato tra le coesive e quelle non coesive il divario è di 11 punti, nella crescita occupazionale di 10 punti, nell’internalizzazione di 6 punti, nella propensione agli investimenti di 20 punti, negli investimenti in ricerca e sviluppo di 24 punti, nella digitalizzazione di 15 punti, Quindi hanno una maggiore resilienza.

La coesione è un fattore di sviluppo, è un modo di fare sviluppo: non dalla competitività deriva la coesione ma dalla coesione la competitività: in sintesi la coesione è l’anima della competitività.

Se la coesione spinge la competizione quali sono i fattori che alimentano la coesione?

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Sono stati individuati i 10 fattori più significativi.

  1. Il credito – nei territori a forte presenza di imprese coesive le erogazioni di credito alle imprese sono superiori alla media del 45 %, è più elevato il numero degli sportelli bancari e sono più presenti le banche locali (tipicamente le Banche di Credito Cooperativo) (+25%). Vuol dire che un’impresa è disposta a costruire fiducia se ha ricevuto fiducia (in questo caso fiducia vuol dire proprio credito) nei suoi progetti;
  2. La partecipazione associativa – le imprese coesive partecipano più attivamente a reti e nei territori con più imprese coesive. È superiore, seppure non di molto (+1,6%) la presenza di imprese associate;
  3. La dimensione – le microimprese sono il 35%, le piccole il 49%, le medie il 70%, le grandi l’88%: quindi c’è un problema di dimensione. in Italia ci sono circa 5 milioni di imprese: 1.400.000 hanno almeno un dipendente, il che significa che 3.600.000 imprese sono sostanzialmente lavoratori autonomi che si auto-organizzano. Questo deve far riflettere molto anche sulle politiche che spesso colgono in modo indifferenziato le imprese, mentre necessitano interventi più selettivi e più profilati;
  4. La capacità di integrazione: nei territori coesivi si registra più disponibilità delle aziende ad assumere lavoratori stranieri (+9,7%), c’è una maggior presenza di imprese guidate da stranieri (+16,3%). L’integrazione è un fattore che facilita questo atteggiamento delle imprese;
  5. La dimensione comunitaria vissuta – nei territori con piccoli comuni c’è una maggiore presenza di imprese coesive (+20%) e la perdita demografica attesa nei prossimi anni in queste aree è più contenuta rispetto alle altre aree. La coesione contribuisce a mantenere vive le comunità periferiche che a loro volta alimentano la politica di coesione delle imprese;
  6. L’inclusione, in particolare di genere – dove c’è un mix di genere nella proprietà la quota di imprese coesive sale al 46%. Il 78 % di imprese coesive esercita politiche di conciliazione vita lavoro, attenzione;
  7. Il protagonismo giovanile – i territori con più presenza di imprese coesive registrano un aumento della creazione di imprese (+4,6%), c’è un calo sensibile dei Neet (-36%), c’è più presenza dei giovani anche all’interno dell’azionariato aziendale: sono territori vivi dove i giovani si impegnano, dove i giovani rimangono, si convincono di restare e di investire, facilita una visione diversa di impegno nell’economia;
  8. Il clima di legalità – nelle aree con più imprese coesive il tasso di lavoro regolare è inferiore del 22 % rispetto alla media;
  9. La qualità del capitale umano – nei territori a maggior presenza di imprese coesive le imprese assumono più laureati (+8,6%), investono molto nella formazione interna (upskilling e reskilling);
  10. La tradizione distrettuale ha ancora un suo peso: più imprese coesive nelle aree con più presenza di distretti .

Se la coesione produce più crescita, la qualità del lavoro, più tenuta sociale, non è solo un’opzione etica, è anche una leva economica. La coesione deve essere un backbone, non il backbone, ma almeno un backbone della politica industriale, deve essere un’asse forte, pertanto, della politica industriale, della politica che fa crescere la competitività puntando su tre elementi fondamentali:

1) bisogna aiutare le imprese a superare l’isolamento quale fattore deprimente e deprivante (fisico, infrastrutturale e relazionale);

2) puntare sul capitale umano di qualità (cultura, competenza e inclusione);

3) ampliare la dimensione aziendale.

In conclusione coesione è competizione, è un modello reale di sviluppo non solo possibile, ma attuale.

 

Giuseppe Tripoli, direttore generale Unioncamere

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intervento al convegno Symbola

Mantova, 12 giugno 2025

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